Storia a puntate della linea verde della metropolitana milanese, la "proletaria"

Sant`Agostino


29/11/2020 di Luigi Lusenti

Sant'agostino può sembrare una stazione defilata e marginale, trascurabile sui molti chilometri della linea verde milanese. Invece Sant'Agostino vanta molti record. E' una delle 4 stazioni di tutte le linea delle subway milanesi intestata a un santo. Cinque se contiamo anche Villa San Giovanni.

E' la prima delle stazioni “nobili” della “proletaria”, stazioni di quartieri medio e alto borghesi. Ville e palazzi dell'aristocrazia meneghina, quando ancora esisteva. Oggi uffici di finanziarie, di studi notarili, di avvocati e commercialisti. Nel rigore dovuto al luogo, anche il bar nel mezzanino della stazione Sant'Agostino è defilato.

I passeggeri salgono e scendono silenziosi, quasi consapevoli che sono dentro ai luoghi della borghesia milanese, sobria, riservata, calvinista. Eppure la stazione della MM2 è anche trasgressiva.
Rompe l'uniformità del parallelismo dei binari. Il tunnel che porta dal centro alla periferia, corre sotto all'altro tunnel che dalla periferia va verso il centro. Lo hanno fatto così per passare fra le fondamenta delle case senza molti intralci.

Sant’Agostino è anche terra di frontiera. Non dimentica le grandi praterie periferiche che la circondano. Non dimentica che nessuno è nato ricco o aristocratico, al massimo lo è diventato. Così il martedì e il sabato le piace rivestire i panni della popolana. Aprire le strade e le piazze alle urla dei venditori ambulanti, alle massaie che contrattano sul prezzo bancarella per bancarella.

E’ il mercato multimediale di Papiniano. Multi in tutto. In folla, in etnie, in merci, in estensione.

Il mercato di Papiniano è una istituzione cittadina e occupa, oltre al viale, tutto lo slargo in Sant'Agostino che si chiamava un tempo piazza del Macello perché nel 1862 su quel terrapieno sorse il Macello che in breve divenne il più grande d'Europa arrivando ad estendersi fino alla Stazione di Porta Genova. Tutti gli edifici del macello vennero abbattuti nel 1931. Da allora la piazza Sant'Agostino è un terrapieno abbandonato.

Il carcere, il mercato due volte alla settimana, i rifiuti abbandonati dagli ambulanti, il grande spartitraffico che diventa parcheggio selvaggio quando non ci sono le bancarelle, un paio di edifici in disuso ove trovano rifugio emarginati vari: da sempre tutto è fonte di lite fra i residenti e il comune.

Ci fu una discussione al momento di battezzare la stazione, Sant'Agostino o San Vittore? Il numero spropositato di Vittore diventati santi e martiri e il riferimento alla tristemente famosa Casa Circondariale che sorge a un centinaio di metri fece preferire il padre e dottore della chiesa, nel frattempo diventato anche santo, Agostino “uno dei massimi pensatori cristiani di tutti i tempi”.

Ma della Casa Circondariale non ce se ne può dimenticare, far finta che non esista visto lo spazio enorme che occupa, in una zona centrale di Milano e viste le tante persone che quotidianamente, con la busta di cartone uguale per tutti, arrivano alla metropolitana Sant'Agostino e percorrono i cento metri di Papiniano che portano al carcere e si mettono in fila, lungo il muro grigio del penitenziario, davanti a una porta a specchi con una scritta nera: orario di visita dalle 8,30 alle 13,30.

La fama del carcere è legata fortemente a una canzone: “Mami”quella del “Padula. El Rudulf el Gaina e peu mi”. Quella portata al successo dalla Vanoni e Jannacci. In quei raggi si svolsero pagine tetre ed eroiche della resistenza italiana. Durante la dittatura fascista nel carcere vengono detenuti molti oppositori politici condannati dal Tribunale Speciale. Tra il settembre ‘43 e l’aprile ‘45 San Vittore è quasi del tutto in mano alle SS che ne fanno un luogo di terrore ove non vige la legge italiana ma quella tedesca. Da qui partirono molti per i campi di concentramento in Germania o per i lager nazisti. Qui furono rinchiusi Liliana Segre e don Carlo Gnocchi. Le Brigate Matteotti liberarono i detenuti politici, dopo una insurrezione degli stessi, il 26 aprile del '45. Sarà per questo che per molti milanesi San Vittore non è un corpo estraneo o un luogo di sola di criminalità.

Ma San Vittore è stato anche teatro di rivolte sanguinose come quella dell'aprile del '69. E' stato carcere di molti criminali da Renato Vallanzasca a Toto Riina. A Željko Ražnatović detto Arkan, comandante delle “Tigri”, un gruppo di psicopatici tagliagole, colpevoli di innumerevoli sadiche violenze nei Balcani sul finire del secolo scorso. Arkan si vantava delle tante lingue europee che conosceva molto bene. “ Ho imparato il tedesco a Stemmeheim, l'olandese a Bejmer, l'italiano a l'Ucciardone e a San Vittore.” Disse, con arroganza e insolenza, a Mimmo Lombezzi di Mediaset, durante una intervista.

La stazione di Sant'Agostino è così. Meticcia in razze e in classe. Ricchi, medioborghesi, poveri, reietti. Un luogo che racchiude storia romana nelle cinque vie intestate ai re di Roma che prendono via da un'uscita della metropolitana. Il sesto, Tarquinio il Superbo lo hanno dimenticato, o forse punito per il suo difetto, la superbia appunto. Ma anche storia della ligera, la mala milanese, raccontata in “Porta Romana bella”: “ La via Filangeri l’è un gran serraglio, la bestia più feroce l’è il commissario. In via Filngeri ghè una campana ‘ogni volta che la sona l’è na cundana. La via San Vittore l’è tuta sassi l’ho fatta l’altra sera a pugni e schiaffi. Prima faceva il ladro e poi la spia e adesso è delegato di polizia. E sette e sette e sette fanno ventuno arriva la volante e non c’è nessuno.”

L'altra storia, quella dell'orrore nazista e di chi non ha volto la testa dall'altra parte la racconta invece una pietra, una pietra d'inciampo posata nella Rotonda del Carcere di San Vittore il 20 gennaio del 2020 In ricordo di Andrea Schivo, agente di custodia a S. Vittore, assassinato nel campo di concentramento di Flossenbürg il 29 gennaio 1945; Medaglia d’Oro al Merito Civile alla Memoria con decreto del Presidente della Repubblica Giuseppe Napolitano del 12 settembre 2007; “Giusto tra le Nazioni” presso il museo Yad Vashem di Gerusalemme con atto del 13 dicembre 2006. Altri agenti di custodia, come lui, si operarono per rendere meno crudele la prigionia degli ebrei e degli antifascisti. Presto la pietra d'inciampo di Andrea Schivo sarà accompagnata da altre pietre d'inciampo, di altri "giusti" come Andrea.


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