
James Maddock No Time To Cry
2020 - Appaloosa / IRD
Accantonata la verve "politica" di "Insanity vs.Humanity", la New York senza lustrini torna sfondo dei versi del bardo di Leicester e la memoria corre subito a quel capolavoro di nicchia a nome "Sunrise on Avenue C". Qui, però, si nota un salto di qualità negli arrangiamenti, naturale conseguenza dell'avvalersi stabilmente della sapienza musicale di David Immergluck, Aaron Comess e Brian Mitchell. Un disco elegante, dedicato alla figura femminile, sia che abbia un nome o che sia un'immagine furtiva che scocchi un dardo dritto al cuore. Tenera compagna in un ballo in cima alle scale, giovane nevrotica osservata abbellirsi in un metrò periferico, l'amica che ascolta i tuoi pensieri segreti mentre giudica pungente gli altrui difetti, Sophie Magdalena che sparge petali dal cielo, ascoltando jazz e Lady Day.
James Maddock, in "No Time to Cry" riesce perfettamente a trasmettere bellezza ed ironia, assenza e speranza, condividere maturo romanticismo, tradotto in roca vocalità e acustiche sonorità.
Se "I've Driven These Roads" e "The High Chose You" soffrono rispettivamente, a mio parere, di lunghezza eccessiva e poca omogeneità rispetto al contesto, la altre sette song si attestano ad alti livelli, in alcuni casi flirtando con l'eccellenza compositiva.
Innanzitutto, ottima è la resa delle due cover proposte, L'iniziale "Williamsburg Bridge", con la fisa ed il mandolino che aprono le danze vicino al bar fatiscente, e una "New York Skyline" che Maddock prende in prestito dal sodale Garland Jeffreys, facendola "sua", con un pianoforte evocativo che accende le luci dei grattacieli di Manhattan, visti dalla solita panchina posta sotto il Ponte.
"Waiting on My Girl", il tocco di Immy alla pedal steel che risuona in South Congress, "Open up to you", la voce di James, non più etichettabile con stucchevoli paragoni, amplificata da un coro sixties per una canzone "classica" e ben costruita. La title track, forse è il pezzo che più rimanda all'esordio solista. Il ritornello irresistibile a far da contrasto alla profonda malinconia di un legame che potrebbe iniziare ma che scivola via, l'ennesimo addio senza tempo per le lacrime.
I gioielli sono due, emergendo prepotenti tra le cose migliori mai scritte ed arrangiate da Maddock. "The Train Takes You Home" è cinematografica, un "corto" per parole e musica, girato nel vagone di un metrò e sotto la pioggia di una Uptown piena di pozzanghere.
La finale, dolcissima ma mai melensa, "Top of the Stairs", poesia in quattro metri quadri, illuminati da una Luna complice, le chitarre acustiche, la melodia assassina. "Il cielo aiuti chi non ha nessuno da amare, in quella stanza in cima alle scale". Sono le ultime parole di un album concepito non da un "buon artigiano del rock" ma da uno di quei sarti che lavorano "di fino", un Artista che, a 58 anni e tante splendide canzoni alle spalle, ha come sogno quello, incredibilmente, "di essere più conosciuto"!!
James Maddock, quando stima ed affetto si fondono in un nome.