
Underdog Keep Calm
2012 - Altipiani/MArteLabel
Tre anni fa il gruppo esordiva con Keine Psychotherapie dando già evidenza dei sostanziali elementi della loro ispirazione; una musica a cavallo tra canto punky, funk acido, cabaret d’epoca, post rock, latin demenziale, classicismi distorti, jazz irriverente, canzone sincopata anni 30-40 e teatrino dell’assurdo: in altre parole, una miscela quasi anarchica che però resta compatta grazie alla lucidità delle idee.
I protagonisti di questa avventura sono Basia Wisniewska (voci) e Diego Pandiscia (voci e basso) uniti a Giuseppe Trastulli (piano), Francesco Cipriani (chitarra elettrica e “giocattoli”), Alberto Vidmar (trombone), Michele Di Maio (violino) e Fabio Mascelli (batteria, percussioni e “giocattoli”).
Il kit strumentale lascia intuire una propensione alle divagazioni improbabili ed alle libere variazioni che costituiscono le linee guida di un disco squisitamente indie, spontaneamente sgangherato e richiamante echi di Primus, Go Go Bordello, Weill, Skiantos, Nina Hagen, Johnny Lyndon, Blonde Redhead, Nick Cave, Tom Waits ,….
La base del lavoro è la schizofrenia estetica marcata dalle voci di Basia e Diego; la prima da soprano leggero underground e la seconda da seguace di Les Claypool.
Questo bipolo crea un contrasto all’interno del quale ci sta tutto con coerenza, perché se qualcosa non assomiglia ad un estremo richiama quell’altro e la sensazione è che comunque ogni divagazione sia logica.
Si ascolti a questo proposito Soulcoffee, dove la base è di una ballata malata sorretta da un violino lievemente dissonante, da un piano e da un basso punteggiati e minimalisti, per poi virare a sfumature pop, ad un fiero crescente spagnolo (nella prima metà) e ritirarsi poi negli umori dell’incipit; apparentemente sconnesso ma in realtà solidamente strutturata e quindi in grado di decollare ben oltre il livello dello sfogo da dilettanti.
Che l’apparente leggerezza e superficialità sia in realtà tutt’altro emerge dai ripetuti richiami allo spirito della “musica per tutti” degli anni ’30 nata dalla penna di Weill; tracce evidenti compaiono in numerosi passaggi virati poi al punk teutonico femminile (The revolution is subject to delay) o al canto da musical da bassifondi (Berlin).
Il ritmo è un altro elemento degno di rilievo; sovente punteggiato ed ostinato per poi passare a momenti dilatati tirando i brani come se fossero degli elastici, non disdegnando momenti da valzerini mittleuropei uniti a passaggi da lieder domestici (Niko); qui lo spoken e la cadenza potrebbe portare alla memoria il Richard O’Brian nella conclusione del mai troppo apprezzato Rocky Horror.
Insomma, un disco geniale, denso di incroci e di mescolanze che conferma un teorema vero in tutti i settori della vita umana: gli incroci rafforzano la discendenza.
La razza pura venga lasciata agli idioti, destinati per questo a scomparire (si spera il prima possibile); lunga vita alla libertà che non rinnega la storia ma la sa rinnovare con creatività.
Musica di questo tempo e di questa generazione: da ascoltare, assolutamente.