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Americana • Roots

Jama Trio 11:11

2015 - Autoprodotto

10/02/2015 di Pietro Cozzi

#Jama Trio#Americana#Roots

11:11 potrebbe essere l'angosciante istantanea di un risveglio in clamoroso ritardo, ma è anche un titolo bello da guardare e piacevole da pronunciare. Difficile scegliere. Di sicuro è il primo disco “vero” del Jama Trio e non si può che provare una simpatia immediata per chi lo ha realizzato nelle tristi brumose brughiere tra Vanzaghello e Castano Primo, sognando di stare da qualche parte nel sud-est degli Stati Uniti. Il trio – più “soft trio” che “power trio”, visto l'approccio – è capitanato da Gianmario “Jama” Ferrario, cantante e chitarrista accompagnato da Massimo Allevi al basso e Francesco Croci alla batteria. Un progetto che esplora l'anima folk, blues e country di Jama, poliedrico inteprete dei generi più diversi, dal prog-psichedelico, frequentato con la band degli Emmablu, al punk-hardcore dei Toys For Brain.

11:11, che viene dopo un paio di ep (San Francisco e Soma, 2013), sembra partorito sotto la tutela e la virtuale benedizione di tanti campioni dell'Americana, con i Black Crowes più melodici e acustici in prima fila: lo si sente nell'approccio, nello stile, nelle scelte musicali. Qua e là si avverte anche un filo di psichedelia, come eredità di esperienze passate. Un disco che nasce quindi sotto buoni auspici, che fanno passare in secondo piano una certa disomogeneità nella costruzione della tracklist. Tutta la prima parte, più o meno fino all'ottava traccia, sconta infatti un po' di ripetitività nei ritmi e nelle cadenze, riscattata da una virtuale “side b” che risplende di una maggior varietà e originalità, con più scrittura, più blues e più soul. Fa eccezione la title track, che si fa notare per la bella trama di strumenti acustici e un accompagnamento della batteria tra lo stomp e un morbido gioco dei piatti. Anche Mark Lenders, omaggio all'indimenticato campione del cartoon "Holly e Benji", sfoggia una bella solidità acustica.

11:11 stempera e alleggerisce con l'arma dell'ironia la sensazione del già sentito e dà vita a una rivisitazione giocosa dei generi (il country, il folk, il blues, il gospel): basta ascoltare le false partenze di Country Song (Take 3), o la divertente enfasi gospel di I'm A Pilgrim e Everybody Is Going to Hell, Oh Lord Save Us. Ma il disco cresce alla distanza, per un rush finale che concentra i pezzi più intensi. Strenght ci porta dentro un'atmosfera blues-jazz da club fumoso per un brano di grande fascino e mestiere, brutalmente ma efficacemente sconvolto dal ringhio della voce di Paolo Ronchetti. The Last Man On Earth inizia alla J.J. Cale ma si apre verso atmosfere soul, con un bel cantato vibrante e drammatico che lascia il segno. Anche la rischiosa cover dylaniana di A Hard Rain's A-Gonna Fall dimostra personalità, ritagliandosi uno spazio a metà tra il rispetto per l'originale e il coraggio di fischiettarlo senza remore, come si fa con le melodie che si masticano dentro da tanto tempo. La voce di Jama colpisce per calore e naturalezza (oltre che per la notevole pronuncia yankee), affiancata da un'interpretazione grintosa ed energica, a suo agio soprattutto dal vivo. E il suono del trio cerca una sua originalità, senza picchiare e strepitare ma piuttosto rifinendo, con leggerezza, alle spalle del leader.    

 

Track List

  • In My Morning Glory
  • 11:11
  • Mark Lenders
  • Slobber On My Pillow
  • I`m A Pilgrim
  • No Shelter
  • Everybody Is Going To Hell, Oh Lord Save Us
  • Country Song (Take 3)
  • Strength
  • Hello
  • The Last Man On The Earth
  • Instrumental
  • Let Me Know
  • Rua Dos Duradores
  • A Hard Rain`s A-Gonna Fall

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