Storia a puntate della linea verde della metropolitana milanese, la "proletaria"

Centrale FS


03/04/2021 di Luigi Lusenti

Dopo Quentin Tarantino e dopo Brian De Palma è il turno di Stanley Kubrick. E il film è Shining. Ma non possiamo citarlo senza ricordare il romanzo a cui si ispirò Kubrick, romanzo il cui autore è poco meno che Stephen King. Dopo richiami così illustri potrei anche lasciare la Stazione della MM2 che si chiama, per precisione, Centrale FS.

Ma potrei abbandonare i miei lettori, pochi o tanti che siano, con la curiosità? Che c'entrano i due maestri del cinema e della letteratura horror? Percorrete i lunghi  passaggi che corrono sotto la piazza Duca d'Aosta e congiungono la Stazione della MM2 con via Vitruvio, via Galvani, via Pirelli, via Napo Torriani, via Ferrante Apporti. Cunicoli vuoti, silenziosi, spettrali. Manca solo il bambino sul triciclo che corre sulle passatoie dell'albergo nell'attesa delle "maledette gemelline" della stanza 237.  Manca Jack Nicholson con lo sguardo folle che vuole uccidere tutti a colpi di ascia. 

Ecco allora che la Stazione Centrale FS della "proletaria"  assurge a luogo di culto, come la villetta del commissario Montalbano a Marinella, il ranch del "cattivo" JR a Dallas,  la casa di Pepe Carvalho a Vallvidrera.  

 

 

 

L'ecomostro si propaga nelle viscere della linea verde. Un piazzale con edicola raccoglie le uscite della linea 2 che qui, come a Garibaldi, "ospita" la gialla, quella che chiamano "multimediale" perché rompe lo stile anni sessanta della rossa e della verde. E un po' spiace questa eresia. Infatti tutti a Milano pensiamo che la metropolitana siano la linea 1 e la linea 2. Il resto no, serve ma non c'entra. Da quella piazzetta partono scale a chiocciola, ascensori e tapis roulant verso la Stazione dei treni che molti definiscono fascista ma che in realtà si rifà a una stazione americana, quella di Washington.

E quindi la storia della fermata metropolitana Centrale è soprattutto la storia della stazione ferroviaria, quella strana zampa appoggiata sul limite nord della piazza, con i due leoni che spruzzano acqua non si sa quando e perché. 

Della Stazione Centrale di Milano, e della sua "depandance" nella subway, si possono versare non fiumi ma oceani di inchiostro a partire dal racconto delle sue pareti affrescate con rara eleganza: i cavalli alati sulla facciata, i medaglioni della Galleria delle Carrozze, le lampade Deco, le arcate in ferro in stile liberty che coprono i binari. 

Un crescendo di colori che smentisce chi vede la stazione Centrale di Milano solo in bianco e nero: marmi gialli, rossi, rosa, pavimenti a mosaico con le aquile e i fasci. Un inseguirsi della storia, dall'impero romano a quello mussoliniano. I segni zodiacali che ornano il Salone delle biglietterie. Le ceramiche di Cascella; animali alati, leoni, dei e imperatori. E la  "Sala Reale", sala d'attesa per i reali di Casa Savoia e della loro corte, divisa in sala reale e sala delle armi. Purtroppo raramente aperta al pubblico. 

 

Ma tutto questo lo descrivono anche meglio le guide turistiche e i libri d'arte e cultura dove  leggiamo pure il giudizio di uno dei più celebri architetti di tutti i tempi, Frank Lloyd Wrightla stazione centrale di Milano è la più bella del mondo!

Fermi lì. basta così. Torniamo al nostro racconto fatto di quotidianità, Di piccole storie e 

di momenti di vita. Di una umanità feroce e altruista, cose non sempre contrapposte, anzi a volte complementari.

I cunicoli sotterranei e i rifugi antiaerei del tempo di guerra che, prima del lifting a cui hanno sottoposto la Stazione Centrale di Milano, facevano da fondamenta all'intera costruzione erano dimora di una umanità uscita direttamente dalle pagine de "I miserabili" di Victor Hugo, cantata ne "La ballata degli impiccati" di Fabrizio De André.

Ora al posto di mendicanti, materassi fetidi, coperte rattoppate, cartoni e candele ci sono negozi per lo shopping smart, ma anche no.

"L'umanità dolente" si è così spostata in piazza, all'aperto, sotto gli occhi di tutti. Come un "empio quadro" di Guttuso, così lo definì l'autore, che lo dipinse nel 9141 e lo intitolò "Crocefissione".

 

Piccoli frammenti di ricordi di quando la Stazione Centrale di Milano era solo e soltanto partenze e arrivi, con i taxi prima verde nero e poi giallo che arrivavano fin sotto la volta caricando e scaricando i viaggiatori. Di quando era presa d'assalto d'agosto alla chiusura  delle grandi fabbriche e tutti, lo stesso giorno, la stessa ora si accalcavano verso i treni per il "mezzogiorno d'Italia". I migranti italiani che tornavano a casa, nel meridione, dopo 11 mesi di lavoro fra nebbia, zanzare e smog.

Pochi ricordano che una "Bossi - Fini", me lo ha raccontato Antonio Pizzinato, esisteva già negli anni cinquanta. Forse non era una legge, forse era solo una direttiva di pubblica sicurezza. Così in Centrale si fermava chi arrivava con i treni "a lunga percorrenza", quelli del sud. "Hai un lavoro?", "hai un posto dove andare a dormire?". E chi rispondeva no, oppure balbettava qualcosa era rimesso sul treno e rispedito da dove era venuto. 

In un mondo simile, quando non esisteva la foto a colori e la tv aveva il tubo catodico, dove l'immancabile "nazionale" pendeva dalle labbra del commissario di turno alla Centrale, non poteva mancare il genio creatore di Giorgio Scerbanenco. 

Allampanato e dallo sguardo isterico, il russo meneghino, non solo ha ambientato un suo romanzo, "Stazione Centrale, ammazzare subito", alla Centrale ma frequentava anche il bar alla destra dei binari, sotto la volta della Galleria delle Carrozze. "Polveroso, col cameriere villano e le copie de "La Notte" e "Il Corriere lombardo" sui tavoli." Servivano un caffè a volte stopposo, a volte lungo come inchiostro e le brioche sembravano razioni della guerra.

 

Sarà per quello che Carlo Lizzani apre il suo film La vita agra, dal romanzo di Luciano Bianciardi proprio in Stazione, davanti al modellino della Andrea Doria, posta al centro della Galleria e, all'epoca prima che fosse rimosso, luogo di incontro dei milanesi. Certo, il personaggio di Bianciardi, prima di integrarsi dentro al sistema, ha la mente imbottita di tritolo e di anarchismo toscano, un carico che gli dovrebbe permettere di far saltare il grattacielo della Montedison in Largo Donegani.  Purtroppo le stragi degli anni seguenti non furono così "innocenti" come quelle ideate ma mai messe in atto dal Luca "bianciardiano". 

Finiamo col dovuto ricordo del "binario 21", l'inizio dell'orrore nazifascista a Milano. Il luogo della deportazione per tanti ebrei e non solo, verso i lager tedeschi. Quasi nessuno è tornato da quei viaggi. Oggi il "luogo maledetto" è un memoriale. E' visitabile ogni lunedì dalle 10 alle 20. Alle 18:30 vi è la possibilità di un tour guidato. 

 

 

 


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