
Luca Bonaffini Sette volte Bertoli
2014 - Delta Italiana
Ne sono discesi tour e canzoni, persino una manciata di hits (Chiama piano, Spunta la luna dal monte, Oracoli) divisi per due. E' dunque assodato che Bonaffini ha conosciuto Bertoli da vicinissimo (il dietro le quinte del loro rapporto è ampiamente desumibile dalla lettura di La notte che spuntò la luna dal monte, PresentArtSi, 2013), così da vicino e tanto assiduamente che a meno di non essere un ghiacciolo qualcosa dentro, nel bene e nel male, ti rimane. A livello inconscio Sette volte Bertoli costituisce dunque un’ideale quadratura del cerchio di scrittura e prossimità bertoliane. L’affrancamento definitivo (?) dal nome del padre - da due anni in qua passato anche per commemorazioni, reading, concerti, interviste -, un punto e a capo per proseguire il discorso autoriale in direzione propria. Più che un atto esorcistico, l’affettuoso congedo dall’amato fantasma, l’ultimo sguardo al passato perché riposi in pace (il passato intendo, di Pierangelo Bertoli non si finirà di discutere mai abbastanza), condotto a ciglio asciutto e con la personalità che ci vuole a un cantautore tout-court.
Metti per esempio la Varsavia di questo disco, ricondotta a climi meno furoreggianti (in fondo è pur sempre una storia d’amore ai tempi della guerra). O metti Maddalena (transessualità) più intimista dell’originale sin dall’arrangiamento. E persino la durissima La luna è sotto casa (tossicodipendenza), qui sfoggia un po’ po’ di coretti ribaldi, a stemperare il tono. Questo per (riba)dire ancora la differenza che passa - che è sempre passata - tra Pierangelo Bertoli e Luca Bonaffini. Il primo spara(va) a zero e non le mandava a dire, il secondo dice lo stesso ma in forma indiretta: ironizza, rintuzza, affonda di fioretto, poi stempera di nuovo, forte di un’idea lata di canzone, meno aggressiva. A partire dal suo assetto musicale Sette volte Bertoli rafforza il concetto: un disco asciutto, essenziale, suonato e cantato all’antica, quasi a richiamarsi a teoria e prassi dell'esecuzione live. Dentro ci sono le tracce (sette) della poderosa discografia bertoliana pre-Bonaffini (tranne che Chiama piano). E nemmeno questo, credo, sia soltanto un caso.
Il resto dei brani in scaletta ha a che vedersela, infatti, con dei veri e propri must: l’ecologista ante-litteram Eppure soffia (divisa per tre, oltre a Bonaffini cantano Alberto Bertoli e Flavio Oreglio), l’affilatissima (persino in declinazione bonaffiniana, questa sì) Il centro del fiume; e Per dirti t’amo, sentimentale ma non fine a se stessa. Una specie di canzone-manifesto della filosofia pane al pane di Pierangelo Bertoli, se è vero che attacca nel modo memorabile che conosciamo: “Avrei voluto dedicarti una canzone/ con le parole della televisione/ tutti quei fiori e quei discorsi complicati/ che al cine fanno nei locali raffinati/ Ma mi sembra di commettere un reato/ perché per dirti che sono innamorato/ perché per dirti cosa penso in fondo al cuore/ non c'è motivo che mi finga un grande attore”. In ultima analisi: siamo al cospetto di un cd che si offre all’ascolto come sincero seppure scevro di nostalgismo, preso per mano, governato e condotto in porto da un Bonaffini con le idee molto chiare, interprete-portavoce di una generazione di cantautori classici come oggi non esistono più.