Note Di Donne

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Note Di Donne I dischi di Talea, Maura, Iosonocobalto e Giulia Pratelli

31/07/2023 di Ambrosia J. S. Imbornone

#Note Di Donne#Emergenti#Alternative #synth-rock

Quattro dischi diversi da ascoltare e da scoprire, tra pezzi sognanti e poetici, indie-pop atmosferico, electro-rock incisivo, pop-rock scintillante, cantautorato acustico e indietronica liquida ed eterea.
Dopo un EP in inglese, Tales, la venticinquenne marchigiana Cecilia Quaranta, in arte Talèa, già in gara a X-Factor 2022, ha pubblicato il suo primo album, Aura (Vrec Music/Audioglobe), prodotto, mixato e masterizzato da Flavio Ferri e questa volta cantato interamente in italiano. Il titolo del lavoro prende spunto dall’emicrania con l’aura, problema di cui la giovane artista ha scoperto di essere affetta nel 2017; tale tipo di cefalea diventa quindi sia il suo filtro per il reale che una specie di metafora per relazioni ormai sfocate e abbagli frequenti. All’amato folk si affianca (come nell’iniziale Tempie, o in Spigoli, in un connubio/attrito fascinoso) o, più spesso, sostituisce un’elettronica liquida ed eterea, dolceamara e sognante, che fa oscillare le canzoni tra electro/synth-pop accattivante come le interpretazioni, evanescenze quasi ambient e intima, impalpabile indietronica in arrangiamenti curati e raffinati. A proposito di suoni rarefatti, suggestiva è Ombre, che inizia minimale con cori diafani; la danza è qui catarsi, libertà e quasi riscatto del corpo e dell’incontro. Spiazza invece il crescendo “esplosivo” che squaderna Bianco, che pure parte essenziale ed è chiusa dalla chitarra acustica.
Anche alcune linee di piano o tastiere risultano inoltre piuttosto evocative, come in Sconnessi, in cui è Antonio Aiazzi (già nei Litfiba, co-autore del brano) a suonare il pianoforte, o in Vuota.

Nei testi, spesso altrettanto eterei come la musica, si parte proprio dall’emicrania con l’aura, tra percezioni e sintomi, per poi parlare di chi tenta di cercare e “azzardare soluzioni differenti”, ma si accorge di continuare a “scavare l’acqua / dove hanno rinunciato / anche se non rimane traccia / di quanto a fondo abbia graffiato” (Vetri; il verso “Continuo a scavare l’acqua” si ripete anche nella conclusiva Bianco e chiude il disco). Stencil si concentra su persone ridotte a esseri inutili e identici; ancora, nei versi si affrontano la necessità di capire cosa si desidera davvero, oppure gli Spigoli”, “inciampi nella strada e nella fretta”, le “paure”, le “pieghe”, i “graffi” e le “smagliature”, “polvere da ardere / Nei buchi dei ricordi e nelle paglia dei rimpianti” (Caleido).

Le undici tracce, come l’album, hanno sempre titoli composti da una sola parola; testi e musica sono di Cecilia Quaranta, ma ha ringraziato anche Nicola Lotto per l’assistenza nella stesura dei versi e in sei brani è stata affiancata nella composizione da Flavio Ferri; la decima traccia è poi la cover di Amandoti dei CCCP che l’ha fatta conoscere al grande pubblico, una versione che combina suoni delicati quasi da carillon, sonorità acustiche e oniriche (e la fisarmonica di Aiazzi). Foto di copertina dell’album di Lilian Capuzzimato.



Si intitola invece Storie di arcieri e altri animali (Deposito Zero Studios / Porto Records / The Orchard) l’album di debutto di Maura (Fatima Maura Zucchi), eclettica artista bolognese per adozione, classe 1998. Nell’album indaga soprattutto il tema della vulnerabilità, anche attraverso lo “strumento potente” del corpo; d’altronde “la tua pelle è un po’ un diario / Il frasario di un linguaggio / Che non parlo / Ma capisco certamente”, canta l’artista in Quando ho visto te.
Si parte proprio dalla fisicità di sensazioni e particolari nel primo singolo tratto dal disco, Nel mio bosco, per raccontare un incontro di storie e di pelle, mentre la musica stempera e insieme alimenta la sensualità del brano con un afflato poetico e sognante. Segue il secondo singolo, Terra bruciata, un brano indie-rock, tra synth, ritmi accattivanti e chitarre, apparentemente lieve, ma che affronta delicate dinamiche famigliari, tra rifugi/esili in soffitta e la “linea sottile / tra l’essere umili ed essere inconsapevoli”, tra essere buoni e consentire agli altri in qualche modo di approfittarsene. Il viaggio attraverso le fragilità prosegue con immagini delicate, altalene emotive, con le morbidezze di un pop atmosferico, con melodie dolciastre ed evanescenti che cantano l’essere “nuda e senza schermo” (Senza addosso stronzate); si veleggia poi tra l'indie-pop contemporaneo e un'elettronica vaporosa e quasi ballabile, che narra l’incontro con una “disinvolta crudeltà”, che si spaccia per ingenuità per distruggere e sconsacrare. Si prosegue ancora con ballate agrodolci, introspettive e malinconiche che mettono a nudo assenze e mancanze, linee di piano e sfondi rarefatti e liquidi, per cullare i pensieri e le risposte che non ci sono.
Gli otto brani sono stati scritti da Maura con Mattia "Matta" Dallara e Francesco “Ponz” Pontillo, produttori del lavoro; direzione artistica e progetto grafico: La Blet.



È stato pubblicato il 24 maggio invece l’album d’esordio della piemontese Serena Manueddu, alias Iosonocobalto, un disco autobiografico intitolato Non avere paura del buio (distribuito da Boc Music Group), con dieci canzoni da lei composte tra il 2018 e la prima metà del 2020, prodotte e arrangiate da Filippo Cornaglia (che nel disco suona tastiere e pianoforti). Emerge qui una personalità ben definita, che si presenta nel primo e programmatico brano del disco come “il cielo terso che ti sovrasta / in equilibrio sul mare gonfio di tempesta” e con sonorità electro-rock incalzanti e raffinate e si nutre di uno stile immaginifico e interpretazioni a tratti quasi teatrali (v. i momenti parlati appunto di Io sono Cobalto). Tra chitarre acustiche e ritornelli di un avvolgente baroque pop à la Florence and the Machine, synth-pop convincente, testi piuttosto curati e pop colorato, frizzante e gioioso, Manueddu continua a regalarci interpretazioni al contempo dolci e impetuose, decise e carismatiche, per non negare il dolore, ma comprendere e superare traumi e paure (Non avere paura del buio), condividere la sua Insonnia, o cantare la città del cuore Bologna. Iosonocobalto si inoltra poi in sonorità elettroacustiche sognanti e accattivanti, estatiche e mesmeriche, lievi e tenui (ma con ottimi bassi che fanno da contraltare rispetto ai synth), o persino pop-rock scintillanti.

Nel frattempo, l’artista torinese parla dell’amore come scelta di fiducia (In amore vince chi resta), di una rinascita nell’aria profumata della primavera, o dell’idea di “anti-fragilità”, che la cantautrice interpreta come “quella qualità che permette di affrontare le avversità della vita, migliorando la propria condizione personale, nel corpo e nella mente”. Si tratta ovviamente di un obiettivo da raggiungere, non facilmente, partendo proprio dalla stessa vulnerabilità, affrontata con grazia e dolcezza in Costruire mulini a vento, di cui vi avevamo presentato il video in anteprima:Così fragile io ho costruito la mia scorza con il fiato rotto e il cuore in mano”, recitano alcuni versi del singolo, ma la protagonista impara a resistere ai cambiamenti, senza spezzarsi, o perdere sé stessa, ma puntando sulla propria forza d’animo, su perseveranza e determinazione. A chiudere il lavoro è Notturno, dedicata a un amore idealizzato, eppure concreto, maturo, radicato e profondo (tra l’altro Serena è convolata a nozze a giugno 2022), una canzone che incanta e rapisce con la sua forza intima e il suo passo in punta di piedi.



Non è all’esordio invece Giulia Pratelli, che ha pubblicato il nuovo EP “homemade” Tutti i santi (Blackcandy Produzioni), ma ha all’attivo tre album, l’ultimo dei quali del 2022, Nel mio stomaco, anticipato da un singolo con Bianco; questa volta la cantautrice, che ha aperto i concerti di nomi come Diodato e Paolo Benvegnù, ripubblica un brano, Nodi (già in Tutto bene, 2017) come duetto con Setak.

L’EP, che comprende due inediti, contiene in totale tre brani, prodotti e arrangiati da Luca Guidi, che si misurano in modo diverso con l’argomento della distanza. La title-track è un pezzo dolceamaro, che cerca di trovare una via per narrare la perdita di una cara amica, rivolgendole una specie di lettera in cui le racconta i fastidi quotidiani e quei momenti in cui non si ha neanche più voglia di cantare. I santi del titolo sono quelli a cui ci rivolgiamo anche sconfortati, quando ci sembra di essere davanti a qualcosa di insuperabile.

Tra arpeggi di chitarre, Come stai racconta la necessità di dialogare davvero, di parlare della felicità e delle paure, tra labirinti da abitare e il bisogno di fermarvisi, anziché uscirne.

Il cantautore abruzzese e amico Setak, con la sua voce soffiata, impreziosisce e aggiunge intensità a Nodi, che, tra chitarre minimali, colleziona ricordi e speranze, “cartoline lontane” e “fotografie venute male”, nella consapevolezza che ormai bisogna accettare la lontananza, dopo che le cose non sono andate come si sperava e non c’è stato il lieto fine “cinematografico” atteso. Tre pezzi incentrati sulle chitarre, carezzevoli e intimiste, che hanno trovato un filo conduttore, perché alla fine la musica “sa dove andare”, racconta la cantautrice, ripetendo le parole di un amico.

La copertina del disco è opera di Disegnacci (Riccardo Pratesi), che, dato il titolo dell’EP, ha immaginato una specie di vetrata medievale laica, con colori primari, che mostrano la cantautrice circondata da elementi familiari e distintivi della sua vita d’artista.



Ci auguriamo che questa piccola guida vi consenta di scoprire qualcosa di nuovo che vi accompagni in questi giorni d’estate, nei percorsi interiori delle vacanze, per guardarvi dentro e ritrovarvi nelle note di queste quattro artiste.