
Davide Van De Sfroos Akuaduulza
2005 - TARANTANIUS
Il disco è un insieme di storie all’insegna della più bella ed antica tradizione delle ballate che parlano di luoghi reali dietro i quali, con un po’ d’immaginazione, si nasconde un universo fiabesco fatto di maghi annoiati come ne “Il Libro del Mago”, streghe come “Nona Lucia” o animali d’ombra come “Il Corvo”.
Van de Sfroos ormai al suo sesto disco continua ad affinarsi, non tanto sul versante della scrittura e stesura del testo, ottima si dall’inizio essendo anche poeta e scrittore, quanto sul piano musicale.
A volte si pensa che solo il mare possa mettere in contatto popoli lontani, permettere di viaggiare ed approdare su lidi distanti dove trovare genti diverse con cui condividere qualcosa, una sorta di “simile diversità”. “Akuaduulza” sfata questa credenza e lo fa con eleganza narrando con la lingua di un lago lombardo ballate che si adagiano su di una forma musicale tipicamente d’oltreoceano.
Attenzione, non la scuola dei cantautori americani più o meno rock. Le musiche di questo disco si alzano dall’acqua “stanca” su cui nascono per volare in una zona degli States dove l’acqua dolce “stanca e sgonfia” la conoscono bene: la zona del Delta.
Questo album, a differenza del precedente “E semm partii”, suona molto più “definito” tracciando una linea di demarcazione netta tra l’ottimo lavoro di un cantautore emergente ed una solida e vera poetica musicale resa propria.
In molte canzoni tutto è suonato con strumenti bagnati dall’umidità del Lario e del Delta del Mississippi che si legano intrinsecamente attraverso gli arrangiamenti particolarmente attenti ai violini ed alle percussioni. Ovviamente il disco non è un tributo al musica di quei luoghi, anche se “Rosanera”, suonata con due chitarre e bottleneck ne ricorda veramente molto i suoni.
Riemerge la musica celtica ed irlandese, non tramite saltellanti ballate, ma attraverso “Fendin”, una canzone scura che parla di una leggenda del lago secondo cui la barca del pescatore, che dà il nome alla canzone, si crede venisse usata come traghetto per l’aldilà. Qui l’oboe popolare e la gralla puntellano il pezzo di fiati etnici che conferiscono alla storia un forte sapore epico.
L’utilizzo del dialetto è dominante anche se compaiono alcuni brani in italiano.
Il dialetto è lingua che ancora si sviluppa e vive della sua oralità. Mantiene tutta la capacità metaforica delle lingue “solo parlate”, incapaci di utilizzare schemi di definizione, come quelli delle lingue scritte. Il dialetto si affida alla poetica del simbolo e si muove tramite il contributo di ciascuno dei parlanti ed in questo l’apporto della canzone di Davide Van de Sfroos è fondamentale.