Cimiano - Crescenzago
29/08/2021 di Luigi Lusenti
Alla fine del viaggio partono i saldi. Il due per uno che fa tanto felici tutti i clienti. Così Cimiano e Crescenzago ve li racconto in una unica narrazione. Stanchezza del viandante? Aridità del mio genio creativo? O semplicemente siamo di fronte alla fotocopia precisa uno dell'altro? All'immagine riflessa comprese le scritte oscene nei sottopassi che conducono ai treni?
Nell'essere tutte e due avamposti dentro la grande città, gettate di cemento fra vialoni d'asfalto abbelliti da arbusti vari e dalla terra rossa dell'Arizzona. Lo stesso cielo piatto e senza sfumature, oppure tormentoso dilagare di nubi, scrosci violenti di pioggia, nebbiolina e umidità piene di sentimento struggente come nei pub di St Louis.
All'inizio del viaggio raccontavo come qui, in Palmanova, i vagoni de “la Proletaria” si immergomo ed emergono dal sottosuolo. Cimiano e Crescenzano, con Gobba sono le stazioni “open air”. Quelle che danno luce ai passeggeri dopo le lunghe tenebre. Qui la sotterranea corre in supercìficie, cinta da reticolati. Un solo marciapiede per l'andata e il ritorno. La vista è mozzafiato sulle carovane di auto, pulman, tir che entrano ed escono dalla “grande mela” lombarda. Freddo, vento e pioggia d'inverno. Troppo vicini all'orbita del sole d'estate.
Cabine di controllo all'aperto insidiate dai graffitari. Un bosco di pali della corrente elettrica, tralicci e fili della luce. Spersi fino a perdere la vista nell'orizzonte lontano, cioà in fondo al “Palmanova”. Protagonisti e comparse si cambiano in continuazione di ruolo e costruiscono l'intreccio di una storia infinita, rinnovata ogni giorno, per mesi, per anni, per decenni. Sguardi lanciati nel vuoto e litanie in più lingue, più dialetti, più slang. Con in più i Rom musicisti, colonna sonora dalle diverse dimensioni invisibili agli occhi ma udibili dalle orecchie,
Gli orizzonti mozzafiato di “C'era una volta il west” qui lasciano lo spazio ai quadri surreali del geniale Jacovitti. La versione reale della città dormitorio, del delirio urbano composto nel mosaico di scritte pubblicitarie, cartelli indicatori, divieti stradali. Comics strips di Cocco Bill in salsa padana.
“Troppe creature a due e quattro zampe che esistono solo per esistere.” avrebbe commentato a questo punto Arthur Schopenhauer.
Antropologia della polvere, che scende da nord, che sale da sud sempre portata dai “giganti della strada”. Le invasioni arrivano dal sud. Barconi colmi di disperati. Le invasioni arrivano da nord con i camper colmi di turisti. Immigrati e turisti: i problemi del nostro tempo. E invece noi ci siamo imbarcati fino a qua su una metropolitana attraversando il sistema cardiovascolare della città di Milano. Delle tante città Milano. Come è lontano il ricordo di “Sant'Ambroeus come dicono i milanesi, con quel finale sibilante come fosse il ronzio di una zanzara”, oppure di “Gioia è il non luogo per eccellenza di tutta la proletaria."
Ogni stazione della linea verde ha una sua mappa, un suo alfabeto, forse anche motivi per esistere. Ne abbiamo scoperti alcuni nel nostro viaggio. Il “pantocratore” è un lungo tunnel da meridione a settentrione, capovolgendo l'idea di orientamento est/ovest che invece crea il giorno e la notte. E' la ragnatela che imprigiona nel dedalo di passaggi, scale mobili, svincoli. La metropolitana ci ha accolti, ci ha mischiati, cittadini diversi provenienti da quartieri diversi. Ha fatto emergere l'ibrido, ha confuso civitas e urbs.
Non abbiamo scelto il periplo, ma la retta. So che sotto sembra tutto uguale, ma sopra è tutto diverso. Percorrere la linea verde è qualcosa che ha affinità con le nostre eredità che si specchiano, che si sdoppiano, che si ricompongono. Su, giù. L'epopea è peripatetica. L'ascensore sociale, in tempi di magra, è garantito dalla “sotterranea”: gli umili vanno in centro, e i benestanti, se lo vogliono, possono raggiungere le periferie.
Terriotorio fertile la “proletaria”, per consocersi, per conoscere,
Quanti sono i fusi orari? Ventiquattro o trentanove. Oppure ognuno ha il suo e arrivederci?
La “proletaria” ne ha venti, uno per stazione. E il tempo che corre sui binari è come l'eterno ritorno di Nietzsche.
Ma ora scusate, sta arrivando il treno che mi riporterà all'inizio del viaggio, da dove ero partito. E speriamo di non subire troppo lo jet lag.