Spike Lee

Spike Lee LA VENTICINQUESIMA ORA


2003 » RECENSIONE |
Con Edward Norton, Philip Seymour Hoffman, Rosario Dawson



di Claudio Mariani
Cosa passa per la testa al giovane Monty Brogan, spacciatore con la faccia da bravo ragazzo nelle ventiquattrore che precedono la sua carcerazione? Com’è finito in quella situazione e, soprattutto, come stanno reagendo le persone più vicine a lui, la sua ragazza, suo padre e i suoi due amici più intimi? Queste sono le domande a cui poco per volta il nuovo, attesissimo film di Spike Lee cerca di dare risposte. Stavolta il cineasta newyorkese si è servito della collaborazione alla sceneggiatura di David Benioff, autore anche dell’omonimo e precedente best sellers.

E’ una storia semplice, senza colpi di scena né trama complicata, il tutto è lineare e quasi scontato, ma la forza del film stesso, e chiaramente del suo autore, è quella di rendere pienamente chiaro e “leggibile” il tormento psicologico del protagonista e della gente che gli sta intorno. Siamo scaraventati senza preavviso nella vita del protagonista, e la facciamo nostra, nel bene e nel male. Altra operazione non facile ma discretamente riuscita, è quella di rendere anche l’idea dell’ambiente multiforme della metropoli americana, ricca di contraddizioni e di fattori trasversali, che si ritrovano ovunque, in diversi scenari e in diversi luoghi. La novità di questo film, invece, è il cambiamento di Spike Lee, che si sposta di quartiere, passando dalla più volte raccontata Brooklin alla Manatthan ferita dall’11 settembre, i cui riferimenti sono ripetuti, forse esageratamente (ma anche inevitabilmente); le parti migliori del film sono quando il regista si ricorda delle origini della sua arte e ci regala delle chicche di grande qualità, come alcuni flash back, il finale e una splendida scena che autocita Fa la cosa giusta, dove il protagonista si “affronta” allo specchio, coinvolgendo le miriadi di etnie di New York: sequenza storica. Ad essere diretti con la sempre maggiore maestria ci sono un perfetto Edward Norton (che non stupisce più), un bravissmo Philip Seymour Hoffman nel suo stereotipato personaggio represso, e dei bravi Barry Pepper, Rosario Dawson e Anna Paquin.

Spike Lee non delude mai, il suo cinema forse si è fatto più morbido nella forma, più poetico ed introspettivo, allargando così il suo pubblico, forse non è più tempo di mostrare l’odio e la rabbia nella sua manifestazione esteriore più selvaggia (e quindi umana), è tempo di mostrare la società con le sue paure, le sue contraddizioni e le sue preoccupazioni prese dall’interno di ogni singola persona, come questa pellicola ci mostra nei suoi 130 minuti di lento, calmo e tagliente procedere…


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