Stefano Barotti Gli ospiti
2007 - Club de Musique
A prima vista molti sono i punti di contatto col passato: su tutti la produzione di Jono Manson, in prima linea a forgiare il sound dell’amico tra la Toscana e il New Mexico (dove si è avvalso degli studi “Electric Company” di Santa Fe). Abbondanti motivi di contatto risiedono nelle canzoni: c’è un qualcosa nelle immagini, nei versi poetici di Stefano che riprende il discorso avviato quattro anni fa, con il pregio però di una maggiore accuratezza musicale.
“Gli Ospiti” è soprattutto un disco più maturo, che integra sfere emotive opposte, e può essere descritto suddividendo i brani in allegri e introspettivi. I primi, vivaci e trascinanti, occupano soprattutto la prima parte del disco, a partire da “Tempo di albicocche” che ci trascina in un mondo fatto di fidanzate portoghesi, di tazze verdi (come quella della copertina) e di quadrifogli pagati “mille lire l’uno”, il tutto condito dall’inserzione di sax e tromba che corona un piacevole inizio. Allegra, e già conosciuta dai fans (è stata proposta live durante tutto il tour di “Uomini in costruzione”) è “L’angelo e il diavolo”, una fiaba su un amore destinato a finire male con un sound movimentato da chitarre elettriche, organo, sax e tromba. Favola è anche la seguente “Vive dentro una canzone”, pezzo pop orecchiabile ed assimilabile al precedente.
Più corposo, quantitativamente, è il lato intimo ed emotivo dell’album. Una rassegna dei pezzi ascrivibili a questa sfera vede in primis “Per un chicco di sale”, che rimanda (soprattutto contenutisticamente) a “Verranno a chiederti del nostro amore” di De Andrè: a dominare sono strumenti più dolci come chitarra acustica, piano e banjo. Ci sono poi, davvero fantastiche, due canzoni “montanare” (Barotti è un frequentatore di Courmajeur, dove ha sede la “Club de Musique”): “Natale sui monti”, che racconta della vita di una comunità montana, rendendo al meglio il senso di attesa e noia di coloro che attendono qualche novità, “ad esempio la neve”; poi “La neve sugli alberi”, più movimentata, che si avvale del suono di violino e violoncello a coronamento di testo e melodia.
Scivolando verso il finale, accanto alle splendide “Il costruttore di ali” e alla conclusiva “Piccola canzone”, va segnalata la title-track che è il vero apice del disco: “Gli ospiti” è una storia tristissima che lascio alla scoperta dell’ascoltatore, limitandomi a sottolineare l’equilibrio tra strofe e ritornelli con la sezione di archi che va a chiudere il cerchio.
“Gli ospiti” segna un passo avanti rispetto a “Uomini in costruzione”, sia testualmente che musicalmente e compositivamente.
Stefano Barotti dovrebbe farsi sentire più spesso, ma la musica non si può proprio offendere per un disco come questo. E per noi che lo abbiamo messo in copertina.