Alessandro Sipolo D`Io Matria Vaniglia
2024 - LaPop e Freecom
Ma chi l'ha detto che sono scomparsi i cantautori impegnati? Che tutti cantano di fiore amore, che sarà anche la rima più antica difficile del mondo, come scriveva Saba, ma che oggi l'amore delle canzoni è superficiale, commerciale, usa e getta? A smentire i vari ipercritici passatisti, ecco Alessandro Sipolo, cantautore bresciano dai trascorsi coerentemente sempre dalla stessa parte, che è poi quella cantata da De André: gli ultimi della terra, i diseredati, i senza voce, a cui non dedica solo un po' di canzoni, buone per mettersi a posto la coscienza, ma a cui dona se stesso da anni, con attività di ricerca, progettazione e coordinamento in materia di sociologia delle migrazioni e della criminalità organizzata. Inoltre, è fondatore e coordinatore della rassegna culturale Umanità Migrante e della Scuola Popolare Antimafia di Brescia, e ha vissuto esperienze di lavoro e viaggio tra Perù, Bolivia, Cile e Argentina, proprio per conoscere da vicino il Sud del mondo.
E altrettanto impegnato e coerente è il suo quarto disco, dal titolo provocatorio e geniale, da scomporre e interpretare: al posto dello slogan Dio Patria Famiglia, ecco D’Io Matria Vaniglia, in cui, in miracoloso equilibrio tra suoni e testi, Sipolo prende ulteriormente posizione, e ci chiede di seguirlo, in un percorso complesso, denso, sfaccettato, tra world music e precise parole, tra cantautorato di altissima scuola e versi poetici, sarcastici, dolenti, energici. A impreziosire ancora più le nove tracce, ecco molte collaborazioni: con Finaz della Bandabardò (splendida chitarra nella dolcissima Matria, inno alla forza e alla vita della "fine dell'esilio, porto per il mio sbarco, terra per me", che accoglie tutti i suoi figli, dedicato a Mario Luzi e a Michela Murgia), con Lorenzo Monguzzi dei Mercanti di Liquore (in duetto nella rivisitazione reggae del canto popolare Signor padrone, stavolta pensato ai rider, che devono "andare, pedalare, consegnare..." - in un omaggio a Piero Ciampi - , e già presentato come video patrocinato da NIdiL CGIL, la sezione rivolta ai lavoratori atipici), e con la cantautrice e arpista torinese Cecilia (voce in Petra, ragazza algerina che cerca "la bellezza che però non basta mai a trattenermi").
Tutti i musicisti donano comunque un apporto ricco di echi e suggestioni: Omar Ghazouli alle chitarre elettriche, Giulio Corini al basso e contrabbasso, Daniela Savoldi a violoncello e cori, Alberto Venturini alla batteria e cori, Paolo Malacarne a tromba, flicorno e cori, Fausto Beccalossi alla fisarmonica. In questo quadro composito, emergono con chiarezza tutte le tinte che Sipolo intende esprimere con la sua voce profonda e cangiante, dalla dolcezza di Sandra e Visone, valzer ispirato alla vicenda di Onorina Brambilla e Giovanni Pesce, militanti del GAP, che cercarono di costruire "una terra, senza papi né duci né eroi", all'indignazione di Signorina Cuorenero, furente invettiva a ritmo di cumbia, contro chi ha appoggiato "prima l'RSI, dopo l'MSI, e poi dritti fino a qui, sotto questo cielo nero", passando per il dolente ricordo in punta di arpeggio e tromba del poeta e attivista Paul Polansky, fino al rock distorto ed elettrico della conclusiva D'io, che contiene le voci della destra (Donald Trump, Marine Le Pen, Viktor Orbán, Matteo Salvini, Valdimir Putin, Massimo Gandolfini), ma che si chiude con versi profondi, una sorta di preghiera atea, recitati da Sipolo.
E altrettanto impegnato e coerente è il suo quarto disco, dal titolo provocatorio e geniale, da scomporre e interpretare: al posto dello slogan Dio Patria Famiglia, ecco D’Io Matria Vaniglia, in cui, in miracoloso equilibrio tra suoni e testi, Sipolo prende ulteriormente posizione, e ci chiede di seguirlo, in un percorso complesso, denso, sfaccettato, tra world music e precise parole, tra cantautorato di altissima scuola e versi poetici, sarcastici, dolenti, energici. A impreziosire ancora più le nove tracce, ecco molte collaborazioni: con Finaz della Bandabardò (splendida chitarra nella dolcissima Matria, inno alla forza e alla vita della "fine dell'esilio, porto per il mio sbarco, terra per me", che accoglie tutti i suoi figli, dedicato a Mario Luzi e a Michela Murgia), con Lorenzo Monguzzi dei Mercanti di Liquore (in duetto nella rivisitazione reggae del canto popolare Signor padrone, stavolta pensato ai rider, che devono "andare, pedalare, consegnare..." - in un omaggio a Piero Ciampi - , e già presentato come video patrocinato da NIdiL CGIL, la sezione rivolta ai lavoratori atipici), e con la cantautrice e arpista torinese Cecilia (voce in Petra, ragazza algerina che cerca "la bellezza che però non basta mai a trattenermi").
Tutti i musicisti donano comunque un apporto ricco di echi e suggestioni: Omar Ghazouli alle chitarre elettriche, Giulio Corini al basso e contrabbasso, Daniela Savoldi a violoncello e cori, Alberto Venturini alla batteria e cori, Paolo Malacarne a tromba, flicorno e cori, Fausto Beccalossi alla fisarmonica. In questo quadro composito, emergono con chiarezza tutte le tinte che Sipolo intende esprimere con la sua voce profonda e cangiante, dalla dolcezza di Sandra e Visone, valzer ispirato alla vicenda di Onorina Brambilla e Giovanni Pesce, militanti del GAP, che cercarono di costruire "una terra, senza papi né duci né eroi", all'indignazione di Signorina Cuorenero, furente invettiva a ritmo di cumbia, contro chi ha appoggiato "prima l'RSI, dopo l'MSI, e poi dritti fino a qui, sotto questo cielo nero", passando per il dolente ricordo in punta di arpeggio e tromba del poeta e attivista Paul Polansky, fino al rock distorto ed elettrico della conclusiva D'io, che contiene le voci della destra (Donald Trump, Marine Le Pen, Viktor Orbán, Matteo Salvini, Valdimir Putin, Massimo Gandolfini), ma che si chiude con versi profondi, una sorta di preghiera atea, recitati da Sipolo.
Li mettiamo qui come sigillo a un disco da ascoltare e su cui meditare: " Matria nostra proteggici / prima dal boia antico / e poi dal fuoco amico: / dal libertario mistico / dal qualunquismo artistico / dal nulla orientalistico / e dal lamento solito / perpetuo sconfinato / di chi diserta il pubblico / e annaffia il suo privato."
I cantautori impegnati esistono ancora. Diamo loro ascolto, e ritroveremo Le nostre trincee, per non sentirci più soli.