
Ferdinando Romano Invisible Painters
2023 - Jam UnJam / Universal
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Un ottimo esempio è Invisible Painters, il secondo lavoro del compositore e contrabbassista beneventano Ferdinando Romano dopo l'esordio con Totem (2019; qui la nostra recensione), realizzato con un gruppo completamente rinnovato. In compagnia di altri tre “pittori dell'invisibile”, Romano ci guida nella sua sintesi di mondi musicali, ispirazioni e approcci compositivi molto diversi tra loro e che però sembrano cospirare alla perfezione.
L'innegabile formazione classico-contemporanea del leader, autore di sette brani su otto, è calata in un ambito che resta schiettamente jazzistico e che viene integrato e completato da un affascinante uso dell'elettronica, da intendersi sia dal punto di vista strumentale, con l'utilizzo dei sintetizzatori, sia di rielaborazione digitale dei suoni. All'interno di questo contesto i musicisti elaborano un percorso che si mantiene in equilibrio tra parti scritte e improvvisazione, lavoro di gruppo e interpretazioni solistiche.
Se l'impressione immediata è quella di un lavoro curatissimo nelle forma e nei suoni, è altrettanto evidente che la certosina opera preparatoria di questo disco non è mai una gabbia, ma piuttosto una base che crea il materiale di riferimento per le improvvisazioni e l'intreccio sofisticato dei contrappunti. Groove, sample, pezzi di melodie che riemergono contribuiscono a tessere la tela che fa da sfondo alle diverse personalità dei musicisti coinvolti. Tutti si muovono all'interno di un'atmosfera generale che privilegia i timbri più gravi e un mood che si mantiene, come già detto, meditativo e narrativo-riflessivo.
Non c'è quasi nulla in Invisible Painters che si appelli al mainstream, al tradizionale sostegno del blues, al romanticismo di una ballata, e questo vale anche come monito per l'ascoltatore a cui è richiesta una disponibilità importante, peraltro adeguatamente ricompensata. Anche perché non di vacuo fumo parliamo, o di una spasmodica ricerca dell'originalità fine a sé stessa, ma piuttosto di un'immediata e terragna concretezza, garantita in prima battuta dal contrabbasso di Romano e dal clarinetto basso di Federico Calcagno.
Proprio il contrappunto tra il “clarone” di Calcagno e il pianoforte di Elias Stemedeser costituisce uno degli asset fondamentali del disco. Stemedeser condivide la parte elettronica e i sintetizzatori con lo stesso Romano e con Christine Ott, protagonista nella quarta traccia (La figurazione delle cose invisibili), forse la più programmatica di Invisible Painters. Si tratta di un contributo sempre molto controllato e indirizzato al sostegno della causa comune, senza eccessi o sbavature.
Resta da citare la batteria di Evita Polidoro, che si produce in un'accanita performance poliritmica, a sostegno e a contrasto delle parti più programmate e seriali. Il risultato finale, non scontato, fa convivere efficacemente l'impronta forte e molto personale della creatività di Romano con un'ottima interazione di gruppo. C'è qualcuno che ancora crede che con le note si possa provare a scrivere l'invisibile, e questa è sicuramente un'ottima notizia.