Stop<small></small>
Jazz Blues Black • Blues

Hubert Dorigatti Stop

2021 - Appaloosa Records (Distr. IRD)

23/11/2021 di Leandro Diana

#Hubert Dorigatti#Jazz Blues Black#Blues

Inutile negarlo: il parametro su cui misuriamo la bravura di un artista non americano corrisponde spesso alle domande “cosa gli manca rispetto agli americani?”, “il suo disco suona come quelli americani?” … Non è sempre un atto consapevole (anche perché razionalmente magari sappiamo che si tratta di generalizzazioni del tutto vaghe e forse poco utili), ma spesso noi amanti di generi nati e sviluppatisi al di là dell’Oceano Atlantico funzioniamo così. Andiamo al dunque: a Hubert Dorigatti non manca niente rispetto agli americani e il disco suona bene e in maniera assolutamente “verosimile” (cosa ancor più notevole data la varietà stilistica espressa, come vedremo a breve). Certo, nel suono e nelle esecuzioni si possono notare sfumature che sanno di spezie mediterranee, e gli ingegneri del suono italiani hanno un gusto e un modo di lavorare molto spesso diversi da quelli dei colleghi americani, ma sono – appunto – sfumature: la qualità generale è ormai alta anche qui. Anche la pronuncia – troppo spesso tallone d’Achille degli interpreti nostrani – è appropriata, e con questo sgombriamo definitivamente il campo dai pregiudizi. Sogno un tempo, nel futuro, in cui queste premesse non saranno più necessarie, ma per il momento vale ancora la pena premetterle certe precisazioni…

Hubert Dorigatti suona un gran numero di chitarre, scrive (tutte le musiche e buona parte dei testi) e canta le canzoni del disco con padronanza, duttilità e autorevolezza nonostante l’ampia varietà stilistica in cui si cimenta: blues elettrico, blues acustico in stile Piedmont, rock-blues fuzzosi, country, bluegrass, ballate dal retrogusto claptoniano anni ’70… E nessuna di queste escursioni appare mai un mero esercizio di stile, mai una forzatura. Segno che si tratta di generi in cui l’identità di Dorigatti è ben radicata.

Stop segue di tre anni l’esordio solista con Memphisto e ne continua coerentemente il percorso autoriale, ampliandone il panorama stilistico e sonoro in cui trovano più spazio la chitarra elettrica (che era stata, praticamente, messa da parte nel precedente) e arrangiamenti più articolati. Prosegue anche la curiosa piccola tradizione di dedicare esplicitamente – fin da titolo – la traccia numero 6 del disco a un suo eroe, così laddove su Memphisto c’era Mr. Slowhand,  su Stop troviamo Mr. Nolan, primo singolo estratto dal disco accompagnato da un video molto cinematografico che rende giustizia agli splendidi paesaggi altoatesini che Dorigatti chiama "casa”. Si tratta, peraltro, di una di quelle canzoni in cui i musicisti che lo accompagnano nel disco costituiscono un notevole valore aggiunto: in questo caso spicca l’ottimo hammond di Michele Bonivento. Si tratta anche di una delle poche canzoni non impreziosite dall’armonica del veterano Fabrizio Poggi, molto presente sul resto del disco con il ruolo spesso di colorista, come nella bella ballata elettrica When evil comes to town, nel country di Walking, nel boogie di apertura Born with a silver spoon (di cui il Reverendo Gibbons sarebbe orgoglioso), il sapore quasi zydeco in minore di Bound to New Orleans.

Le Dolomiti non sono mai state così vicine agli Appalachi come in God old days, in cui la voce di Dorigatti accarezza calda ricordi d’infanzia e vecchie foto in bianco e nero che restituiscono i sorrisi dolci e ancora spensierati degli amati genitori; istantanee di momenti preziosi di unità e gioia familiare. La stessa voce si fa insofferente dell’insolenza di chi è nato con la camicia (diremmo in italiano) in Born with a silver spoon, si “dispera con la tipica ironia blues” nello shuffle di Down to boogie (uno degli highlights elettrici del disco), swinga nei ritmi creoli dall’aura gospel di Hey girl e corona nella notturna Bound to New Orleans e, infine, dondola morbidamente a suo agio in una ballata cupa come When evil comes to town, malinconica al punto giusto, tra il Clapton di Tears in heaven e lo Sting di It’s probably me e Shape of my heart.

Abbiamo a che fare con un disco bello e raro: ben scritto, carico di belle canzoni come frutti maturi dal sapore verace e antico, perfettamente suonato e interpretato con una padronanza di linguaggi e stili che non è per niente facile trovare in giro. Un disco che parte come una bella sorpresa, cresce con gli ascolti e infine resta dentro, in testa e non solo. Uno di quei dischi e di quegli artisti che ti fanno venire voglia di esplorare il back catalogue e di aspettare con impazienza i concerti e il prossimo album.

 

 

 

Track List

  • Born With A Silver Spoon
  • Walking
  • Down To Boogie
  • When Evil Comes To Town
  • Good Old Days
  • Mr.Nolan
  • Mama Will Do It Right
  • Hey Girl
  • Pasadena Shuffle
  • Falling Into Nowhere
  • Stop
  • Bound Into New Orleans