The Green<small></small>
Americana • Songwriting

James Maddock The Green

2014 - Appaloosa / IRD

13/12/2014 di Andrea Furlan

#James Maddock#Americana#Songwriting

Ha saputo aspettare per trovare il tempo giusto, il momento adatto per scoprire le sue carte e svelare al mondo il suo talento. Di natali inglesi, James Maddock si trasferisce a New York per seguire le ragioni del cuore e una ragazza di cui è innamorato. Mette radici nel Village, suona spesso nei suoi locali e assorbe la magia del luogo che poi trasferirà in molte canzoni a venire. Il suo nome comincia a circolare fino ad ottenere un contratto nientemeno che con la Columbia. Con i Wood, la sua prima band, firma Songs from Stamford Hill il cui singolo Stay You finisce nella colonna sonora della serie televisiva Dawson’s Creek e Never a Day apre quella del film Serendipity (Quando l’amore è magia) in compagnia, lo ricordiamo, di un altro inglese, anzi irlandese, affascinato dall’America, tale Bap Kennedy che come Maddock lascerà il segno nel mondo del songwriting. La strada è spianata, il successo sembra alle porte, invece la storia d’amore finisce e il nostro smette per nove lunghi anni di pubblicare dischi, continuando però a suonare, ad accumulare storie e a maturare quella sensibilità musicale che esploderà prorompente nel 2009 con l’eccellente Sunrise on Avenue C. e un pugno di ballate che grondano di quell’aura romantica e poetica che abbiamo amato in alcuni dei più bei dischi nati nella New York dei primi seventies. Un miraclo di scrittura che si esalta anche nel seguente Live at Rockwood Music Hall che di Sunrise ripropone dal vivo la maggior parte di brani. Maddock è un autore di razza e la sua vena si riconferma in Wake up and dream (al suo interno la gemma Beatiful Now composta a quattro mani con Mike Scott dei Waterboys) e in Another Life, penultimo capitolo di un songbook ormai ricco di episodi importanti.  

Eccoci quindi a The green, fresco di stampa per i tipi della Appaloosa Records, encomiabile etichetta che quest’anno ha dato voce, con grande lungimiranza, ad una serie di artisti davvero molto validi. Il titolo prende spunto dal colore del biglietto verde per antonomasia, il dollaro, che, come l’euro, sta inesorabilmente sparendo dalle nostre tasche. “…vedo Peter Pan negli occhi dell’uomo di latta, quando si inginocchia nella pioggia, spingendo il suo carrello lungo la corsia, cercando il grano”. La title track entra subito in medias res e affronta la questione dalla parte di chi vuole reagire e non farsi sconfiggere da un sistema che ci spinge a competere in una guerra di cui abbiamo perso di vista lo scopo. “Non sono un leader, non sono un credente, sono un combattente, quello che accende il fuoco. Armerò le barricate rimanendo al tuo fianco fino alla fine”. Se l’intro, affidato alla tastiera e ad un arpeggio di chitarra su cui si posa la voce roca di Maddock, suggerisce inizialmente un approccio confidenziale e intimista al brano, presto si accende la miccia di un rock carico di sonorità elettriche il cui asse è rivolto ad un mainstream d’annata ma decisamente efficace.

La scelta di accontanare le sonorità folk che avevano caratterizzato gli album precedenti, quella sapiente miscela rock’n’soul che ci aveva regalato ballate tanto intense quanto coinvolgenti, preferendo loro un sound più robusto, è la novità più appariscente di The green. Ora gli arrangiamenti energici e il ritmo serrato sono la cifra distintiva del disco, a cominciare da Once there was a boy e la trascinante Rag doll che spianano la strada alla distesa Speaking for the man, una ballad in cui ritroviamo il gusto della melodia à la Maddock, uno dei tratti più riconoscibili della sua musica, qui sottilineato addirittura dagli archi. Spiazzano invece Driving around il cui ritmo al limite del pop è intrigante, ma fuori contesto, e Let’s get out of here che subisce un arraggiamento a mio vedere alquanto discutibile. Archiviati due brani sottotono, Maddock si rimette in carreggiata con la rilassata (e già eseguita dal vivo) Too many boxes, per me il pezzo più riuscito dell’album, dove finalmente fa capolino il pianoforte e l’equilibrato sound elettroacustico è degno delle sue opere migliori, la spagnoleggiante Crash by design, la toccante My old neighbourhood (anch’essa già nota perché apparsa come video ufficiale un paio d’anni fa), per chiudere con la part 2 di Once there was a boy, tutti brani più consoni al Maddock che abbiamo apprezzato in passato.

Nel complesso The green è un lavoro interlocutorio, talvolta appesantito da un’eccessiva sovrabbondanza di suoni che rischia di penalizzare la fine abilità di scrittura di Maddock, che ritroviamo però intatta nei testi, giocati tra i ricordi d’infanzia, il rimpianto del passato, relazioni complicate e lo spaesamento di girare a vuoto senza una meta precisa. Anche se qualche scelta stilistica un po’ azzardata farà storcere il naso ai più tradizionalisti, quelli, per intenderci, legati al Maddock di Sunrise on Avenue C, ciò non toglie che qualche perplessità non inficia la qualità della proposta che rimane in ogni caso di ottimo livello.

Mi sono immediatamente appropriato dell’album in occasione della tappa di Figino Serenza (Co) del Light of Day, il festival itinerante volto alla raccolta fondi a favore della lotta contro il morbo di Parkinson, di cui Maddock è da anni testimonial, chiamato a farne parte (nella versione americana) da Bruce Springsteen. Ebbene, l’ho trovato in ottima forma, carismatico e coinvolgente come non mai, quindi il consiglio è di non perdervi una delle prossime date in cui il nostro è in tournée in Italia. Quale migliore occasione, se non la prova on stage, per ascoltare e testare dal vivo i nuovi brani?

15/12/2014 Cantù (CO)

16/12/2014 Trieste

17/12/2014 Finale Emilia (Mo)

18/12/2014 Pesaro

19/12/2014 Vasto (Ch)

20/12/2014 Ripa Teatina (Ch)

21/12/2014 Grosseto

22/12/2014 Roma 

23/12/2014 Varese 

Track List

  • Once there was a boy
  • Rag doll
  • Speaking for the man
  • Driving around
  • The green
  • My old neighbourhood
  • Too many boxes
  • Crash by design
  • Let’s get out of here
  • Once there was a boy – part 2

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