Cummeddia<small></small>
Italiana • Canzone d`autore

Cesare Basile Cummeddia

2019 - Urtovox

23/10/2019 di Mario Bonanno

#Cesare Basile#Italiana#Canzone d`autore

Ho smesso di partecipare al voto per l'assegnazione delle Targhe Tenco. Non mi riconoscevo e non mi riconosco più nelle espressioni finto-cantautorali di questi anni. Non faccio abiura e non me ne pento. Ritengo che un disco politico, bello e impietoso come questo Cummeddia di Cesare Basile sia oggi merce rara, e abbia muscoli e gambe tali da camminare da solo, fare a meno del mio voto, del Tenco e/o di altri sdoganamenti ufficiali.  Le canzoni di Cesare Basile sono ab origine storie d’amore e d’anarchia. Canzoni terragne, disalienate, terzomondiste, antiche e moderne, schierate e inconsolate. Scritte apposta per raccontare i reietti e i sopraffatti dal potere. Senza pietismi, però. E senza nemmeno lirismi da pop-music.

Trent’anni di carriera e undici dischi sono i numeri alle spalle di Cesare Basile, cantautore-cantastorie nel senso nobile del termine. Uno di quelli che non ha smesso di credere, e di cantare cose di cui è necessario cantare. Oggi che il potere si è fatto subdolo più che mai. Traduco dall’affilato dialetto catanese: ”Mala la terra che è Patria/ mala la pianta che coltiva/ cresce e ti cava l'anima/ mala la terra che è Patria/ parla la menzogna/ tirando la pancia in dentro/ L'ovile è pronto/ antica la sonata/ nel cielo compaiono croci affilate (…) Siamo infetti/ col vizio della morte/ ci svegliamo sudati di notte/ chissà chi ci piscia questi “attenti” nel cuore” (Mala la terra). Fuori metafora: c’è una pandemia in atto. Un contagio di violenza-ignoranza e d’altro canto di indifferenza, e la Sicilia è ancora metafora d’Italia (E sugnu taliano).

Mala la terra fa da apri-pista a un album arroventato e denso, come quelli che i cantautori più bravi scrivevano una volta. Le dissonanze di questo tempo sbandato, Basile le fiuta a naso e non ha perso la voglia/forza di cantarle/denunciarle. Fuori dai denti. In bello stile, spiega lui stesso il senso  di Cummedda: “Cummeddia in siciliano vuole dire cometa o aquilone. Il passaggio di una cometa è segno infausto, presagio di sventure pubbliche, monito divino, annuncio di peste. La peste stravolge le relazioni umane e determina un nuovo ordine basato sul sospetto, l'accusa, il controllo, la definizione di zone e confini invalicabili. L'ordine è lo stato d'assedio, l'emergenza continua in cui la sospensione delle libertà viene presentata come il prezzo necessario per la sopravvivenza della società. La regola è la peste. Dopo averci accecato lo spirito ci strappa il cuore. Di fronte all'ordine della peste l'unico gesto è la rivolta, quando la cometa aquilone annuncia non il castigo ma un nuovo cominciamento”.

Le tracce in scaletta sono undici, una più ficcante dell’altra, affrescano stazioni di grado zero esistenziale, il grado zeroi esistenziale in cui siamo precipitati. Sedimenti di storie come grani di un rosario di miserie, poetico e sanguigno al tempo stesso. Le facce putride del sistema globale. Che reifica o se la prende con omosessuali (L’arvulu rossu - L’albero grosso) e diversi (Setti venniri zuppiddi - Sette vergini zoppe). Diffonde un virus a-ideologico che punta alle coercizione delle idee. ”Stanotte ho sognato che c'erano queste spine/ come quelle dei fichi d'india/ che volavano strade strade e si infilavano nella carne delle persone/ e queste spine erano spiriti intelligenti/ che ti mangiavano il cervello/ e in un niente diventavi pazzo/ ma questi pazzi si credevano ognuno più sano dell'altro/ e avevano ognuno più ragione e senno dell'altro/ come se le cose che dicevano/ erano le più giuste/ allora paesi/ città e popolazioni intere si sono infettate e hanno fatto cose nere”  (Cchi voli riri?- Che vuol dire?).

Cummedda, come si vede (e si sente), è un disco di parte, ma tutt’altro che demagogico. Meritevole di ascolto e riascolti, anche sulla scorta della sua strutturazione armonica, commistione di musica popolare, folk, barlumi rock e canzone d’autore. Cummeddia – ancora - fa proprio e trascende il solco dell'eredità deandreiana: quello della ballata di denuncia senza perderci in poesia: ”Amore, amore svegliati che passa la cometa/ e passa con la coda in avanti a fare strada/ chi piange, chi urla, chi sentenzia la sventura e chi ci fa paura/ Cometa da dove vieni? Cosa ci racconti? Che succede? E dove te ne vai? E cosa ci lasci nel caso? Ci lasci la peste che dorme nei cassetti/ mentre io la cerco fuori (…) Dove sei finita e come ci siamo finiti in questo esilio/ regno di terrore?”.

Il disco, pubblicato da Urtovox, è arrangiato, suonato e cantato, oltre che da Cesare Basile (voce, chitarre, percussioni, djeli 'ngoni, sintetizzatori), da Massimo Ferrarotto (percussioni), Sara Ardizzoni (chitarre), Vera Di Lecce (voce, percussioni,), Luca Recchia (basso), Hugo Race (tastiere), Gino Robair (percussioni, elettronica), Alfio Antico (tamburi a cornice, voce). Un ulteriore scelta controtendente (e non certo fine a se stessa) è che quest'album farà a menio di booking ufficiale. Sarà cioè curato in autonomia da Basile e dal suo staff. Motivo: ”Ho scelto di non affidarmi a un'agenzia e fare da me. Mi piacerebbe ripartire da relazioni in cui la musica non viene comprata nè venduta ma proposta e suggerita, come quando si organizza un incontro fra persone che non si conoscono ma che si suppone abbiano cose da dirsi, relazioni dirette in cui nessuno si preoccupa di quanti saremo ma di cosa resterà dopo i saluti.” Mi sembrano parole in linea con la teleologia sottesa e palese di un concept tra i più significativi del 2019.

 

Track List

  • Mala la terra
  • L`arvulu rossu
  • E sugnu talianu
  • La curannera
  • Setti venniri zuppiddi
  • La naca ri l`anniati
  • Chiurma limusinanti
  • Cummeddia
  • Chitarra rispittusa
  • Cchi voli riri?
  • Mina lu ventu

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