Takeshi Kitano

Takeshi Kitano DOLLS


2002 » RECENSIONE |
Con Miho Kanno, Hidetoshi Nishijima

di Claudio Mariani
Tre storie slegate, ma raccontate incrociandole e collegandole con un filo sottilissimo, quasi impercettibile. Tre storie che parlano d’amore, di tre modi differenti di interpretare l’amore, quello di due amanti che si ritrovano prima separati e poi di nuovo insieme in una situazione di vagabondaggio eterno, verso non si sa quale meta; l’amore di uno yakuza per una donna che ritrova dopo trent’anni e quello di un giovane fan per il suo idolo, una popstar che perde un occhio in un incidente e che per la quale si acceca a sua volta. Il tutto ispirato al teatro giapponese Bunraku, dove le marionette sono protagoniste e dove non sono mosse dai fili degli uomini ma sembrano prendere vita loro stesse, in modo autonomo, come specchio ideale della personalità umana stessa. Così i protagonisti divengono dei pupazzi, degli automi che perdono la loro volontà e sono indirizzati verso un destino sicuramente non roseo, attraverso le quattro stagioni dell’anno e della vita. Questo è il soggetto-presupposto del film, e bisogna proprio ammettere che è intriso di fascino, un fascino particolare, che carezza il lato curioso della personalità dello spettatore e lo stuzzica con le immagini. Si, perché le immagini sono la vera forza della pellicola, immagini romantiche, pittoriche, palpabili e seducenti come sono seducenti i personaggi del film, che ci accompagnano idealmente nel procedere della storia. Quelle stesse immagini che sono intrise dalla caratteristica principale della storia: la malinconia, presente in ogni scena, che riesce a trasformare le stesse in qualcosa di pericolosamente funesto, funesto come il destino di tutti i personaggi protagonisti. Se il soggetto del film può risultare interessante, la sceneggiatura in se stessa lascia, sinceramente, un po’ a desiderare; la storia appare fragile, non approfondita e quasi superficialmente sviluppata. A questa considerazione non è facile giungere, perché i nostri pensieri sono saturi del ricordo di quelle splendide immagini, come difficilmente se ne vedono oggigiorno, di quei costumi da togliere il fiato opera dello stilista Yamamoto, di quel senso di disgrazia che tanto ci piace provare. La sensazione è quella di aver assistito ad un film bello ma parzialmente manieristico, dove il solitamente coraggioso Kitano usa un po’ troppo quella sua immensa intelligenza cinematografica per prepararci un pacchettino ben confezionato, pacchetto che contiene delle lacrime fredde come solo un orientale riesce a concepire. Per quanto ci riguarda, con gli occhi smandorlati che solcano il nostro viso, accettiamo solo parzialmente la seduzione di Kitano, lo rimandiamo ad altri episodi. Accettiamo anche il fatto che il film andrebbe rivisto più volte magari cercando di cogliere in esso quella magia che caratterizzava i film del regista giapponese girati nel passato, quali Il silenzio del mare, Sonatine e Hana-bi, che erano tutt’altra cosa rispetto a questo. Rimane comunque un film da vedere e che rimane comunque un passo avanti nella filmografia del regista giapponese rispetto alle ultime prove ma che sicuramente, ne converranno i molti spettatori che hanno sbadigliato e dormito durante il film, è lontano da quella parola che è stata più volte sprecata dai critici in quest’occasione ma che noi non abbiamo trovato sul nostro vocabolario: capolavoro!

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