If It Ain`t Fixed, Don`t Break It<small></small>
Rock Internazionale • Alternative

James Maddock If It Ain`t Fixed, Don`t Break It

2018 - Appaloosa Records / IRD

13/01/2019 di Helga Franzetti

#James Maddock#Rock Internazionale#Alternative

Quando vidi il nuovo lavoro di James Maddock esposto nella vetrina del bancone di un negozio di dischi, pensai: "certo che una copertina del genere in un improbabile stile vintage-pop dal gusto piuttosto dubbio, non invoglia un granchè all'ascolto"... La predisposizione, invece, alla fiducia in qualcosa che può meritare attenzione arriva quasi subito, fin dai primi brani. E anche se la scelta grafica della cover può essere discutibile, in realtà ben rispecchia quella sensazione di leggerezza che trasmette l’incedere del disco. Forse, dopo il più impegnato Insanity vs Humanity, che proponeva contenuti orientati su riflessioni politiche che facevano da specchio ai cambiamenti sociali in atto nel Paese (a un anno di governo Trump), James Maddock sentiva il bisogno di spostarsi su qualcosa di più brioso, arzillo e rilassato.

L’artista di origine inglese, trapiantato a New York ormai da parecchi anni, con If It Ain’t Fixed, Don’t Break It si fa anche produttore (come nel precedente lavoro), oltre a suonare le chitarre in tutti i pezzi del disco e modulare la sua voce roca alla Rod Stewart un po’ afono su ogni brano. Lo accompagnano i già collaudati Aaron Comess (Spin Doctors) alla batteria, Drew Mortali al basso e il tocco soave ed eccitante di Ben Stivers alle tastiere.

Il contesto abbraccia generi differenti, ma accomunati da una sorta di brillantezza sonora, sia che si tratti di raccogliere eredità Springsteeniane come in Discover Me, traccia d'apertura, o in Knife Edge (un incalzante folk rock molto vicino a quello del boss, sul quale si innestano accordi twangati che donano un sapore retrò), sia che ci si immerga in quel mood anni ‘50 tra rock and roll, accentuati backbeat, e languide ballate swing. Il tutto intorno ai due tre minuti di musica (eccezion fatta per i sette di Calling My People che si consumano in gioiose coralità gospel e rimescolano l’errenbi degli Staples Singers con il soul di Al Green) che a tratti sembrano proprio girare in un juke box, come nel caso di Don’t Lie To Me, un rockabilly jive impreziosito dalla deliziosa Gretsch di Maddock, a dimostrazione che il gusto di un chitarrista non si misura con esibizionismi da primattore, e dello swing sporcato di surf di There Ain't No Love In Our Love, con i suoi sinuosi tappeti Hammond. Un trionfo vintage e romantico, all’insegna del rock and roll alla Chuck Berry, come sulle note di Land Of The Living (dove un pizzico di polemica su razzismo ed esclusione aggiunge un po’ di pepe ai testi) e con qualche divagazione fuori tema con la calda e confortevole ballata  alla Willy DeVille di Music In The Stars

I puristi ci vedranno anche un Maddock sottotono, tra liriche meno squisite (rispetto al tipico stile narrativo del cantautore) e un sound certamente spostato da quel folk rock al quale sono abituati, ma la proposta rimane stuzzicante proprio nella sua particolarità. Un album divertente, penso sia questo lo spirito ricercato, con un’alta percentuale di zuccheri e romanticismo, ma coraggioso e onesto, ben suonato e che risulta essere un piacevole intrattenimento per una serata senza pensieri.

Track List

  • DISCOVER ME
  • THERE AIN`T NO LOVE IN YOUR LOVE
  • LORETTA
  • I AIN`T LEAVING MY GIRL FOR YOU
  • KNIFE EDGE
  • CALLING MY PEOPLE
  • MUSIC IN THE STARS
  • DON`T LIE TO ME
  • DAD`S GUITAR
  • LAND OF THE LIVING

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