Storia a puntate della linea verde della metropolitana milanese, la "proletaria"

Moscova


31/01/2021 di Luigi Lusenti

Moscova è uno dei segni che il “grande corso” volle lasciare nella città di Milano. Assieme all'Arco della pace, alla facciata del Duomo, alla via Montenapoleone, a Foro Buonaparte. Quello che i milanesi con orgoglio ricordano del periodo napoleonico senza probabilmente sapere il giudizio che Bonaparte aveva della città: fra Venezia e Milano, fra una repubblica durata più di mille anni e una sede di un ex governatorato spagnolo, fra una città che ha dominato i mari e una "provinciaccia" che ha sempre ubbidito scelse, come capitale del regno d'Italia, il capoluogo lombardo. Ma la storia non fa mai vincere del tutto e i francesi a Milano, nel quartiere Bicocca, nel sedicesimo secolo, proprio vicino alla villa degli Arcimboldi,  le avevano prese dagli spagnoli e da seimila milanesi che, in armi, avevano seguito il Duca Francesco Sforza. Anche ora, i francesi, per dire di una conquista che costerebbe troppo in confronto ai vantaggi dicono "c'est une bicocque".

Ma torniamo alla Moscova, al fiume che attraversa Mosca, e che vide il 7 settembre del 1812 scontrarsi da una parte i francesi, i polacchi, gli italiani e i tedeschi, dall'altra i russi. Ottantamila morti e un numero imprecisato di feriti fece la battaglia combattuta vicino al villaggio di Borodino.

Napoleone la definì "la più terribile delle mie battaglie"

Così sono le guerre. Producono morti come fossero una catena di montaggio di cadaveri, poi si glorificano in strade piazze e monumenti. Di questo macabro cimitero è pieno il mondo.

Tutta la zona è un museo di battaglie, di sbarchi eroici, di rivolte in armi: via Goito, via Solferino,   piazza Lega Lombarda. E via Cernaia, che ricorda la battaglia combattuta dai sardi in Crimea nel 1855. Nella realtà il nome del luogo è “ciòrnaia rièchka” (letteralmente “piccolo fiume nero”). Ma i torinesi lo sentivano troppo simile a un riferimento sessuale nel dialetto piemontese, ne cambiarono il nome in Cernaia e così finì nelle carte toponomastiche, non solo della città sabauda ma di tutta Italia.

 

L'asse portante della zona, come già detto, è il Corso Garibaldi. Una linea retta che da Lanza, attraverso Moscova e finisce alla Stazione "ex Varesine".

L'orgoglio nazionale, l'istinto di rivolta, la fierezza di un popolo di poeti, di artisti, di eroi, di santi, di pensatori, di scienziati, di navigatori, di trasmigatori (è scritto sul Palazzo della Civiltà Italiana dell’EUR a Roma) non potevano certo identificarsi con l'austero Mazzini o il sabaudo Cavour. Invece "l'eroe dei due mondi", un avventuriero, un massone, un contrabbandiere nelle foreste sudamericane, un pirata nell'oceano atlantico,  un marinaio nel Mediterraneo, un po' guascone, un po' millantatore, anticlericale e antimonarchico, la camicia rossa esibita come un socialista rivoluzionario e l'obbedisco al generale Lamarmora che gli intimava di fermare la sua avanzata verso Trento,  un "eroe" così impersonava forse al meglio l'italico sentire, fatto di gesti eclatanti e di fanfaronate, di imprese gloriose e di ritirate strategiche, di intransigenti principi e di flessibili aggiustamenti.

Poi, su quel chilometro che dall'incrocio di via Pontaccio corre fino a piazza XXV aprile, alla porta dedicata a Francesco d'Austria e reintitolata anch'essa a Garibaldi che, si dice, proprio da lì entrò in Milano dopo le battaglie combattute a Como, si concentrarono anche molte rivolte popolari. La più famosa quella causata dall'aumento del pane, repressa a cannonate dal generale Bava Beccaris, che porto in carcere Filippo Turati e Anna Kuliscioff. Proprio da largo La Foppa, che significa in dialetto buca, il "generalissimo" prese a bombardare il caffè Utopia sull'angolo di via Moscova. Il caffè era, da sempre, luogo di incontro di "sovversivi": massoni, anarchici, libertari, socialisti massimalisti.

Per vendicare gli oltre cento morti causati dalle bombe di Bava Beccaris, due anni dopo l'anarchico Gaetano Bresci uccise a Monza Umberto I° che il generale aveva premiato proprio per la sua feroce repressione.  

Ma l'utopia, risorse, come l'araba fenice, molti anni dopo negli stessi locale del caffè dei "sovversivi", questa volta come libreria. Risorse ancora come luogo di cultura ribelle, non conformista. Il nome lo stesso del bar: "Utopia" per rivendicarne la continuazione. E ancora anarchici, anticapitalisti, anticlericali, radicali. Tanti intellettuali, da Umberto Eco a Fernanda Pivano, da Fabrizio De Andrè a Lucio Dalla. 

Per anni la vetrina sul corso Garibaldi e le tre vetrine su via Moscova hanno riflesso la risata di Bakunin, il sarcasmo di Malatesta, il rigore di Bertand Russel. Ad un tratto, sul lato opposto, di largo La Foppa è comparso il bar Radetzky. Generale austriaco, imparentato per via della moglie la contessina Francesca Romana von Strassoldo Grafenberg  con la potente famiglia Strassoldo, a cui apparteneva Guido Strassoldo, governatore di Milano dal 1818 al 1830. Radetzky era ormai stabilmente residente a Milano, nel palazzo Arconati di via Brisa, quando prese a cannonate le barricate dei milanesi il 18 marzo del 1848, primo dì delle "cinque giornate". Fuggì, il generalone, come il Mussolini del '45, su un carro di fieno per non essere riconosciuto dai rivoltosi. Ma, a differenza di Benito, il 6 agosto Radetzky col suo esercito rientrò a Milano marciando trionfalmente per le stesse strade che aveva riempito di cadaveri con la sua politica di ferocia repressione. Per questo atto, il rientro a Milano, Johamm Strauss padre gli dedicò la famosa "marcia trionfale".

Chissà se qualcuno degli attuali clienti del Radetzky, inteso come bar, conosce la storia.  Dubito.

Archiviamo la libreria "Utopia"con i suoi ideali e le sue chimere e prima di lasciare il Garibaldi ancora almeno altre segnalazioni.

Paolo Sarpi, la Chinatown più bella d’Europa, come l'hanno definita alcuni giornalisti inglese, quella dove si mangia meglio. Non un luogo turistico, ma un quartiere di Milano che, dopo molte difficoltà, si è aperto alla città e vive senza traumi la doppia identità: quella cinese e quella italiana. Il collant? Ma la milanesità ovviamente.

La quinta teatrale della porta Garibaldi con sullo sfondo i nuovi grattacieli di Gae Aulenti. le case ottocentesche e i grattacieli del duemila.

La Fondazione Sozzani, su quel corso Como "un paradiso abitato da diavoli" come diceva di Napoli Arlotto Mainardi, detto il Piovano . La Fondazione Sozzani realizzata dalla "Signora della moda" dentro a una vecchia officina Renault quando il corso era ancora aperto al traffico è l'unico luogo a Milano deputato, ogni anno, a esporre le immagini del "World Press Photo Exhibition".

 

 


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