Robert Cray That`s What I Heard
2020 - Nozzle Records
#Robert Cray#Jazz Blues Black#Blues #Richard Cousins #Steve Jordan #Steve Ray Vaughan
Il fatto è che non c’è modo di contrastare la drammaticità di questi giorni se non continuando a fare ciò che di buono si può fare per non soccombere. Mescalina nel suo piccolo intende farlo, guardando avanti, proponendo ciò che di bello si può dire di certa musica e molto altro ancora. Certi che ce la faremo ci uniamo al coro: State a casa! (se potete).
Con rispetto, attenzione per le norme varate ma anche con giudizio. Siamo strani mammiferi, se non ci muoviamo nello spazio, nel discorso, nella relazione con altri un pò moriamo, uguale. Non di meno il periodo forzoso tra le mura domestiche può essere occasione per avvicinare, tra altri, anche Robert Cray e il suo ultimo lavoro.
Artista di spessore Robert Cray che qualche strana magia del tempo lo rilascia ancora eterno giovane. Di capigliatura ben ordinata, di stratocaster munito, sono invece quaranta gli anni che lo separano da Who’s Been Talkin’ (1980) album di esordio. Per il blues gli anni ’80 furono un periodo di grazia. Non poco contribuì quel John Belushi e John Landis di Blues Brothers per reincarnarne lo spirito, come anche vitale fu il sangue nuovo immesso nel fiume blue dal mai troppo compianto Steve Ray Vaughan. Con lui Robert Cray ha dialogato e convissuto, consapevoli di essere entrambi attori di un blues che ha allargato il buco, dato nuovo senso ad orme antiche.
Chi scrive al suo esordio non si è strappato i capelli, neanche al suo cospetto in quel di Nizza molto tempo fa quando a Cimiez capitava ancora di fare incontri straordinari. Quel chitarrismo strappato che faceva il paio con una voce sempre in levare, il suono oltremodo pulito, quasi didattico non incontrava. Ma sbagliarsi - e di grosso - è cosa umana, la verità ha bisogno di tempo per manifestarsi e così va detto che Robert Cray è una delle pietre angolari su cui poggia il blues contemporaneo. La cerniera tra ispirate, multiple, tradizioni da Curtis Mayfiled al suo mentore Albert Collins e inbricato al furore di nuovi aviatori come John Mayer. Andando per metafora alla fine il vaso di Robert Cray ha preso forma ed è il prezioso, denso, levigato blues di gran classe che conosciamo.
E poi?
E poi ascoltare dal vivo il verso in minore di Robert Cray è un piacere fisico che pochi oggi riescono a trasmettere. Sarà forse perché è primo di cinque figli il suo lirismo è infatti indissociabile da quella forma di creazione collettiva che si chiama band. La sua configurazione di base, basso, batteria, tastiere, sono il suo rosmarino, salvia e prezzemolo. Non ci fossero assieme ad altre piante non sarebbe orto. Una forma che in studio come dal vivo eleva la sua musica al rango di un luogo creativo multipolare, la cifra che è anche quella di That’s What I Heard. Il mix di questo giro a voler far dei nomi vede su tutti, l’andato - e da tempo ritornato - Richard Cousins al bordone, Terence Clark ai tamburi, Dover Weinberg all’avorio. Santi che marciano nel mantra di Robert Cray, in ciò che ha ascoltato in calzoni corti, in ciò che ha inteso e definito. Non desta meraviglia l'aver pescato lo spigoloso latinismo di Don Gardner di My Baby Likes to Bogaloo (1960), la messa cantata dei Sensational Nightgales con Burying Ground (1956), la carezza di Bobby “blue” Bland con You Are the One (1962), il Curtis Mayfield di You’ll Want Me Back (1963).
Il resto è farina del suo sacco. Averne perchè That’s What I Heard è acqua santa che scorre disegnando geometrie funky, blues, soul & rockly di gran fattura. Il Dio di Robert Cray è un killer che ti prende alle spalle in modo corale e benefico. La sua musica è gratitudine per armonie alle quali si è votato e che lo legittimano, meglio di altri, a quel processo di continua ridefinizione che è il blues. Un gran bel disco That’s What I Heard che risucchia nell’encomio la produzione di Steve Jordan (Rolling Stones, John Mayer), che svela nel cameo compositivo di Kim Wilson la perla liturgica di Promises You Can't Keep.
Si vola alto con That’s What I Heard, capitolo ulteriore dell'eccellente fare ormai indiscutibile di Robert Cray. Oh thank You Lord, he Heard I said…