Ore piccole<small></small>
Italiana • Alternative

GUIGNOL Ore piccole

2014 - AtelierSonique

19/03/2014 di Mario Bonanno

#GUIGNOL#Italiana#Alternative

Gioco fuori casa, abbiate pazienza: l’ho ammesso a destra e a manca che più che giornalista musicale sono giornalista cantautorale, e i Guignol cantautori non sono.  Non è che bisogna essere Monsieur Lapalisse per accorgersene: la tempra dei Guignol è rock-blues in modo palese, e però per una volta passi. Passi perché non cantano coi prosciutti davanti agli occhi. Passi perchè scrivono di vita-deragliamenti-lacrime e sangue-alienazioni in senso noir-decadente. Passi perché mi ritrovo nel loro senso sbieco di denuncia, perchè ho voglia di saltare di palo in frasca e andare oltre le mie colonne d’ercole. Tanto più che in questo Ore piccole c’è anche una specie di Ulisse di città che apre il disco. Un navigatore di eroina invece che di geografie, o insomma più o meno di quella roba là, ci siamo capiti (L’Ulisse).

Messa giù senza troppi giri di parole, il nuovo disco dei Guignol è a uno sputo dall’abisso, strizza l’occhio al dark-side sin dall’inizio. Un disco feroce, nichilista, nottambulo, nudo e crudele, disincantato affresco in campo lungo di anime alla deriva in metropoli-specchio di una nazione perduta. Ore piccole è una Spoon River  aggiornata ai morti viventi per afasia, è il grido di Munch applicato al qui e ora degli anni zero, o come diavolo li chiamano. Un disco muscolare (musicalmente muscolare) per esemplari storie asteniche, un disco autentico con dentro ontologie sintetiche (in molti sensi). 

Adesso ve li presento in pillole i prodi Guignol, formazione 2014 (che cifre senza fascino questo cazzo di cifre da finta fantascienza), a cominciare dal loro deus ex machina Pier Adduce, che scrive, canta, suona, e meno male che non può mettersi a parare i rigori perché siamo in un disco, altrimenti farebbe anche quello. In rapida successione, lo accompagnano nella discesa agli inferi delle ore tra il cane e il lupo (ore incerte, crepuscolari, borderline sul disagio delle civiltà) Enrico Berton (percussioni), Stefano Fascioli (basso), Davide Scarpato (chitarra e violino). In altre parole: quelli fra palco e realtà a via di ingerenze rock, blues, punk, cantautorali, un up tempo e l'altro.

A questo punto mi sa che dovrei accennare un po’ anche alle tracce, ma ho vissuto questo cd come una specie di song-book sul mal de vivre e non mi va di striminzirlo pezzo per pezzo. Vi elenco solo i passaggi che mi hanno colpito sugli altri, se mai a qualcuno possa fregargliene qualcosa. Sono, in ordine sparso e senza nessuna sottoclassifica di gradimento: Gli alberi degli impiccati (cazzuta & evocativa quanto basta per ricondurmi alla monomania cantautorale), Il quartiere (uno stop frame blues sulla dissoluzione, individuale e collettiva. C’è anche dell’ironia ma assomiglia piuttosto a quella della iena quando ghigna), Mr. Faust (con dentro un altro fantasma di città, sbolognato in chiave punk), Le consegne (per il clima sospeso, di quella sospensione che anticipa, in qualche modo, l’apocalisse).

Basta così: il resto scovatevelo da voi, io posso garantirvi che ce n’è quanto basta per non restare delusi e condividere il senso di un album fatto di interstizi [sonno (della ragione)-veglia, cronaca-immaginazione, verismo-evocazione] e dunque di un album ben pensato, prima ancora che ben scritto e suonato. E’ sufficiente come invito all’ascolto da parte di uno che se l’è giocata fuori casa (e non se l’è vista brutta come temeva)?

 

Track List

  • L’ULISSE
  • GLI ALBERI DEGLI IMPICCATI
  • CERTE COSE
  • TAPPEZZERIA
  • PICCOLA CITTA’
  • IL QUARTIERE
  • MR. FAUST
  • UN PEZZO ALLA VOLTA
  • STAREMO BENE
  • LE CONSEGNE

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