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Davide Giromini Vento nero
2019 - Autoproduzione
A parte il filo-rosso della Storia - o della sua fine - Davide Giromini è un’araba fenice, si ripete poco o non si ripete affatto: dissemina il suo sentiero discografico di trittici e dittici significativi: tre dischi indiesfolk ai tempi degli Apuamater. Ballate di fine comunismo, Ostalghia e ballatepostmoderne a firma - nell’ordine - Giromini Redelnoir, Giromini e la maledizione, e poi Redelnoir e basta. Rivoluzioni sequestrate e quest’ultimo Vento nero, incisi invece con nome e cognome propri. Verrebbe da pensare a un'inclinazione mimetica, al tentativo identitario di adattarsi o sopravvivere ai tempi. Non fosse che i tempi (questi tempi) escono dai dischi di Giromini con le ossa rotte, attraverso la rilettura copiosa, senza remore e senza tregua che ne fa.
La cosa bella è che il cahier de doleance girominiano, piuttosto che nello stile-tazebao del protest song, si evolve in una forma (in una scrittura) sapiente-tagliente, figlia - si vede e si sente - di sedimenti, buone letture, buoni ascolti, e altrettanto senso civico e critico. Per strade più scorrevoli ma altrettanto corrosive, il post-cantautore Davide Giromini si fa interprete del discorso avviato dalla canzone di contenuto sociale, riflettendo sulla Storia (appunto) e su come essa gravi sulle vite degli uomini non illustri (“la storia no, non siamo noi” recita - parafrasando De Gregori - un passaggio dello stupefacente Manifesto metastorico individuale). Una Storia che - brechtianamente - ha memoria solo di chi vince. Il resto è massa.
Secondo queste accezioni Vento nero è da assumersi come l’ennesimo concept album di Giromini. Otto tracce-stazioni attraverso le quali è esplicitato il grado zero della civiltà a cui siamo costretti (Diceva il corvo, Italia, Vento nero, Autobiografia preindustriale). E d’altro canto, le ricadute sociali di un Sistema post-ideologico, criminalmente liberista e manipolatorio che ci triangola alternando bombe a anestetici, fascismi occultati a distrazioni di massa. Vento nero è un disco senza edulcoranti, buio-pece, e dunque salutare, e dunque forse anche salvifico. L’omaggio a Ivan Della Mea nel quale sfuma (Resurrezione per rivoluzione) autorizza infatti a pensare a un superamento: a una raccolta di testimone politico, a estremi rigurgiti resistenziali.
Un cd stavolta più acustico che syntetico, che colloca Davide Giromini nell’alveo ormai ristretto dei cantautori (vabbè post-cantautori) impegnati. I credit, data la resa dell'album, sono doverosi: Luca Rapisarda (mandolino, balalaika), Giovanni Biancalana (contrabbasso), Matteo Procuranti (voce recitante e clarinetto), Rocco Rosignoli (violino), Mirko Mangano (batteria), Davide Giromini (chitarre, fisarmonica, diamonica, eko tiger, pianoforte, synth).