Robert Cray

live report

Robert Cray Milano / Santeria Toscana

04/06/2023 di Giovanni Sottosanti

Concerto del 04/06/2023

#Robert Cray#Jazz Blues Black

È una serata come altre di questa stagione balorda e indefinita, in cui primavera e autunno giocano a rimpiattino, nascondendosi tra sole, nuvole e poi, immancabilmente, pioggia. Milano racconta storie di passione e dodici battute nel cuore di un piccolo e accogliente Club, di quelli che vorresti trovare sempre sotto casa. La Santeria Toscana è grande il giusto e familiare quanto serve, per sentirsi come nel salotto di casa, ben lontano dal clamore dei mega concerti da stadio.

Alle 21.00 in punto Robert Cray e Band guadagnano il palco, accolti da un pubblico subito partecipe, caloroso e appassionato. Robert sfoggia camicia bianca e magnetico sorriso a trentadue denti, classe sopraffina e un'invidiabile collezione di Telecaster. Accanto a lui, i fidi Richard Cousins al basso, Dover Weinberg all'Hammond e Les Falconer alla batteria.

Quando inizia il concerto, hai subito la sensazione che il tempo si sia fermato a quarant'anni fa e che forse il gigante della Georgia un piccolo patto con il diavolo, a suo tempo, deve averlo stipulato. A quasi settant'anni, accarezza le corde della Fender con invidiabile rapidità e altrettanta leggerezza, la voce potente e vellutata riveste di colori blues e blue eyed soul un repertorio perfettamente bilanciato tra pezzi nuovi e perle del passato.

Apre con Anything You Want dall'ultimo That's What I Heard, per poi tuffarsi subito nel 1983 di Bad Influence, da cui estrae What Do I Go From Here. Ancora l'ultimo disco e una scintillante You Can't Make Me Change, poi è la volta di I Shiver, lunga, sinuosa, funkeggiante e bluesata. Dopo Poor Johnny dall'album Twenty del 2005, arriva il classicissimo Sitting On Top Of The World a nome di Mississippi Sheiks.

Tutto fila a puntino, la band è un ingranaggio perfettamente rodato e oliato, in cui Robert inserisce alla perfezione assoli, stop e ripartenze. You Had My Heart, Anytime, Chicken In Kitchen, I Can't Fail e You Move Me virano verso colori soul e r&b, mentre le successive Enough For Me, Right Next Door (Because Of Me) e You Must Believe In Yourself, cover di Johnny Copeland, riportano in pista il blues, quello caldo e viscerale, che profuma di spazi aperti e orizzonti agresti.

Per i bis si rivolge ancora al passato remoto di Phone Booth da Bad Influence, mentre Time Makes Two ha sulle spalle i vent'anni di Time Will Tell (2003) e l'onore di chiudere degnamente i giochi. Un concerto intenso, semplice e genuino, ma soprattutto prezioso, di quelli che rimandano a casa con dentro una riserva di belle sensazioni.