Stanic Boulevard<small></small>
Jazz Blues Black • Jazz • Jazz - Rock - Funk - Progr

Stanic Boulevard Stanic Boulevard

2019 - Universal

08/03/2019 di Vittorio Formenti

#Stanic Boulevard#Jazz Blues Black#Jazz

Mirko Maria Matera (piano, electronics, synth, vocoder), Fabio Pignataro (chitarre), Viz Maurogiovanni (basso) e Pierluigi Villani (batteria e percussioni) sono quattro artisti di lungo corso e con diverse influenze grazie alle quali danno vita a questo interessante progetto a cavallo tra jazz, jazz rock, funk e progressive; una miscela adatta ad un affresco multicolore che ricorre a elementi base consolidati per generare qualcosa di decisamente fresco.

Il titolo é ispirato al nome del quartiere operaio di Bari, Stanic appunto, sorto negli anni '50 attorno all'omonima raffineria; il termine Boulevard evoca invece lo stile e l'eleganza di certi ambienti parigini, un apparente ossimoro con il precedente riferimento che farebbe pensare ad una musica densa di contrasti; un dipolo tra underground e night clubbing, tra combat e conservatorismo, tra emarginazione ed élite.

In realtà, almeno a parere di chi scrive, il lavoro non oscilla tra questi poli opposti ma espone una dialettica che li supera testimoniando la trasversalità di una certa cultura (trasversalità, non qualunquismo) e sfociando in un esito di forte personalità. L'impatto estetico é decisamente orientato al groove e al ritmo, ingredienti che sovente sostituiscono il tradizionale concetto di tema; intervengono momenti di una certa delicatezza ma sono cenni a cui seguono stacchi, crescendi, improvvisazioni e variazioni (principalmente ritmiche e armoniche) su schemi piuttosto astratti che favoriscono una sensazione di tessuto diversificato ma organico.

Per spiegarci meglio facciamo riferimento al brano di esordio, esemplificativo al riguardo. Inizio con un riff pianistico staccato giocato con la mano sinistra mentre la mano destra comunque picchia più che cantare; il groove che sostituisce il tema come sopra detto. A questo subentra un momento di impro / sviluppo sempre con le tastiere e poi un intervento incisivo della chitarra in stile Stern encomiabilmente meno sguaiato. Ritorna il groove sincopato iniziale con un funambolico sottofondo del drumming che viene sfumato tra vocoder e piccoli interallaci con la chitarra. Una parafrasi di struttura ABA (o ABAA' se vogliamo) in cui riff e sincope la fanno da padroni concedendo però spazi anche a brevi distensioni.

Idem in Escape for the soul dove forse certe dinamiche in fase A (groove) vengono rafforzate dal gioco della chitarra e le variazioni sono più marcate grazie ai momenti B alternati dei solisti. Tra questi ci sentiamo di evidenziare il basso, splendida presenza a sei corde che funziona sovente come estensione della chitarra sia per fluidità che per capacità melodica. Qui sono interessanti alcuni unisoni e la presenza del drumming spesso in poliritmia. L'impressione all'ascolto é quella di un discorso ciclico, che si tende e ritorna all'origine ma che non vive contrasti; molto coinvolgente ed attraente.

Stesso gioco in Tomorrow we'll see dove però il gruppo si esprime con più "morbidezza"; qui é più presente una dinamica interallacciata tra chitarra su canoni progr e jazz, basso in chiave di legante e tastiere accennate;  il tutto sostenuto da un beat regolare dei sempre impeccabili tamburi di Pierluigi. E' il brano in cui risulta meno evidente l'andare e il ritorno del groove a favore di una struttura più aperta che accompagna in un ascolto "rilassato".

Effetto simile nell'affascinante Khamsin in cui emerge una vena latina / africana che vive in una struttura più sfumata ed evolutiva, basata su momenti lievi e su crescendi a cavallo tra un mood iberico e il rotolante ritmo di certe musiche medio - orientali / turche. Qui l'ascoltatore si diverte nell'evocazione di queste atmosfere a cavallo tra familiarità ed esotismo e si rilassa tra uno slancio e un momento di pausa / riflessione; il tutto però senza perdere il filo.

Già, non smarrire il filo, non perdersi in eccessive divagazioni; testimonianza di una progettualità precisa, di un effetto voluto e di un eccellente affiatamento del combo.

Anche il concept apparentemente più "loose", cioé la triade degli Impromptu basata su cammei apparentemente estemporanei, se ascoltata in sequenza (brani 3-6-9) trascina da un'iniziale effetto quasi psichedelico dovuto alla pronuncia della chitarra attraverso una verve funk per concludersi con un sobrio staccato jazz classico del piano. Vero che nessuno dei tre brani si conclude su cadenze chiare e definite, preferendo a queste uno sfumato sospeso, ma certamente lo sviluppo appare originale ed accattivante.

A fattor comune del tutto c'é un'esecuzione strumentale ineccepibile in cui perizia e sensibilità si uniscono a un ascolto reciproco tra gli strumentisti, una capacità di interazione che costituisce un altro pilastro di quella organicità di cui si é già fatta menzione.

Un disco che gioca poco su linee melodiche "cantabili" preferendo, come si diceva, ritmo e riff alternate ad impro comunque sempre in equilibrio con la logica complessiva; se a questo si unisce una certa estetica tra jazz e rock si può intuire il carattere di ampia accessibilità in felice convivenza con una profondità musicale e una perfetta organizzazione del combo.

Un lavoro adatto a molte orecchie.

 

Track List

  • More or less
  • L`inverno e altre storie
  • Impromptu #1
  • Escape for the soul
  • Tomorrow we`ll see
  • Impromptu #2
  • The lonely Axeman
  • Svandea
  • Impromptu #3
  • Khamsin