Davide Van De Sfroos

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Davide Van De Sfroos Davide Van De Sfroos: le canzoni di Manoglia hanno la tinta esatta con cui le ho composte - intervista esclusiva

09/10/2023 di Laura Bianchi

#Davide Van De Sfroos#Italiana#Canzone d`autore

E' un Davide van de Sfroos entusiasta, dell'entusiasmo di chi sta per intraprendere un nuovo viaggio: un disco in uscita, Manoglia, undici canzoni - foglie, che proviamo a raccogliere e capire insieme a lui, in una chiacchierata lunga, torrenziale e coinvolgente. Leggete il risultato.
D. Eccoci qui, Davide, a commentare il tuo disco, di cui hai già detto e scritto molto. Stavolta però ti propongo di partire da qualche verso delle canzoni, per commentare il significato del lavoro per te. Iniziamo con una fra le più emozionanti. Ankainkoo. Pare, già dal titolo, che significa "anche oggi", una parola magica che trasforma il quotidiano in straordinario: "un’ombra senza nome che rastrella la terra e prepara la strada per chi domani…avrà ancora voglia…di andare…"a chi è rivolta?

R. A volte il dialetto ti mette di fronte a parole strane, e Ankinkoo non è inuit! La prima parte deriva da ciò che,  per un autunno -  inverno, ho visto ogni giorno, accompagnando i miei figli a prendere il bus alle sei e mezza di mattina: gente che si è appena svegliata, che esita prima di buttarsi dentro alla giornata; è la quotidianità che parte, ancora umida di sogno, e le persone fanno fatica a riprenderla. Però poi c'è un'apertura morbida: anche oggi qualcosa ci spinge ad andare avanti, e la seconda parte diventa bucolica, boschiva, con funghi, vento, spore, piante, a simboleggiare che il sogno ci può raggiungere ovunque, finché arriva la sera, in cui togliamo la tuta da lavoratori della vita, e mettiamo quella da viaggiatori della notte. Andiamo a dormire, e vorremmo portare nel sogno le cose buone. Tutto quello che c'è, è sul fondo: dobbiamo essere capaci noi di andare a prenderlo nel nostro fondale, e dobbiamo vivere la giornata sfidando la depressione, le giornate cupe, l'ansia, l'incertezza: chi vorrà viverla troverà quel qualcosa che giace sul fondo, ad aspettarci, perché altrimenti rimaniamo senza un senso.

D. Scià’n’de mé, ossia, "vieni da me, regina del tutto": tu che hai studiato latino, hai pensato che spiritus, in italiano, viene tradotto anche con soffio, fiato, vento? Quanto della tua ricerca spirituale c’è in questa canzone, e in tante altre del disco?

R. Originariamente, la canzone nasce nel 2014, e l'ho buttata giù con la chitarra scordata, come un sitar, per ricreare un mantra senza senso: poi però qualcuno ha sentito che dentro c'era qualcosa. All'inizio della scorsa primavera, una sera, ho avvertito che il vento me la stava portando, e ho iniziato a cantarla seguendo il vento: "Regina del tutto, vieni da me..."; è la Madre Natura che arriva, ogni anno, come la primavera. Il testo è venuto di seguito: una preghiera totale, che non scomoda santi o madonne, ma celebra lo spiritus, il soffio, l'anima, il movimento, la vita. Senza esso, anche l'acqua diventa stagno putrido e malato. In questo caso, la vita torna in primavera sotto forma di madre, che ancora una volta stava dando fiato alla vita. 
Questa doveva essere la canzone di vento, che avrebbe chiuso il disco; ma Alessandro Gioia, ancora una volta, ha preso in mano la produzione di Foglie al Vento, e ha creato l'idea di concludere quella canzone, nata come sequel della Preghiera delle quattro foglie (che è in Akuaduulza), con una coda ambient. Parte una campana tibetana, a suggerire che questa musica va, va oltre il disco, lo supera: c'è dentro Anga, ci sono io, suoniamo di tutto, e per la prima volta abbiamo messo un genere, l'ambient, che io ascolto moltissimo. Gioia ha fatto un lavoro gigantesco, perché così il disco non finisce mai davvero...

D. "Per fare una maschera da donna pensa a una donna che pensa all’amore…" chi è veramente il
Mascheraio? siamo maschere alla Pirandello, o davvero la maschera ci può rappresentare?

R. Questa è una canzone che commuove molto chi l'ha già ascoltata e sta compiendo un percorso interiore. La metafora è quella della maschera che nasconde mentre si mostra, anche in modo sfacciato, e può significare il contrasto di una persona spaventata, che invece sceglie una maschera da cattivo, per nascondersi, o un'altra, che non vuole che attorno a sé si sappia che è triste. Prima di decidere che maschera si vuole per noi, dobbiamo decidere chi siamo, ed è difficile, costa fatica, bisogna fare un lavoro psicologico notevole. Anche scegliendo una maschera da bestia, possiamo decidere il nostro animale guida, dal leone al gatto...Quanto al verso che citi tu, è inteso nel senso che solo nell'unione delle polarità possiamo trovare un equilibrio, e vorrei aggiungere che l'amore non è solo fra un uomo e una donna, ma significa l'apertura del fiore delle diverse possibilità di amare, di difendere quanto si ama. 

D. "...e se volerò via salutami con la mano e poi dalle mie tasche vedrai cadere di tutto": è Crisalide; a chi ti rivolgi con questo TU così insolito per la tua scrittura, qui e in La canzone che non c’è
R. La canzone che non c'è è stata scritta per fare capire, con parole impalpabili, lo sforzo che ci vuole per andare a catturare le parole, la canzone. Il foglio bianco aspetta che noi mettiamo la nostra virgola nera, sempre andando in profondità. Se non andrai in fondo, non sei onesto; bisogna bagnare la penna nel catrame del nostro fondo. E la persona che ascolta capisce che stai raccontando non i fatti tuoi, ma qualcosa che interessa tutti.
Quanto a Crisalide...è la gemella di Giuvanònn: ho messo la tensione verso l'alto, l'elemento aria, le ali del falco, vicino alla storia del mio parente, un contadino che faceva ancora la transumanza, che col becco del merlo scava per cercare le radici. La prima è registrata in modo aereo, dal Maestro Fasoli, e nella seconda Taketo Gohara ci riporta sulla terra. Pensa che a entrambi è stata data la stessa melodia, ma l'hanno interpretata in modo così diverso e intenso, che ho deciso di cantarle entrambe: una è il volo, l'altra è lo scavo, tutte e due alla ricerca dei tesori persi e ritrovati.

D. Ti senti più Mekanik o più Giuvanònn? sistemi "i pezzi che la vita ti spacca", oppure sei quello che "trova quelle cose che il tempo mi ha nascosto sotto le radici"?
Sicuramente di Giuvanònn ho ammirato in vita il suo essere cowboy; non ho avuto la sua esistenza, ma comunque ho tenuto sempre le mani attaccate alla terra. Invece Mekanik è il guaritore malato, colui che ha avuto problemi, dèmoni, e crescendo, invece di provare rabbia, ha imparato a riconoscere quando qualcuno sta male, come un segugio, e si vendica della sua precedente situazione sistemando, riparando. È successo anche a me: scendendo nella grande ombra della crisi, si captano anche i segnali di chi sta male, e l'unica salvezza è andare ad aiutarlo. Il meccanico forse non ha mai posseduto una Ferrari, ma la sa riparare, perché si è sporcato le mani, ma può essere anche un chimico, che sistema le cose coi suoi alambicchi. Nella canzone, la musica rende bene questo, con un'atmosfera psichedelica anni Sessanta, ed è stata una grande sorpresa scoprire che il pezzo, con un arrangiamento così, è diventato qualcosa alla Tim Buckley.

D. Parliamo adesso della musica: ho trovato un’ulteriore apertura a orizzonti lontani, come se volessi fare
respirare il tuo lago con climi orientali, western, manouche, zydeco. La tua splendida band è quella giusta per seguire questa intuizione, e si sente. Cosa avete voluto trasmettere con questo accentuato riferimento all’altrove, spaziale o temporale?

R. L'intenzione era proprio tirare fuori dal cassetto le mie idee e proporle nella tinta esatta in cui io le ho scritte; quindi non potevano starci gli arrangiamenti con bassi e batterie. Doveva essere un flusso di suono che accompagna il racconto, senza altre sovrastrutture. Con Zia Nora e con Il Mascheraio trovi un flusso normale, morbido, mentre le altre non hanno più nessun genere: c'è stata libertà assoluta, anarchia totale, e i musicisti mi hanno seguito in questa idea. Cusmano, per esempio, ha suonato tre strumenti turchi! La musica in Manoglia deve stare al di sopra dei tempi, dei mondi...Prendi ad esempio Forsi: ci vedi dentro Buster Keaton, atmosfere di altri tempi, senza connotazione epocale, e tutto si muove. 

D. Il disco uscirà in versione vinile, vinile colorato in edizione limitata e numerata, versione cd e download ma non in streaming: come mai?

R. Con il mio management e con la mia casa discografica BMG, il tema che ci siamo posti è principalmente legato al fatto che le piattaforme streaming siano sempre più orientate a supportare e promuovere musica di artisti che suonano generi diversi dal mio. Confortato anche dal successo del disco del mio amico Guccini, che non fu pubblicato in streaming, abbiamo deciso di seguire la stessa strategia e proporre al mio pubblico questo mio nuovo album, a cui tengo tantissimo, soltanto in formato vinile, cd o download.


D. Per finire...Tra poco affronterai un breve tour di show case ovunque in Italia. Il tour vero e proprio, e che inizierà il 29 febbraio 2024 agli Arcimboldi di Milano, sarà imperniato sul disco; la dimensione teatrale è quella giusta. Cos'hai in programma, invece, per la prossima estate, visto che la situazione live all’aperto sembra poco adatta a un disco tanto meditativo?

R. Non possiamo ancora dire niente per l'estate 2024, anche perché ci sono molti progetti paralleli: sicuramente, dal concerto evento degli Arcimboldi in poi, porteremo come protagonista il disco, ma mescoleremo questi brani nuovi con altri del passato, ma dalla tonalità molto simile, per costruire un concept concert con questa atmosfera. 

 

(FOTO DI FABRIZIO CESARI)