La Moncada Nero
2014 - Goat Man Records / Audioglobe
Una battaglia dove sembra prevalere il secondo che comincia con la sensuale Robocop, azzeccata opening dove dai Marlene Kuntz si passa alle caratteristiche poi comuni alle restanti nove tracce, e continua attraverso le canzoni che passano dal racconto cantautoriale di Nero o L’Accabadora, alle ballad Una nuova cattiveria e La cena e anche nel pop-rock di Almeno in Francia (la canzone perduta dei Negrita), mentre nel frattempo sbucano accenni di Massimo Volume, Afterhours e le atmosfere di Cesare Basile e Nick Cave.
Prodotti da Massimiliano Moccia con la supervisione di Manuel Volpe e trascinati dalle chitarre di Carlo Barbagallo (esordio nel gruppo per lui con questo disco) e Gianandrea Cavero e dalla voce calda e accattivante di Mattia Calvo, con Nero i La Moncada presentano un disco che non ha certo l’aspettativa di rinnovare o “salvare” (come ora va tanto di moda dire) il rock italiano, ma di certo offrono un’analisi introspettiva molto valida, che l’indie anni ’90 oltre i suoi soliti limiti, permettendosi di giocare con le varie sfumature di genere (blues, pop, cantautorato, post-rock e chi più ne ha più ne metta) rimanendo comunque sé stesso; come una montagna russa, che dopo tutte le sue salite e i suoi giri su se stessa torna sempre al punto di partenza.
Non prendetelo nella pessima gattopardiana maniera: Nero è per l’appunto una giostra, un pregevole esercizio di stile dove dieci canzoni compatte di ottimo rock, con testi intelligenti e delle apprezzatissime influenze regalano agli ascoltatori una piccola gemma di quel rock più impegnato e un attimo più ricercato, che si apprezza dopo più che un unico ascolto e che forse le classifiche disdegnano, ma da sempre fonte inestinguibile di buona musica.