Ruben Minuto This
2011 - Autoprodotto
Minuto è polistrumentista-cantante divoratore di musica americana e le sue frequentazioni gli hanno permesso di esprimersi indifferentemente nel country, bluegrass, old time music (partecipa al Bluegrass Festival del Kentucky) ma anche, nel rock, nel cantautorato e soprattutto nel blues, tanto da divenire partner stabile di Steve Arvey e partecipare nel 2008 al mitico Chicago Blues Festival (è in arrivo il CD Tuttu Beni?! frutto della loro attuale collaborazione). La sua ampia cultura musicale e un’innata sensibilità gli permettono di apprendere in pochi minuti i pezzi degli artisti che incontra e supporta, tale prerogativa si riversa anche nel ruolo di autore e ciò gli ha permesso di togliersi le vesti del bluesman, che aveva indossato nel 2004 con I Hate to Sing the Blues - ma anche quelle di formidabile bluegrass man, con i suoi fidi The Good Ole Manners, come pure quelle di rocker nella tribute band ai Lynyrd Skynyrd e nei No Rolling Back - per rimescolare totalmente le carte con questo nuovo lavoro.
This è un album che spiazza positivamente, anzi direi impressiona per la maturità d’autore acquisita da Minuto e per il livello qualitativo della produzione nel suo complesso; se conoscevamo l’artista per le sue doti di eccellente strumentista qui emerge grazie ad un songwriting di alto profilo e un mood complessivo omogeneo ed accattivante, per un disco dalle forti connotazioni West Coast, che pare registrato a Nashville, da un artista americano. I riferimenti stilistici, fin dall’intimista brano di apertura This Hour Of The Day appaiono chiari: quel gusto per la “trasparente malinconia” di James Taylor, la melodia di Jackson Browne, qualche sprazzo di luce e serenità a là Jimmy Buffett (Who Cares), e un po’ di cantautorato classico tra Lightfoot e Winchester, c’è spazio anche per due strumentali la Cooderiana Introduction to Faith, e il commovente folk (valzer dal sapore italico) Giannina tributo a qualcuno caro che non c’è più.
Tutto accompagnato da testi “sentiti” e “pensati”, spesso intimisti che sgorgano dalla vita di un uomo che, nel mezzo del cammino è dibattuto, con lo sguardo che oscilla tra il volgersi avanti oppure iniziare a voltarsi dietro, per fare bilanci e porsi interrogativi. Una menzione a parte meritano In The Hands Of Time, per pathos molto vicina alle cose di Bruce Cockburn, con grande arrangiamento e parti strumentali stupende di piano (Matteo Pozzi, che arricchisce tutto l’album con i suoi interventi), chitarra classica, percussioni e violini, grande canzone ispirata dall’acceleratore lineare del CERN di Ginevra!? La seconda menzione per la conclusiva Angels (scritta dall’inseparabile mandolinista Josh Villa) una brano d’incredibile dolcezza, cantata e suonata dai due con le sole chitarra acustica e mandola. Ma il disco è disseminato di passaggi di grande bravura ciò grazie anche agli straordinari musicisti da sempre vicini a Ruben tra i quali menzioniamo il mandolino di Josh Villa, la lap steel di Luca Crippa la chitarra del fratello Rudolf Minuto, il banjo di Matteo Ringressi, mentre sono sparsi qua e là, a nobilitare i brani: Ashleigh Flynn (stupendo il duetto in Who Cares), Steve Arvey, Andrea Filipazzi, Alex Marcheschi e Maria Olivero
Un disco importante che ci arriva dal più americano degli artisti italiani o forse, come dice simpaticamente Josh Villa, il più italiano tra quelli americani.