Famagosta
19/10/2020 di Luigi Lusenti
La “Milano sotto il livello dell'asfalto” ha un altro sbocco in superficie, sempre sulla linea verde, la due. E’ dopo la stazione di Famagosta, a sud, ove la città comincia a perdersi fra i campi, gli accampamenti degli zingari e i centri commerciali. Dalla banlieu settentrionale a quella meridionale. Sarà per questo che la linea due è detta anche “la proletaria”. Perché lambisce il centro senza attraversarlo. Come quei pendolari che ogni giorno arrivano nella “grande mela” lombarda, una toccata e via.
A Famagosta si spreca il cemento armato. Il parking per le macchine, il sottopasso per gli autobus, l’orrendo mostro di piazza Maggi, voluto dal sindaco Gabriele Abertini, l’amministratore di condominio, che pure la targa col suo nome ha imposto. L’ecomostro ha fatto molte vittime. Purtroppo ne farà altre.
Dal sottopasso di Famagosta partono i pullman per la bassa. Nomi che ricordano la nebbia, le rane, le risaie. Castelli viscontei, rogge e canali, palio dell’oca e salame d’oca. E sonno pesante di pendolari di mattina e di sera.
Binasco, Motta Visconti, Lacchiarella, Zibido, Besate, Rosate. Nomi di tradizione lombarda, dialetti e nebbia, quella densa “che non si taglia neppure col coltello”. Oggi molto meno tradizione. Facce scure dell'Africa centrale, accenti slavi confusi ai latini.
Nei primi anni duemila, quando i vagoni verdi facevano capolinea a Famagosta, sul retro della stazione, sul palco del Palatenda insediato al posto di un parcheggio, si esibivano le pornostar del MI-SEX. La “fiera del sesso” si è poi trasferita un poco più a sud, a Milano Fiori. Dopo poco l’ha raggiunta anche la linea verde con le due nuove fermate di Assago Nord e Assago Sud.
Famagosta è un ragno gigante che tesse la sua tela in continuazione. Un sistema di svincoli, percorsi obbligati, corsie preferenziali, passaggi per abbonati, passaggi riservati. E degrado utile solo a un film di Tarantino. Se ci entri non esci se non ripassando dal via, tornando, cioè, al sottopasso dei bus e dell'inquinamento che ti brucia in gola come varechina. Monossido di carbonio, diossido di zolfo, PM10 a colazione, a pranzo e a cena. Panchine in disuso, cestini dei rifiuti in disuso, cartelli indicatori coperti da scritte e disegni: benvenuti a Famagosta oltre la quale tutto sembra diverso.
La morfologia della stazione è a pianta larga con molte uscite e lunghi corridoi che portano all'aperto o conducono in altri cunicoli come nelle case degli specchi. Come il personaggio di Viktor OlegoviÄ Pelevin in Freccia gialla che non riusciva a scendere dal treno, così potresti non riuscire mai a trovare il varco che conduce all'aperto, irretito da venditori ambulanti, bazar asiatici, un giornalaio tempio delle slot e un bar del tutto simile allo spazio porto di “Guerre Stellari”.
Negli anni settanta, quando i vagoni della “proletaria” viaggiavano solo fra Caiazzo e Gobba, piazza Maggi era uno slargo. Quattro viali e al centro una grande aiuola. Un piazzale di periferia estrema da cui partiva, come oggi, la bretella per la Serravalle l'autostrada che collega Milano al suo mare, quello ligure. Attorno aumentavano le costruzioni, i grandi palazzi che si mangiavano i campi e i casermoni che si portavano via fette di cielo. Piazza Maggi era il punto di partenza delle vacanze estive. La tribù dei sacchi a pelo, degli zaini, delle chitarre occupava stabilmente l'angolo fra il viale Famagosta e lo svincolo per l'autostrada. Genova, La Spezia, Ventimiglia le mete dei giovani autostoppisti. Tutte che ruotavano attorno a un pollice vagabondo, speranzoso, forse anche incosciente. Un pollice ambivalente, antagonista e complice al contempo. Segno di sfida e di libertà. Più che la meta contava il viaggio. Una lapide il Comune dovrebbe metterla, anche se ora nessuno saprebbe più indicare con precisione l'angolo. All'incirca adesso c'è una svolta a destra senza obbligo di precedenza.
L'autostop è morto, forse l'hanno ammazzato i voli low coast, i pulman low coast, i treni low coast. Basta avventura, app. che organizzano tutto e pure ti fanno incontrare l'anima gemella. Finiti i suoi cantori, la beat generation, Kerouac, Janis Joplin . E' rimasto solo Ferlinghetti, il leggendario Lawrence, che ha compiuto cento e un anno, il 24 marzo. E il “compagno Francesco” con la mitica “Statale 17”.
Se non ci sono più gli autostoppisti neppure la strada ha motivo più di esserci. Ma forse è vero anche l'incontrario: se ti tolgono la strada che senso ha ancora andare “on the road”. L'ultimo autostoppista fu forse Graziano Messina”il re del Supramonte”, evaso dal carcere e fermato, con la compagna Valeria Fusè, dalle parti della rotonda per Genova, il 15 aprile dell'84, intento a chiedere un passaggio col pollice ben in vista.
Da Famagosta un peduncolo porta i vagoni fino a piazzale Abbiategrasso ove sostano i tram per Gratosoglio e Rozzano. Rozzangeles nello slang del posto. Rozzangeles con l'asparago della torre Telecom che vedi a chilometri di distanza, un faro che guida le auto sulla tangenziale sud. L'altra diramazione punta su Assago, ma non al paese, che neppure diecimila anime mica se la possono permettere una metropolitana. Manco dovrebbero chiederla. No, punta su Assago Milano Fiori, su Assago Palaforum, su Assago Carrefour, su Assago Leroy Merlin, su Assago Pitta Rosso.
Sulla banchina direzione Assago/Abbiategrasso si vede bene la diramazione dei binari, come nei baracconi delle fiere, nella casa delle streghe con i vagoni che improvvisamente sterzano a destra o a sinistra. Quattrocento metri e come il bruco che esce dalla mela, la linea due perfora la terra e si palesa correndo di fianco all'autostrada, scarta Cantalupa, che, a discapito del nome, non è un quartiere ubicato a Roma ma sulla “via del mare”, cioè il raccordo fra la barriera della Serravalle e piazza Maggi. Un quartiere intero che occupa una piazzola d'autostrada, fra un benzinaio, un gommista, un albergo e un pizzaiolo del tutto simile a quei fast food che incontri nei Balcani, al confine fra la Serbia e la Macedonia.
Villette a schiera e ville con giardino. Qualche casermone da urbanizzazione forzata. “Quartieri problematici”, li definisce Gianni Biondillo lo scrittore di Quarto Oggiaro: “Fabbriche dell'infelicità” perché rinchiuse su se stesse, ove gli spazi contengono il nulla. Spazi limitati. Cantalupa è così chiuso fra il limite e il nulla. Fra l'autostrada A7 e i binari della proletaria. Quando la metropolitana verde è stata prolungata fino ad Assago nessuno si è ricordato di Cantalupa. Nessuno ha pensato di buttare cento metri di cemento e costruire un pensilina per fare una stazione della metropolitana. Agli abitanti di Cantalupa è rimasto solo il ruggito dei treni della MM2 che passano come galeoni fantasmi nel far west padano,
Barona, Cantalupa, Caimera: tutta la zona sud, attorno alla fermata Famagosta, è terra di quartieri isolati che paiono avamposti, circondati da campi e lunghe piste d'asfalto. Cantieri ovunque, gru che svettano nel cielo. Ponti che scavalcano autostrade, zone industriali e ipermercati. La linea dell'orizzonte che incrocia la verticale dei cartelloni pubblicitari.
Smarrite, nella polvere e nello smog, vecchie cascine abbandonate oppure tornate agli antichi splendori. Cascina Rossa, ora parco e biblioteca con la cappella Santa Maria alla Fonte, dei frati Cappuccini. Cascina Monterobbio con i presunti affreschi di Hayez e il soggiorno, vero e provato, di Napoleone Bonaparte. E poi Cascina Campazzino, Cascina Gazzoli.
Nel tessuto ormai slabbrato di viale Famagosta, un altra smagliatura è il nuovo megastore della Esselunga, voluto con tenacia dall'ex patron Caprotti, di fronte ai suoi nemici rivali della Coop Lombardia che occupano il lato nord dell'inizio del viale. Ma poi l'affaire si tinge di giallo, meglio diventa spy story. C'è chi dice che dietro Esselunga ci fosse il Gruppo Rockfeller, che i soldi nei primi anni 50 li avesse messi il miliardario americano e che continuasse ad essere un socio “occulto” di Bernardo Caprotti da Albiate. Chissà cosa diranno i “compagni di falce e carrello” se sul lato opposto del viale dovesse arrivare prima o poi l'Amerikano. ..