Vicenza 6 Maggio 1984<small></small>
Jazz Blues Black • Jazz

Massimo Urbani Vicenza 6 Maggio 1984

2017 - Philology / IRD

17/12/2017 di Pietro Cozzi

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Al netto della precaria registrazione, realizzata con un vecchio apparecchio a nastro, questo live di Massimo Urbani meriterebbe davvero una “deluxe” edition natalizia, di quelle in cofanetto con vinili, documentari, libri fotografici e dotti approfondimenti allegati. Al centro c'è uno dei “massimi” (mai gioco di parole fu più giustificato...) sassofonisti italiani di sempre, romano e romanista, di umili origini, con un cuore troppo fragile e sensibile per sopravvivere al suo genio. Urbani ci ha lasciato nel 1993 al termine di una vita breve e tormentata, stroncata dalla sua dipendenza dall'eroina, eppure sono bastati pochi anni di carriera per scrivere pagine memorabili. Tra le tante, anche questo concerto tenuto al teatro San Marco di Vicenza il 6 maggio 1984 e meritoriamente pubblicato dalla Philology, in quartetto con Marcello Tonolo (pianoforte), Marc Abrams (basso) e Valerio Abeni (batteria).

Pare quasi di avvertire un'atmosfera di silenziosa attesa nel teatro, fra il pubblico e i suoi colleghi sul palco, per quel che Urbani sta per tirare fuori fuori di volta in volta dal cilindro. Così il pianista Franco D'Andrea ne descriveva lo stile: “Aveva una ricchezza e un'espressività molto forti, aveva profondità di suono. Suonava il free jazz, quello vero, all'epoca in cui non era ancora una moda; lui era autentico, era l'ultimo Coltrane. Aveva l'urlo giusto di Ayler, o di Gato. Quella nota acuta, liberatoria, ma non potente o invadente. L'espressività era quella di Coltrane, teneva la tensione per venti minuti. Aveva uno spessore enorme”. L'ascolto di questo doppio conferma le sue parole: se il linguaggio di partenza è parkeriano, mediato anche attraverso l'ascolto di Sonny Stitt, l'approdo è molto più complesso della semplice copia di un inarrivabile modello, qualcosa che ricorda di più l'intensità sempre sul punto di esplodere dell'ultimo Coltrane. Soprattutto è una musica carica di un insopprimibile senso drammatico. Persino nell'ultimo pezzo, la ballata Search Of Peace di McCoy Tyner, pensata come coda finale più morbida della performance, la tensione non si acquieta mai del tutto, e le frasi melodiche si mischiano a qualche inaspettato e geniale “schizzo” di follia.
 
Sprazzi melodici, emozioni intrise di poesia maledetta, corse forsennate e sfoggi di gran tecnica, “urla” e acuti: c'è già tutto nell'iniziale Massimo Tune, una torrenziale autobiografia in musica di quasi 20 minuti. Il fraseggio è ad alto voltaggio, tirato al limite e ricco di contrasti, ma capace sempre di catturare l'attenzione, una qualità che è solo dei grandi. Tutto è decisamente istintivo, ma al contempo tutto ha un senso preciso. Il feeling sembra cambiare leggermente con la successiva Star Eyes, uno standard più spensierato e rilassato, a un tempo più confortevole. Dopo un lungo assolo del pianoforte, quando è il turno del sax alto Urbani asseconda il clima generale ma, qua e là, dà delle inconfondibili “sgasate” (come al minuto 7:00) che arricchiscono il tutto: cambi di ritmo improvvisi, acuti e inaspettate cadute nel registro più basso. Se avesse un senso, si potrebbero poi suggerire dello "scorciatoie" dove andare a carpire il meglio di questo live. Difficile restare indifferenti, ad esempio, all'attacco in solitudine della parkeriana Cherokee (dall'inizio fino al minuto 1:20), un piccolo collage di emozioni diverse. Ma sono notevoli anche l'assolo, con un paio di escursioni nel registro più acuto nel finale, e gli scambi conclusivi sempre più rapidi e intensi con il batterista, bravo a cambiare timbri e accenti. Il crescendo emotivo nella successiva Stella By Starlight suona esaltante (soprattutto da 00:32 a 4:25), ma è il magistrale e millimetrico ritorno sul tema a stupire. Questa traccia e la successiva Invitation sono le performance migliori per equilibrio tra valori armonici e melodici, e rappresentano forse lo zenit, il punto più alto del concerto. Della chiusa si è già detto: una ciliegina sulla torta, quasi a dire “posso fare anche questo”.

Vicenza 6 maggio 1984 è un disco da meditare e distillare con attenzione. Entusiasma già dal primo ascolto, ma è ricco di sfumature che si svelano un po' per volta. Peccato per la qualità del suono, a tratti davvero precaria. Eppure è difficile non concordare con il produttore Paolo Piangiarelli, che annota entusiasta: “Questa ulteriore e preziosa gemma non è in Hi-Fi, ma per la voce, il suono, l'urlo di Max è Hi-Max!”

 

 

 

Track List

  • cd 1
  • Massimo Tune
  • Star Eyes
  • Cherokee
  • Stella By Starlight
  • cd 2
  • Invitation
  • Red Cross
  • Search Of Peace