Black Light<small></small>
Jazz Blues Black • Jazz

John Mclaughlin Black Light

2015 - Abstract Logix / IRD

04/01/2016 di Pietro Cozzi

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Tra i maestri della straordinaria “covata” di chitarristi inglesi che hanno cominciato a lasciare il segno negli anni Sessanta c'è anche lui, Mr John McLaughlin, settantreenne maestro del jazz-rock scoperto da Miles Davis e poi capace di costruirsi una straordinaria carriera solista sui sentieri della fusion e delle contaminazioni con la musica indiana, il flamenco, la musica elettronica. Dopo 45 anni la sua parabola artistica è ancora viva e vitale, efficacemente rilanciata dal gruppo The 4th Dimension, con cui lavora da anni. Gary Husband (tastiere e batteria, in un originalissimo abbinamento), Ranjit Barot (batteria) e Cameroon Etienne M'Bappé (basso) formano un ensemble di eccezionale caratura tecnica (“my three favorite musicians”, dichiara McLaughlin), la cui stabilità contribuisce a stemperare e bilanciare efficacemente la tendenza del leader a quel freddo virtuosismo che gli è stato più volte rimproverato. Da questo intreccio scaturisce Black Light, terza uscita discografica dei The 4th Dimension, otto tracce suonate alla grande, ben piantate nella tradizione e nei “riti” di un genere ormai maturo ma comunque ricche di idee.

Fin da principio si segue il canovaccio di una solida jazz-rock fusion a tempo medio, corredata da un ricco contorno percussionistico, grazie al doppio batterista: Here Come The Jiis infila tre assoli di chitarra ad alta velocità di crociera, tanto per gradire. Sono folate di note velocissime e potenti, che tornano nella conclusiva Kiki e che ci riportano allo stile del periodo aureo della Mahavishnu Orchestra. In Clap Your Hand, costruita su un groove shuffle, fa la sua prima comparsa il konnakol, tecnica vocale molto percussiva vicina allo scat singing, originaria dell'India del sud, con cui Barot accompagna di tanto in tanto il suo drumming, aggiungendo un colore in più all'impasto; per il resto, il suono della chitarra rimanda inaspettati echi pinkfloydiani (Money, soprattutto). Panditji (omaggio al grande musicista indiano Ravi Shankar) è un'altra palestra solistica per JM, qui meno rapido e più variegato che in Here Come The Jiis; dalla base funky scaturisce anche un assolo di piano, come un inaspettato e piacevole inserto acustico. 360 Flip omaggia la modernità con un'introduzione techno ed elettronica, ma basta poco per tornare sui binari già tracciati in precedenza: qui si dilatano tempi e suoni, l'accompagnamento delle tastiere è più sostenuto e si ascoltano alcuni passaggi vicini al synth-pop.

Sono però gli slow a toccare le corde più profonde e a imporsi come il lascito più duraturo di Black Light. Se ne ha un piacevole sentore già su Being You Being Me, brano ricco di spiritualità, ispirato all'intimo convincimento di McLaughlin che un vero progresso dell'umanità non può prescindere dal vedere nell'altro – in chiunque altro – il volto del Divino. Nasce così questa traccia di grande delicatezza, ben articolata, dove il basso lavora energicamente a contrasto con l'arpeggio rilassato della chitarra, fino a raggiungere il punto di decollo melodico. Being You Being Me è il preludio a El Hombre Que Sabia, forse l'apice di Black Light, dedicato all'amico e compagno di avventure Paco de Lucia, scomparso nel 2014. È un pezzo parzialmente acustico, un flamenco inframmezzato ad altre sonorità mediterranee; nonostante l'intento commemorativo, l'andamento è molto energico: la melodia dolente lascia spazio ad assoli sempre più rapidi, in una staffetta esaltante tra chitarra acustica e piano. L'ultimo capitolo della trilogia “intimista” è poi Gaza City, composizione nata dopo il bombardamento di Gaza nell'estate del 2014. Una batteria marziale accompagna l'affresco disegnato dalla chitarra, mai così spoglia e composta, quasi a riecheggiare con i suoni il paesaggio desolato della guerra.

L'attenta articolazione dei pezzi di Black Light, costruiti come una successione di movimenti, è la miglior conferma che ci troviamo di fronte a un artista vitale, ancora alla ricerca della forma e della veste migliori per i suoni (indiscutibilmente esaltanti) della sua chitarra. È una sensazione confortante, insieme all'ulteriore prova dell'inossidabilità di una generazione di guitar heroes unica, forse irripetibile.

 

Track List

  • Here Comes The Jiis
  • Clap Your Hand
  • Being You Being Me
  • Panditji
  • 360 Flip
  • El Hombre Que Sabia
  • Gaza City
  • Kiki