
Salvo Ruolo Canciari patruni ‘un è l’bittà
2015 - Controrecords
Nell'arco di tempo che separa quest'ultimo capitolo discografico da Vivere ci stanca (2010), Ruolo, cantante e chitarrista, veste i panni di storico non solo degli eventi, ma anche della lingua e del dialetto, approfondendo lo studio del siciliano antico, probabilmente l'unico mezzo per catapultare l'ascoltatore in quei nefasti meandri del Risorgimento che ai più restano ancora oscuri. Città siciliane, piazze, campagne, focolari domestici e angoli del passato ospitati da chi la storia era nato per subirla ed è cresciuto e morto nel tentativo di ribaltarla.
L'impianto linguistico e vocale messo in piedi da Ruolo spicca sulle altre componenti dell'album. Non solo i volumi sembrano prediligere l'apparato vocale “a discapito” del pregevole tessuto sonoro che quasi per umiltà lascia che sia la voce a far da padrona, ma è innanzitutto la parola, prima ancora delle chitarre, dei mandolini e delle percussioni appena accennate, a farsi musica, quasi a musicarsi essa stessa.
Ed è secondo questo paradigma che Ruolo canta dell'invasione piemontese in Sicilia, di un'Italia unita a forza di sangue, saccheggi e stupri (scannaru picciriddi 'nte panzi di so' matri / futtennu cosi casi e fimmini di chiesa) . Dalla donna che rifiutando il risarcimento del re per la morte in battaglia del marito conserva la propria dignità facendosi puttana per sopravvivere, all'immaginario e potentissimo rimprovero di Ignazio Buttitta e Rosa Balistreri a chi se ne fotte se il servo guarda e il padrone mangia; dall'omaggio a Passannante che diventa sputo alla tirannide, fino a Mariuzza Izzu, sedicenne legata ad un albero, seviziata e stuprata da un intero plotone di soldati piemontesi il 14 agosto 1861. Splendido l'incedere marziale, lento ed inesorabile di quest'ultimo brano, processione funebre senza seguito né fiori.
Molti i contributi strumentali (e non solo) a questo disco: Cesare Basile alla produzione ( oltre che alla chitarra acustica, banjo, mandolino, pianoforte, dulcimer, percussioni e cori), Massimo Ferrarotto (percussioni, cori), Marcello Caudullo (pianoforte, string machine), Carlo H. Natoli (chitarra slide, banjo) e Alicia Jo Rabins (violino).
La matrice blues del disco, unita agli elementi ritmici e melodici della trazione popolare siciliana, si riconferma sinonimo di lotta, sofferenza e tensione perenne, risolvendosi in un folk che odora di zagara, polvere da sparo e fumo, tagliente come baionetta, autentico come il sangue e le lacrime che della nostra terra hanno da sempre rappresentato il concime. Canciari patruni 'un è l'bittà (“Cambiare padrone non è libertà”) non è un semplice disco. E' storia e lotta, resistenza e stigma, è verità fatta musica.