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Kurt Cobain 30 anni senza Kurt
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- Ci sono posti che ricordero' per tutta la vita anche se qualcuno e' cambiato, alcuni per sempre, non per il meglio...Qualcuno se n'e' andato, qualcuno e' rimasto...Tutti questi luoghi hanno i propri momenti che posso ricordare con le ragazze e gli amici, alcuni sono morti, alcuni sono vivi, nella mia vita li ho amati tutti (In My Life).
Queste sono alcune delle strofe contenute nella canzone dei Beatles, riprodotta come sottofondo della cerimonia funebre di Kurt Cobain, leader e co-fondatore, insieme all'amico Krist Novoselic, della band che aveva appena cambiato le vite di milioni di giovani in tutto il globo, i Nirvana.
Per chi c'era, chi ha vissuto sulla propria pelle gli effetti della rivoluzione culturale post-Nevermind e oggi puo' raccontarne tracce, suggestioni da reduci e spettatori di un'epopea meravigliosamente crudele, ma anche e soprattutto per chi ne ha conosciuto le gesta esclusivamente attraverso documenti, video, interviste, incrociando il mito prima che l'uomo, per loro e per tanti altri motivi ho cercato di rendere omaggio al personaggio Kurt, senza cadere nel retorico, senza pescare nelle morbose ricostruzioni di fatti e caccia alle streghe, condizionato dalla grande stima per l'artista e la sua feroce musica trent'anni dopo la sua scomparsa voglio provare a ricordarlo per quello che era, poeta contemporaneo, voce insofferente del degrado sociale, delle cadute senza paracadute.
20.02.67 Aberdeen – 05.04.94 SeattleLa sofferta permanenza terrena del punk rocker Cobain, la sua breve esistenza è stata raccontata, letta, riletta e scritta da critici musicali, paparazzi, cantautori, criminologi e ogni sorta di essere parlante nell’ultimo quarto di secolo, giudicato, braccato e idolatrato in vita ha con fatica trovato pace dopo la fine della stessa alimentando l’immaginario collettivo bisognoso di guide, di Rockstar in grado d’influenzare e trascinare le masse.
La mia, la nostra generazione, quella in fase teenager nei primi anni ’90 per intenderci, ha legato indissolubilmente le ribelle note dei Nirvana alle personali esperienze, facendosi inebriare dallo spirito giovanile, trovando sfogo e conforto nei lancinanti, rabbiosi messaggi di Kurt, ragazzo eccentrico, dotato di un talento compositivo fuori dal comune, capace con la sua scrittura di creare inni popolari utilizzando pochi semplici accordi ma dotati di liriche profonde, esistenziali, terribilmente intime e reali, la prosa disincantata di un punk che credeva sinceramente nell’etica rigettando etichette e mode pur generandole contro la sua stessa volontà, Cobain ha segnato l’ultima immortale pagina del rock con la semplicità di giovane disagiato, figlio della provincia americana e vittima della frenesia di questo pianeta, delle sue regole, travolto dal successo improvviso, la fama nemica del suo male interiore, sacrificato agnello sull’altare del mainstream ha ceduto al mercato venendo sopraffatto da esso e tradendo la sua integrità si è buttato tra le braccia delle dipendenze, letali per la fragile psiche di un ragazzo esageratamente sensibile. Kurt ha interpretato il malessere passandoci in prima persona, mettendoci la faccia e non solo, la sua stremante difesa di disadattati, discriminati lo ha fatto penetrare così fondo nell’ingranaggio al punto da finire macinato da esso.
Il 5 aprile 1994 abbiamo perso l’icona, ma soprattutto la sua sciamanica presenza, il suono della sua voce disperata, il suo scomodo esser diverso, perverso nelle immagini e bisognoso d’affetto, artista del popolo e per il popolo.
Nessuno negli anni a seguire ha saputo colmare il vuoto lasciato, quel senso di colpa che ci ha spesso avvicinati alla sua arte, quel maledetto colpo di fucile ha continuato a rimbombare e continua a farlo riportando l’eco, il frastuono e non bastava allora come non basta a distanza di anni accettarlo per dimenticarlo, siamo rimasti senza pilota improvvisamente e le nostre veloci vite hanno sbandato, perdendo il senso e la via per poi ritrovarsi più grandi e maturi guardando il sole e continuando a credere Kurt unico, inarrivabile songwriter in mezzo alla nostra strada.
“Come, as you are, as you were As I want you to be, as a friend, as a friend As an old enemy“.
Eroe tormentato del SeattleSound si è spento prendendosi colpe non sue, facendo i conti con l’anima piena di cicatrici, inventando fughe dalla banalità che assomigliavano a scuse, le stesse impresse nella lettera d’addio all’amico immaginario Boddah, scappatoie artificiali, percorsi alternativi evitando i problemi per non subirne le conseguenze, l’insostenibile peso delle responsabilità, una discesa rovinosa che dalla cima delle classifiche lo sbatte sul fondo, nella serra dove consumare la sconfitta, la resa incondizionata sintetizzata in poche essenziali parole. You Know You’re Right.
Kurt, manchi ai nostri “nauseabondi stomaci”.