Stefano Barotti Uomini in costruzione
2003 - CLUB DE MUSIQUE RECORDS / IRD
Stefano Barotti, quel mare l’ha già oltrepassato, per andare in America, a suonare con Jono Manson, uno che il mare lo guardava dall’altro versante dell’Atlantico e che ha finito per trovare una seconda casa proprio in Val d’Aosta.
Questo ragazzo trentenne è cresciuto guardando la vita con gli occhi dei nostri cantautori e sognando di suonarla con quelli americani: ora che è accompagnato da musicisti veri, continua ad avere lo stesso sguardo da sognatore e da artigiano, che lavora con le proprie mani, con gli occhi spalancati.
E ha costruito un album da professionista: con lui, oltre ai “suoi” Marco Barotti, Pietro Bertilorenzi, Marco Kaserer, ci sono Jono Manson, Paolo Bonfanti, Mark Clark, Steve Lindsay, Kevin Trainor. Un disco di musica e di uomini, uomini che suonano e uomini che vengono suonati, dentro le canzoni: “Uomini in costruzione”.
Il pregio di questi pezzi è l’equilibrio che riescono a tenere tra la canzone d’autore italiana e il suono dei cantautori americani: per molti la musica italiana suonata come negli States è un sogno da guardare ancora da lontano. Ma c’è chi quel suono cerca di costruirlo, a modo suo, non mettendo semplicemente insieme De Gregori e Bob Dylan, Fossati e Cat Stevens. Per questo Barotti ha aspettato anni.
Ora che queste canzoni sono costruite, suonano adulte, oltre l’età del loro autore: non sono perfette, perché nessuno lo è, tantomeno a trent’anni. E se alcune non sono aiutate da una voce ancora giovane, altre invece sono vive proprio per quello: ogni brano è consapevole della propria anima e della propria breve storia, che si tratti di quella di un clandestino, di un lupo, di un cecchino o di un pagliaccio.
Barotti addomestica l’introspezione e la smuove con la “carne ed il sangue / con le corde ed il / legno delle chitarre”: se fisarmonica, chitarra classica e acustica sono di estrazione mediterranea, organo, dobro e steel sono importate dall’America con gusto ed eleganza.
Merito anche alla produzione di Jono Manson, che non ha puntato al rock, ma ha mantenuto un suono distinto: così facendo ha colto ciò di cui le canzoni avevano bisogno, con la stessa sensibilità del loro autore.
L’amore per De Andrè e De Gregori è palese, ma, come diceva proprio il Francesco “della classe 68”, “il ragazzo si farà”. Anzi, si sta già facendo: “Uomini in costruzione” ha anche aderito al progetto “Impatto zero”, devolvendo parte dei ricavi per compensare l’inquinamento prodotto dal cd nei confronti dell’ecosistema.
Per un “ragazzo” è una bella prova di maturità.