The Lady In The Balcony - The Lockdown Sessions<small></small>
Jazz Blues Black • Blues • Rock

Eric Clapton The Lady In The Balcony - The Lockdown Sessions

2021 - Mercury Studio - Universal

29/11/2021 di Leandro Diana

#Eric Clapton#Jazz Blues Black#Blues

La “signora in galleria” del titolo è Melia McEnery Clapton, moglie di Eric e unica spettatrice di un concerto del tutto particolare. Verso la fine dell’inverno scorso, dopo aver dovuto cancellare le date di maggio alla Royal Albert Hall a causa della pandemia, lo staff di Clapton si è chiuso in un bolla alla Cowdray House, nel West Sussex e dopo soli tre giorni di prove ha registrato le diciassette canzoni che compongono questo insolito live senza pubblico, con una formazione ridotta a un pugno di collaboratori storici del Nostro: Steve Gadd alla batteria, Nathan East al basso, contrabbasso e cori e Chris Stainton alle tastiere, oltre allo stesso Clapton all’unica chitarra (per lo più acustica, tranne che nelle ultime tre canzoni del disco) e voce. Ridotti all’osso anche le sonorità, per lo più minimaliste, ma non per questo meno affascinanti… anzi! L’essenzialità dona nuova profondità a molte delle canzoni qui riproposte, non senza innovazioni nelle linee melodiche e negli arrangiamenti.

Cosa c’è da dire di nuovo su Eric Clapton nel 2021? Che continua ad essere un chitarrista e personaggio controverso? E chi non ha almeno un paio di opinioni controverse? Non è forse il rispetto per la diversità di vedute il fondamento di ogni convivenza civile? Che è uno dei padri della chitarra moderna? Niente che non si sapesse già… Ancora padrone del suono delle sue Martin e delle sue Fender, con qualche saltuaria leggerissima imprecisione dovuta più alle patologie neurologiche di cui soffre ormai da anni che all’età, la voce leggermente più nasale del solito, è un Clapton rilassato e intenso quello che esegue queste diciassette canzoni, tra blues, vecchie ballate, classici rivisitati e nuove composizioni. E insolitamente in vena di dediche: da Believe in life (da Reptile) dedicata alla sua “signora in galleria”, a Black magic woman dedicata al suo autore Peter Green, fino all’inedito strumentale Kerry, dedicato al suo fonico di palco, recentemente scomparso. 

Dicevamo degli arrangiamenti… in realtà, come le gran signore del jet set, nessuna canzone qui riproposta indossa la stessa veste con cui era stata fissata per la prima volta su disco o il solito abito di scena riproposto in tanti live: la formazione a quattro e i suoni morbidi ed acustici hanno ispirato Clapton a rivisitare i suoi cavalli di battaglia, trovando per quasi tutti un vestito nuovo che rende – già di per sé – appetibile l’acquisto del disco. Se Nobody knows you when you’re down and out recupera un sapore vaudeville con il pianoforte in primissimo piano, Golden ring perde l’inflessione vagamente reggae che aveva su Backless per recuperare una dimensione più compiutamente folk (che, d’altra parte, la presenza della fisarmonica già al tempo suggeriva). La versione di Black magic woman, col suo cantato pacato e dolente rende giustizia alla sofferenza nel testo, riconvertendola nel blues che avrebbe voluto essere e non è mai stata. After midnight resta “sospesa” e, allo stesso tempo, più rock e meno caraibica che mai grazie all’intreccio di pianoforte e contrabbasso; la nuova linea melodica di Bell bottom blues ne accentua la mesta disillusione mista alla sua accorata preghiera; Key to the highway non era mai stata così barrelhouse, trainata dal pianoforte; la nuova versione di River of tears a distanza di oltre vent’anni, pur se cantata con voce quasi rotta dall’emozione, sostituisce la furiosa disperazione della versione originale (su Pilgrim) con una quieta e matura rassegnazione. Novità – per lo più ritmiche – in vista anche per Layla mentre l’esecuzione di Tears in heaven sembra quasi un tentativo di rimuoverne la tragicità nascondendola dietro una veste più vivace, ma il risultato non è all’altezza, nonostante i complimenti reciproci a fine esecuzione, registrati e lasciati nel mixaggio finale.

Ma è l’elettricità delle ultime tre canzoni, tutti standard blues, a dare un twist al disco. Buona parte dell’interesse, oltre al ritorno della chitarra elettrica, che inevitabilmente “elettrizza” con effetto immediato l’atmosfera, è la circostanza che Clapton non aveva mai registrato nessuna di queste tre canzoni su disco, il che – a mio avviso – rende ulteriormente interessante l’intera operazione.

Long distance call fa parte del repertorio autografo di Muddy Waters, quello più caratterizzato da sentimenti di riflessività e nostalgia (al contrario delle spumeggianti canzoni scritte per lui da quel geniaccio di Willie Dixon). La versione di Clapton è lontana dalla cupezza notturna dell’originale, ma nondimeno ascoltare Manolenta che suona un classico di Muddy Waters ben poco frequentato è, di per sé, fonte di curiosità e – per i suoi molti fan – di pura beatitudine. Atmosfera a parte, l’esecuzione è un tributo all’originale in tutto e per tutto, quasi nota per nota.

Bad boy è un classico minore di Eddie Taylor, braccio destro di Jimmy Reed, pubblicato nel 1955. Anche questo è eseguito molto fedelmente all’originale, forse appena più lento, il che conferisce all’incedere del pezzo un carattere forse ancora più assertivo.

Chiude il disco il classico dei classici, Got my mojo working, il canto incredulo con cui Muddy Waters non si capacitava di come il mojo (talismano) in suo possesso funzionasse con tutte tranne che con la donna che aveva davanti: una parac…ehm furbata inaudita ma di sicuro effetto. La versione qui proposta manca quella spinta propulsiva micidiale tipica del pezzo e che renderà immortale l’esecuzione al Newport Jazz Festival del 1960, ma è anche vero che quattro uomini in là con gli anni in un’enorme sala vuota popolata solo da cameramen non è esattamente il contesto migliore per lasciarsi trasportare dal sacro fuoco di un blues come questo… Il che è, alla fine, il motivo per cui l’intero disco naviga in territori acustici e riflessivi, sicuramente più consoni all’atmosfera e all’animus loci.

Vale la pena ascoltare un disco live acustico di Eric Clapton nel 2021, quasi trent’anni dopo quel capolavoro immortale che è il suo MTV Unplugged? Diciamo che se siete tra quelli che ritengono Slowhand un chitarrista mediocre che ha fatto fortuna sulla militanza di pochi anni in un gruppo oggettivamente innovativo come i Cream e sulla banale riproposizione di composizioni altrui, non è questo il disco che vi farà cambiare idea. Ma se siete convinti che Eric Clapton sia un chitarrista, autore e interprete raffinato e dalla personalità unica non potrete che godervi questo disco quanto e più di quanto possa esserselo goduto la signora in galleria, fortunata spettatrice unica di un’esibizione a sua volta unica nella carriera di un personaggio che, nel bene o nel male, ha fatto la storia della chitarra e che a settantasei anni, nonostante una malattia degenerativa invalidante, continua a regalarci, con debordante personalità, perle di rara eleganza.

 

Track List

  • Nobody Knows You When You&rsquo;re Down And Out
  • Golden Ring
  • Black Magic Woman
  • Man of the World
  • Kerry
  • After Midnight
  • Bell Bottom Blues
  • Key to the Highway
  • River of Tears.
  • Rock Me Baby
  • Believe in Life
  • Going Down Slow
  • Layla
  • Tears in Heaven
  • Long Distance Call
  • Bad Boy
  • Got My Mojo Working

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