Storia a puntate della linea verde della metropolitana milanese, la "proletaria"

Loreto


01/06/2021 di Luigi Lusenti

La fermata Loreto della linea verde della MM2 di Milano non esiste. Non ho problemi ad affermarlo in modo categorico. Pure davanti a un magistrato se chiamato in giudizio. 

Vi ricordo, in via del tutto ipotetica e sperando di non invitare nessuno a delinquere, che noi milanesi, ogni giorno, poniamo ceca fiducia nella cartellonistica delle stazioni delle 4 linee cittadine della metropolitana. Scendiamo a Pasteur, a Turati, a Bicocca, a Lambrate non perché ne riconosciamo i tratti distintivi che ci fanno dire: "eccoci arrivati a destinazione" ma per le indicazioni affisse sulle pareti della metropolitana.  E se nella notte, bande di "terroristi" urbani o di "stravaganti dadaisti" ne cambiassero l'ordine? Se Turro finisse a Cimiano e Bande nere a Isola? Se credessimo di scendere, come riportato dal nome sul pannello della stazione, a Lodi e invece ci trovassimo a Maciachini? Certo, obiettano i più furbi, ormai le stazioni sono annunciate dalla voce metallica e senza nessun accento che informa ove ci troviamo. E, aggiungono con un pizzico di boria, "coloro che ancora leggono i nomi delle stazioni sono passeggeri ormai vetusti, noi non abbiamo tempo di alzare la faccia dal nostro smartphone per cui ci facciamo guidare dall'altoparlante come da un Mosè che apre le acque."  Ma se la voce metallica ripetuta dagli altoparlanti fosse stata anche quella manomessa o zittita con un atto intimidatorio?

Sinceramente mi sono fatto prendere un po' la mano in tempi di complottismo imperante. Torniamo perciò al'affermazione iniziale: "la fermata Loreto della linea verde della MM2 di Milano non esiste."

 

Come posso affermarlo in modo così perentorio? Da buon seguace di Aristotele, di Thomas Hobbes e di Francis Bacon conosco solo un metodo che consiglio a tutti di seguire: l'empirismo. Per maggiori delucidazioni sul'empirismo invito a  leggere l'omonima voce sull'enciclopedia Treccani (aborrisco da sempre Wikipedia al pari di un buon consumatore di thè ritiene indegno aggiungere alla leggendaria bevanda del banale latte). 

L'empirismo ci dice di contare solo sull'esperienza diretta dei nostri sensi. Eccoci quindi arrivati alla prova maestra da esibire in qualsiasi aula di tribunale o in quale talk show televisivo. Per quanto mi riguarda, preferisco rischiare qualche anno di galera rispondendo delle mie affermazioni davanti a una corte di giustizia che dover sottostare alle  grottesche domande di un altrettanto grottesco conduttore, o conduttrice. 

Ma basta divagare. Vi chiedo la prova empirica. Prendete la linea verde in qualsiasi stazione della MM2 e scendete a Loreto. Vi sfido a uscire sull'omonima piazza. Certo, mi direte basta seguire alcuni tunnel sotterranei ed eccoci in piazza Loreto. No, signori miei, io devo poter uscire dal mezzanino della stazione e trovarmi nel luogo indicato dal nome della stazione. Non compiere lunghi passaggi nel labirinto della subway meneghina. E se esco dall'ingresso del mezzanino della fermata MM2 Loreto mi trovo in piazza Argentina. Ecco la verità. Inconfutabile!

Prima della scoperta volevo parlare di Loreto. Giuro che mi ero preparato. Volevo raccontare un altro pezzo di storia milanese, come quello Lanza Moscova. Del memoriale della Shoa in Stazione Centrale, dell'eccidio di Caiazzo, dei partigiani uccisi in piazzale Loreto, delle salme del Duce e di altri gerarchi "esposte"  sull'angolo del piazzale verso via Porpora. Un altro asse che si snoda in lunghezza, come se la storia cittadina dovesse camminare da un posto all'altro per affermarsi. 

Ma non posso farlo. Con la scoperta che la fermata di piazzale Loreto, sulla "proletaria", non esiste mi hanno tolto i possibili argomenti della narrazione. Sarà, ma in tempi di complottismi anch'io vedo l'ordito di trame poco chiare, di servizi deviati, di spie al servizio di più padroni che vogliono impedire al mio viaggio di proseguire.

No! Se ho trovato di che dire per Romolo e Caiazzo, volete che non scopra l'essenziale anche in piazza Argentina seppur derubata della fermata della metropolitana?

Eccomi nella piazza che da non molto ha questo look, quasi da sala d'aspetto con lo spazio panchine sul lato ovest e sul lato est. Forse un primo punto di riposo per gli amanti dello shopping visto che piazza Argentina è attraversata dalla nona arteria al mondo per commercio: Corso Buenos Aires, che dell'Argentina è pure capitale. 

Fra una jeanseria, un negozio di scarpe, profumerie e empori vari si è consumata una storia cittadina che nessuno ha saputo salvaguardare, quasi il presente dovesse bulimizzare il passato, reo di essere imprevedibile. Così mi tocca ridurmi ad un apologeta di luoghi smarriti e di aspetti salienti, un cherry picking per essere moderni. 

La prima ciliegia da cogliere si chiama, meglio si chiamava "Cinema Argentina". Ultimo indirizzo conosciuto Piazza Argentina 4. Anno di apertura 1914. Anno di chiusura 1990. Un breve calcolo per scoprire, senza che sia a dirvelo, quanti anni è rimasta aperta quella sala posta nel cuore della Milano commerciale. Cinema povero lo definivano, come Il Garibaldi o il Franco Americano che divenne, chissà come mai durante il ventennio, Minerva. Con l'imbonitore di fronte all'ingresso a invitare i passanti a entrare e godersi le pellicole. A dir la verità il primo nome del Cinema Argentina è "Cinema Teatro Triestino". Nel 1933, in onore della piazza appena inaugurata diventa "Cinema Argentina".

Cinema conviviale, con spaghettata a mezzanotte durante le serate non stop. Spaghettata annunciata con un cartello scritto a mano e appeso all'ingresso, quasi un amichevole invito verso persone care e conosciute. Con l'omino delle bibite e dei gelati che girava fra una proiezione e l'altra a rifornire gli spettatori di bomboniere e pop corn. 

Con più di settant'anni di titoli è difficile scegliere un film invece dell'altro. Raccontare Buñuel, Fellini o Kubrick.  "Arancia meccanica" o "Guerre stellari". Meglio parlare del pubblico, un po' Fellini, un po' Zavattini. Semplici appassionati o cinefili incalliti. Guardoni, scippatori, molestatori, fino al ladro che, per un certo periodo, derubava alla toilette del cinema. 

La fine, gloriosa o ingloriosa secondo il sentire di ognuno, fu quando, chiuso il cinema per alcuni mesi divenne sede elettorale dei fratelli La Russa. Si, proprio loro, Ignazio e Romano La Russa. 

Ora cosa é? Ditemelo voi dalla foto esposta qua sotto.

Da una sparizione all'altra. Stesso lato della piazza, ma sull'angolo opposto, quello con la via Stradivari. Si, mi direte, tutti gli appassionati di fotografia conoscevano l'Ottica Argentina, uno dei centri più quotati per carta, pellicole, diapositive, macchine e obiettivi analogici, nonché una serie incredibile di attrezzatura per tutti i fotografi, dal principiante al professionista. Certo è una sparizione che ha pesato molto. Ma io voglio tornare indietro negli anni. Prima che venisse eretto l'attuale anonimo palazzo in vetro e ferro. Al suo posto sorgeva, credo ancora alla fine della seconda guerra mondiale, una casa di sei piani. Una specie di castelletto con mattoni e torretta. Con loggia e bifore. Insomma, non posso postare foto di altri, ma vi invito ad andare a questo link e scoprire cosa ha perso Milano: https://blog.urbanfile.org/2021/01/15/milano-loreto-il-perduto-castello-di-piazza-argentina/.

Accontentiamoci del palazzo al 3 di piazza Argentina. Per fortuna non vandalizzato dalla modernità meneghina. Eclettico lo definiscono. Io direi di più. Bellissimo. E con questo passo e chiudo e mi rimbuco nella sotterranea. Se non mi spostano le stazioni, ci si ritrova a Piola.

 


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