I Nobraino sono una band indie dell’area romagnola che arrivano con questo lavoro alla loro terza fatica.
Che siano inusuali lo prova già il titolo del loro esordio, ´The best of Nobraino´ (2006): non c’è dubbio che l’idea di un’antologia come primo CD sia una stramberia che si può ritenere a tutti gli effetti simbolica.
Ascoltando questo disco pare che Conte incontri gli Skiantos, De André si fonda con Elio e le Storie Tese, gli slacker degli anni ’90 recuperino il pop anni ‘60.
Cabaret surreale e grottesco non privo di progettualità; diciamo ´barbari non privi di intelletto´, davvero con rispetto e simpatia.
Ad un primo impatto infatti sembra tutto buttato lì, stonato e steccato, ma poi un attento ascolto rivela l’esistenza di un disegno, certamente di un’anima di fondo.
Il paradigma di questo dualismo è a nostro avviso rappresentato dal primo brano, ´Grand Hotel´, e dal quarto, ´Titti di più´, o anche da ´Narcisisti Misti´ contrapposto a ´L’Onestà Monarchica´.
I primi danno l’impressione di incapacità, approssimazione, trascuratezza, con temi da notti di dropout stralunati che sparlano del mondo esterno; i secondi richiamano l’attenzione sulle sfumature e fanno ben capire a suon di riff, ritmi e testi coerenti che l’estetica è voluta e non arrangiata alla bell’e meglio.
Così il tango scomposto diventa rock e l’alienazione diventa affermazione, in un delicato equilibrio tra tradizione e modernità.
´Succhiami il cuore´ è un brano in cui si compie la sintesi del dualismo sopra citato; un testo che sembra abborracciato ma che in realtà contiene una forte carica sardonica con un riff quasi da hardcore. Lo stesso succede in ´Troppo Romantica´, in stile De André fumato.
Il gioco sottile dei Nobraino sta tutto qui: sembrare degli improvvisati ma in realtà essere egli improvvisatori, con quindi una libera coerenza occultata da uno sfogo contro gli stereotipi del mondo; si ascolti anche ´Chi me l’ha fatto fare´ per avere un’ennesima conferma di questa dicotomia che diventa una dialettica felicemente risolta alla lunga nel CD.
Il lavoro richiede una certa apertura mentale che noi stessi non siamo sicuri di avere, se non per arrivare modestamente al punto di consigliarne l’ascolto.