Storia a puntate della linea verde della metropolitana milanese, la "proletaria"

Lambrate


19/07/2021 di Luigi Lusenti

Prima ci fu la stazione ferroviaria, inaugurata nel 1931. Poi venne la stazione della metropolitana, nel 1969. Infine, in un tempo indeterminato, lo slargo per la sosta dei pullman. 

E' Lambrate, ove ogni stazione è parte integrante del complesso di viaggio e di sosta. Come nelle vecchie stazioni di posta, si cambiano i cavalli, ci si rifocilla, si  trovano le coincidenze. Se venisse a mancare una delle tre, le altre due perderebbero di significato. 

I tapis roulant della metropolitana portano ai treni, il lungo sottopasso ferroviario porta ai bus. Il cordone ombelicale funziona, andata e ritorno. 

Un tempo, prima dell'alta velocità e dell'enterpreise Garibaldi, Lambrate ferrovia era la “bussola dei naviganti”. Superata la quale, se venivi da fuori, eri a un passo dalla Centrale, dall'arrivo nella città panettone. Le luci al neon entravano dai finestrini, riflesse dalla struttura in ferro delle pensiline della stazione. A meno che non ci fosse la nebbia, non ci fossero nebbioni che lasciavano solo l'immaginazione dell'avvicinamento alla meta. 

Ora, del periodo d'oro, alla stazione ferroviaria di Lambrate sono rimasti un pugno di treni locali e il transitare lento, ma borioso, dell'alta velocità.

Ma la fermata della metropolitna e la stazione ferroviaria continuano ad essere la porta d'ingresso al quartiere. Si, perchè Lambrate sta dietro alla Stazione Ferroviaria, dietro alla fermata della metropolitna, Quasi geloso del suo essere città e, al contempo,  periferia. Davanti gli edifici medio borghesi della via Pacini e di piazza Bottini ancora “troppo” Citta Studi, dietro capannoni, case popolari, nuovi condomini e le distese di campi oltre la tangenziale est verso Redecesio e  Segrate. 

Sanguemisto, miscela di ingredienti diversi, esperimenti di ibride gemmazioni, innesti avventati. Tutto questo è  Lambrooklyn, e via Conte Rosso la “quinta strada” del quartiere. Il collegamento fra Lambrate nord e Lambrate sud. La Lourdes meneghina, col miracolo della bomba inesplosa, caduta durante i bombardamenti del 1944 sull'altare della piccola Cappelletta. La Unter den Linden nostrana con il filare di tigli sullo slargo della scuola Maroncelli. 

E poi il fiume Lambro, descritto da Gadda nel suo “L'Adalgisa”. Oggi una cloaca a cielo aperto. Ma che nel tempo ha dato il nome al quartiere. 

Via Ventura è un affluente di snistra di Conte Rosso, mentre a destra arriva viale delle Rimembranze di Lambrate.  

Via Ventura è la strada del nuovo, del futuro, della creatività. Di tante idee, alcune geniali, alcune banali e insignificanti. Idee che si introfulano negli spazi vuoti, nei capannoni abbandonati nelle cantine in disuso, in incredibili loft. 

Da Archimede Pitagorico a Paperoga, da Pico de Paperis a Filo Sganga, per citare Walt Disney e pagare il debito con chi mi ha accusato di fare riferimenti solo accademici. 

E' qui, prima del “pandemic time”, si teneva una delle rassegne più interessanti del Fuori salone milanese. Abbandonate l'ormai “imborghesita” Tortona e vie limitrofe, i  creatitivi di frontiera, gli antagonisti della forma, gli irriducibili dell'off ad ogni costo si sono trasferiti in via Ventura, nell'officina di un gommista, in un asilio nido, perfino nel secondo piano di una casa di ringhiera. Due locali abitati da un'anziana signora, trasferitasi per il tempo necessario da altri parenti, lasciando in comodato d'uso, agli “urban star”, centrini e tovagliete ricamate. 

Nei locali della ex Faema si sono istallate piccole case editrici, gallerie d'arte, una location per vari eventi, studi di professionali.  

L'affluiente di destra ci porta invece alla memoria, alla via delle rimembranze di  Lambrate. La via più strana del mondo. La via che finisce in una rotonda ma continua a chiamarsi via. Una rotonda che ricorda tristemente le piazze di periferia di molte capitali dell'Est Europa sotto il comunismo. 

Perchè si chiama rimembranze lo sanno in pochi. Ho provato a chiederlo ad alcuni abitanti e chi mi risposto ha detto perchè ricorda quando Lambrate era un paese autonomo e non un quartiere di Milano. Già l'afflatto autonomista mai morto. Resuscitato un giorno del maggio del 2009 addirittura da Matteo Salvini in Comue a Milano, con la proposta di un referendum indipendentista. Chissà, non riuscendo con l'Europa e con l'Italia, il “nostro” avrà pensato di iniziare, come quelle compagnie che debuttano in provincia, dall'uscio di casa. 

Invece la via-piazza è così denominata in ricordo del grandissimo tributo di sangue che, nella prima guerra mondiale, l'allora borgo autonomo di Lambrate,  pagò; ben 114 persero la vita al fronte. Fu così che venne “l'idea del rondò del ricordo” mettendo a dimora 114 platani. 

Per evitare l'oblio del tempo, qualche anno fa il Consiglio di Zona decise di attribuire ad ogni albero, con una apposità targhetta il nome di un caduto.

La storia con i suoi drammi, i suoi ritorno, le sue concidenze e, anche, le sue brutture è di casa a Lambrate. Storie diverse ma tutte con un indirizzo nel quartiere: via Conte Rosso 12, via Monte Nevoso 8. 

Nel primo, nella ex casa del “Fascio di Lambrate”, diventata dopo il 25 aprile   Casa del popolo” prese sede clandestina la “Volante rossa” del “Tenente Alvaro”. Nel secondo le Brigate Rosse avevano il ubicato il loro comando logistico del Nord Italia. Aggiungo solo una considerazione: un secolo, il novecento, che come nessuno ha saputo unire idealità a crudeltà. Ma ciò che ha reso famoso nel mondo il quartiere Lambrate non sono questi drammi. E' un po' più a sud. Al confine con l'Ortica. Sono i resti dell'Innocenti, della fabbrica fondata nel 1933 da Ferdinando Innocenti. Rasa al suolo durante la guerra e risorta sulle ali della “Lambretta”, che proprio da Lambrate prende il nome. Ormai chiusi i capannoni che hanno prodotto milioni di esemplari dello scooter più “amato dagli italiani” ci resta il ricordo, triste ma autenmtico,  di Enzo Jannacci che canta “Vincenzina davanti alla fabbrica”. 

 

 

 

 

 

 

 

 


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