The Montreux Years<small></small>
Jazz Blues Black • Blues

Muddy Waters The Montreux Years

2021 - Bmg Rights Management/Ada

25/08/2021 di Leandro Diana

#Muddy Waters#Jazz Blues Black#Blues

Gli appassionati di blues danno per scontato che Muddy Waters non abbia bisogno di presentazioni, ma l’indiscussa grandezza del personaggio merita una breve introduzione a beneficio dei neofiti del genere, o del lettore casuale. McKinley Morganfield, detto Muddy Waters, è stato probabilmente il più importante dei bluesmen dell’era elettrica dal secondo dopoguerra in poi. Arrivato a Chicago da Rolling Fork – piantagione Stovall (nel Mississippi) nel 1943, con l’aiuto di un pugno di musicisti di enorme talento, ha plasmato uno stile completamente nuovo e personale che, sostanzialmente copiato da tutti quelli venuti dopo, ha costituito l’ossatura del cosiddetto “Chicago Blues”, che a sua volta diventerà il sound di riferimento per i giovani bluesmen e rocker bianchi, soprattutto inglesi, che ne seguiranno le orme dando al genere nuovo slancio commerciale presso un nuovo pubblico, nonostante il sempre minore favore presso il tradizionale pubblico di colore.

La carriera di Muddy Waters può dividersi in grosso modo tre periodi (più una parentesi): gli inizi all’insegna della nostalgia del lontano Mississippi, il periodo “d’oro” con le hit scritte per lui da quel geniaccio di Willie Dixon, (la breve fase psichedelica, voluta per lo più da Marshall Chess) e la lunga coda da ambasciatore del blues presso il pubblico bianco dei grandi festival europei. Tra questi il Jazz Festival di Montreux rappresenta certamente un’eccellenza fin dalla nascita nel 1967, avendo ospitato artisti – non solo jazz – come Etta James, Bob Dylan, Elton John, Aretha Franklin, James Brown, Leonard Cohen, Marvin Gaye, Miles Davis, Nina Simone.

A quest’ultima fase appartengono i tre concerti (17 giugno 1972, 28 giugno 1974 e 23 luglio 1977) da cui è stato estratto il materiale (anche se non in ordine cronologico) per il disco oggetto delle nostre attenzioni odierne. 

Inizio subito col dire che, a mio avviso, il grande pregio di queste registrazioni è quello di restituirci in gran spolvero e qualità tecnica il suono più classico di Muddy Waters (quello, per semplificare, degli anni ’50) di cui il Nostro si riappropria orgogliosamente dopo le derive psichedeliche subite negli anni precedenti (ossia il maldestro tentativo, cui si è accennato, della Chess Records di “aggiornare” lo stile del maestro alla luce di quelli degli allievi, aggiungendo riferimenti a sonorità in realtà lontane come il pedale wah-wah o le ritmiche funk) e prima che il successo commerciale dell’incontro con Johnny Winter ne snaturasse ancora una volta lo stile in senso muscolare, enfatizzando il lato “macho” del suo personaggio mai del tutto amato dallo stesso Muddy Waters fin dai tempi in cui Willie Dixon gli cuciva addosso canzoni ad alto tasso testosteronico (ma – se non altro – ad ancor più alto trasso di ironia).

Il suono è cristallino e ampio, di ogni strumento si percepisce con chiarezza timbro e disposizione nello spazio, e chiudendo gli occhi sembra di stare sul palco con la band. E che band! Il materiale messo a disposizione per la recensione non comprende informazioni sulle formazioni, ma in quel periodo Muddy Waters girava con una band stellare composta da Luther Johnson e Bob Margolin alle chitarre, Jerry Portnoy all’armonica, Pinetop Perkins al piano, Calvin Jones al basso e Willie "Big Eyes" Smith alla batteria. Qualche video d’epoca disponibile su YouTube parrebbe confermare questa ricostruzione. 

Il disco si apre nel migliore dei modi con una strepitosa Nobody knows Chicago like I do e si snoda attraverso una sfilza di grandi classici, alcuni eseguiti all’altezza dei tempi d’oro, altri con qualche scivolone di troppo da parte di una band si stellare, ma anche un po’ troppo distratta, che si concede errori che non verrebbero perdonati facilmente a una band amatoriale di periferia...

Se Long distance call, Can’t get no gringing e Got my mojo working si attestano sul primo fronte, Rollin’ and tumblin’ è molle e incerta, l’esatto contrario del rullocompressore che era sempre stata; in Still a fool la band cambia accordi in punti diversi dall’originale facendo girare la canzone in modo un po’ bislacco, a mio avviso distraendo l’attenzione e depotenziando la tensione necessaria a trasmettere il feeling del testo; finali come quello di Trouble no more non sono certo quello che ci si aspetta da un concerto di Muddy Waters; e su I’m ready (proposta in un arrangiamento piacevolmente swingante) il finale viene tirato per i capelli con tanto mestiere dopo un evidente svarione; l’incedere incerto di The same thing la allontana da quel capolavoro d’atmosfera che era l’originale di appena un decennio prima.

Al centro di tutto questo c’è un Muddy Waters ancora sulla sessantina ma palesemente stanco e fuori forma, che lascia ampio (troppo?) spazio alla band e le cui interpretazioni non hanno più il mordente e l’intensità che avevano ancora fino alla metà del decennio precedente (ma c’è da dire che recupererà un po’ di grinta nel periodo successivo, insieme a Johnny Winter).

Nel complesso luci e ombre, quindi, ma senza dimenticare che dischi come questo, in fondo, vanno presi per quello che sono: straordinari documenti storici di singoli istanti nel flusso – tutt’altro che continuo, come invece ci piacerebbe pensare – dell’avventura professionale e artistica di giganti assoluti che restavano, comunque, esseri umani con la loro forza e le loro debolezze, pregi e difetti, grandezza e scazzi. Tenuto questo in debito conto, non posso che concludere che ci troviamo di fronte a un disco che vale la pena acquistare per godere, nonostante tutto, di quanto di meglio il blues potesse offrire in un periodo – gli anni ’70 – che non è esattamente la sua età dell’oro.

 

 

Track List

  • Nobody Knows Chicago Like I Do
  • Mannish Boy
  • Long Distance Call
  • Rollin ‘ And Tumblin ‘
  • County Jail
  • Got My Mojo Working
  • I ‘ m Your Hoochie Coochie Man
  • I ‘m Ready
  • Still A Fool
  • Trouble No More
  • Rosalie
  • Rock Me Baby
  • Same Thing
  • Howlin ‘Wolf
  • Can ‘ t Get No Grindin(What The Matter With The Meal)
  • Electric Man