Nothing But The Blues<small></small>
Jazz Blues Black • Blues • Rock

Eric Clapton Nothing But The Blues

2022 - Reprise

21/09/2022 di Leandro Diana

#Eric Clapton#Jazz Blues Black#Blues

Nella mente dei discografici della Reprise, Nothing But The Blues è giusto la colonna sonora di un documentario diretto da Martin Scorsese e trasmesso in tv in USA nel lontano 1995, e recentemente rimasterizzato e pubblicato. Ma si sa che i discografici non ne capiscano molto di musica. Perché questo album è ben lontano dall’essere la semplice colonna sonora di un documentario televisivo su un gigante della musica del secondo Novecento, ma è la vera e propria chiusura di un cerchio aperto trent’anni fa, o forse sessanta… o forse prima ancora. Dalla culla… alla tomba. From the Cradle, to the grave....

Nient’altro che il blues. Anzi “i blues”. Il rapporto di Clapton con il blues non è cosa recente, ma è il motivo per cui ha preso in mano una chitarra, in primo luogo. Ha lasciato i due gruppi più importanti della sua carriera all’apice del successo perché si erano allontanati troppo dal blues, che era l’unica cosa che importasse davvero al giovane Eric. Tuttavia, voto per i trent’anni, ma solo per noi poveri fan, giacché si tratta del sunto di due concerti tenuti al Fillmore di San Francisco l’8 e il 9 novembre 1994, appena due mesi dopo la pubblicazione del disco From The Cradle (il 12 settembre). Tour epocale per un disco epocale. E non uso l’aggettivo tanto per esagerare: basta andare a vedere una qualunque blues band (o blues-rock band) dal vivo in un qualunque pub sotto casa per fare i conti con una verità innegabile: From The Cradle ha rappresentato la prima ma definitiva stretta di mano con il blues per un’intera generazione. La mia.

Gli anni ’80 avevano fatto malissimo al blues (non potevi certo innamorarti di Georgia Tom e Tampa Red ascoltanod George Thorogood, no?); i suoni e le atmosfere del Southside di Chicago degli anni ’50 sembrava irrimediabilmente perso nelle nebbie id un passato mitico, irripetibile nell’epoca delle big drums, dei sintetizzatori e dei riverberi digitali. From The Cradle fu dirompente proprio in questo: dimostrò a una manica di ragazzini brufolosi nati nella seconda metà degli anni ’70, che con la passione per il blues, l’amore per la sua tradizione e gli strumenti odierni, in un moderno studio di registrazione, era ancora possibile fare blues vero, che suonava verosimile accanto ai modelli classici, che non sconfinava nel rock e che manteneva tutta la verità interpretativa, l’urgenza espressiva e l’eccitazione febbrile di un genere musicale nel pieno del suo vigore. Per non parlare della scelta del repertorio: una manciata di classici (pochi maggiori e molti minori) di artisti non molto frequentati dal mainstream, ripescati e consegnati a una nuova generazione nel modo e nel momento giusto: oltre ai Muddy Waters, ai Willie Dixon d’ordinanza qui ci sono pezzi di Leroy Carr, Jimmy Rogers, Eddie Boyd, Elmore James, Freddie King e una strepitosa Sinner’e Prayer che paga il giusto tributo alla sottovalutata versione di Ray Charles, anziché a quella classica di Lowell Fulson.

Una scelta di canzoni che – complici il suono perfetto, l’atmosfera impeccabilmente “fifties” e una band spaventosamente brava – rimarranno imprese a fuoco nel DNA dei ragazzini brufolosi di cui sopra che, alla prima occasione (fosse al pub sotto casa o in apertura del disco d’esordio con Beth Hart alla voce) non mancheranno di riproporne la propria versione, rispettosa del modello di riferimento ma inevitabilmente maturata in decenni di ascolti privati continuati. Non credo di esagerare se dico che la tracklist di quel disco sia stata – e sia ancora oggi – la base per le scalette dei concerti per una generazione di blues band. Ho le prove. Chiudo la retrospettiva azzardando che, forse, quel disco è stato la ragione per cui dopo una generazione (di musicisti di quartiere) cresciuta a Blues Brothers e The Commitments (e George Thorogood) ne è arrivata una che è tornata a riproporre i suoni sanguigni della Chess Records

Se i fan della prim’ora hanno aspettato 30 anni per un disco interamente blues, ce ne sono voluti altri 30 per avere il corrispettivo disco live. Ma finalmente eccolo qui. La band è l stessa del disco, con l’unica differenza di Andy Newark dietro i tamburi al posto di Jim Keltner (e la differenza, senza nulla togliere a un pezzo di storia come Newark, si sente) e con, particolarmente in evidenza (come sul disco) la monumentale armonica di Jerry Portnoy. Il repertorio è sovrapponibile a quello del disco (che comunque – giova ricordarlo – era registrato interamente live in studio) con un pugno di gustosissime addizioni, dalla Blues All Day Long di Jimmy Rogers (che Clapton risuonerà con Jeff Healey e con lo stesso Rogers nel tributo di duetti Blues Blues Blues del 1999) a una Forty-Four orgiastica (quindi perfettamente coerente con la versione di riferimento, ossia quella di Chester Burnett, meglio noto come Howlin’ Wolf), da Early In The Morning (che aggiunge Louis Jordan ai padri fondatori celebrati dal Nostro) a una stupefacente versione di Crossroads (qui distante dal classico hard rock ante litteram della versione dei Cream), uno slow funk caraibico che profuma delle strade di New Orleans, e che fa il paio con una fedele versione acustica di Malted Milk (sempre di Robert Johnson), passando da Everyday I Have The Blues (dell’oscuro pianista Pinetop Sparks, ma resa immortale da Count Basie e B.B. King) e Have You Ever Loved A Woman (Freddie King). La band è davvero stellare e Clapton è nei suoi anni migliori della maturità, finalmente sobrio e dolcemente abbandonato alla grande passione di una vita, che sguazza e nuota come un delfino nella placenta che gli ha dato i natali.

Sul documentario ho poco da dirvi, così come non ho nulla da aggiungere per cercare di convincere i detrattori di Clapton che valga la pena comprare questo disco. Ma sono certo che chi, come me, ha amato From The Cradle, conosce già questo live a memoria, nota per nota. Per gli altri, se hanno voglia di conoscere la più vera e intima anima di Eric Clapton non c’è punto di partenza migliore.

Track List

  • Blues All Day Long
  • Standin ` Round Crying
  • Forty - Four
  • It Hurts Me Too
  • Early In The Morning
  • Five Long Years
  • Crossroads
  • Malted Milk Blues
  • Motherless Child
  • How Long Blues
  • Reconsider Baby
  • Sinner`s Prayer
  • Everyday I Have The Blues
  • Someday After A While
  • Have You Ever Loved A Woman
  • I ` m Tore Down
  • Groaning The Blues

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