
Davide Van De Sfroos Goga e magoga
2014 - Universal music
Davide ci ha regalato, fin dall’esordio nel 1995 con Manicomi, passando per Breva e Tivan (1999) il disco che l’ha portato all’attenzione di critica e pubblico, …e semm partii (2001), Akuaduulza (2005), Pica! (2008), sempre splendidi dischi, portando ad un pubblico sempre più un vasto il dialetto lombardo, nella sua variante sponda ovest del lago di Como, il dialetto tremezzino o laghèe, con un suono che mischiava folk, rock, Irlanda, punk (ricordo che il suo primo gruppo, i Potage, faceva cover dei Clash), blues, country, Pogues, Branduardi.
Davide voleva portare in giro le storie che aveva sentito raccontare e queste storie, gli aneddoti e i personaggi di periferia, di paese, dei bar, di balera, del circolo, storie semplici, poetiche, minime, direi quasi alla Jannacci, sono arrivate ad un pubblico sempre più vasto, regalando forti sensazioni, emozioni e tanta gioia e festa ai concerti sempre più affollati, culminati con il sold-out al Forum di Assago il 19 aprile 2008, durante la tournee di Pica! con 12.000 persone!
La missione di Davide è stata pienamente raggiunta ed è proprio questo il segreto del suo successo, oltre al fatto che “Raccontando gli altri scoprivi te stesso”.
Con Goga e Magoga, titolo enigmatico dal detto “andare in goga e magoga” cioè andare lontano, ma anche “senza capo ne coda”, uscito dopo tre anni di gestazione con momenti di alti e bassi, con sedici nuovi brani, che l’autore definisce “ agrodolce e bipolare” e di speranza, inizia forse un nuovo capitolo nella storia musicale di Davide.
“Musicalmente questo disco non si pone confini", ci confessa Davide, e lo si vede chiaramente nelle canzoni, otto brani aggressivi, energici e ritmati, folk–rock con influenze psichedeliche e prog, e otto brani introspettivi, ballate acustiche che si alternano con (quasi) regolarità nel lungo lavoro, che dura oltre 65 minuti.
Nei testi si respira la difficoltà delle persone, l’usura di questi tempi difficili, la sindrome della “velocità” della vita, la voglia di fuga dai ritmi frenetici, i ricordi, il passato, le generazioni, le finzioni fatte perchè non siamo contenti di noi, ma anche le pennellate di speranza per il futuro.
Goga e Magoga, la lunga title-track, dura, profetica, apocalittica, ossessiva tra rock e prog è forse il manifesto del lavoro (non perdetevi il video), Ki è una splendida ballata acustica nella migliore tradizione di Davide, Figlio di ieri è una melanconica ballata con la splendida chitarra di Maurizio “Gnola”, El calderon della stria è un altro trascinante brano rock dove tutto, persone, situazioni, direzioni incerte, viene mescolato nel calderone della strega, brano che sicuramente sarà uno dei top dal vivo grazie ai cori ed al riuscito riff.
C’è un chiaro tributo al prog, o meglio ai Jethro Tull in Mad Max, a partire dalla citazione del personaggio post atomico cinematografico, che getta uno sguardo inquietante sul futuro.
Da segnalare anche De me brano intimista e poetico, Cinema Ambra, pezzo country e tributo alla passione per il cinema e a quel cinema di Lenno dove molte generazioni hanno sognato, Gira gira altro brano country, il blues di Il viaggiatore, e la conclusiva che, come da tradizione nei dischi di Davide, ha il vento come protagonista, Il dono del vento, bellissima, tenue e melodica canzone di speranza, e che è anche l’unico brano del disco cantato in italiano.
Molti i musicisti che accompagnano Davide e che hanno partecipato al lavoro con grande professionalità e bravura, con una particolare menzione per Leslie Abbadini, splendida voce e cori, Maurizo “Gnola” Glielmo alle chitarre, Angapiemage “Anga” Galiano Persico al violino e Marco Vignuzzi tra mandolino, bouzuki, banjo ed altri strumenti.
Ormai prossimo ai cinquant’anni, con oltre mezzo milione di dischi venduti, Davide Van De Sfroos ha realizzato il suo disco più maturo, con testi di grande qualità, che contiene 4-5 brani di grande livello, un disco certamente con qualche momento di deja vu, meno diretto degli altri, direi anche il meno “cantabile”, più introspettivo, ma che come ci dice Davide “doveva essere raccontato in questo modo”.