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Recensione di Polivinilcontainer da Music Square

01/05/2006 di mescalina.it

In un mare di synth e chitarre in overdrive che viaggiano su tempi e stilemi ritmici tipici del rock troviamo, a loro perfetto agio, questi E.drunks. Nove tracce di pura psichedelica follia rock vanno a condire la mezz’ora di musica composta dal quartetto in questione che si cimenta, dopo due demo e una comparsa su ben quattro compilation, in questo full lenght autoprodotto. Passo subito all’analisi del lavoro che presenta mille sfaccettature, caratterizzate dalla voce di Ryno (anche unico chitarrista della band) che si basa su stilemi già masticati in generi quali grunge e rock melodico, con qualche riferimento, anche per quanto riguarda la stranezza degli arrangiamenti e dei testi, addirittura ai primi Litfiba. Con anche quella venatura progressive che fatica ad emergere ma a volte sembra quasi predominante. Le strutture delle canzoni sono sempre abbastanza classiche, con un ritornello e una strofa senza troppi stravolgimenti ritmici ma che risultano avere sempre e comunque un sapore fresco e nuovo. E si sa quanto l’originalità sia importante in un genere ormai suonato da tutti come il rock. L’inserimento di Michele alle tastiere in line-up non fa che arricchire appunto le canzoni e renderle ancora più stravolgenti, aggiungendo anche un pizzico di influenze a la Marlene Kuntz anche per quanto riguarda le linee melodiche vocali di Ryno. Alla batteria troviamo Mancaz che, senza strafare, svolge egregiamente il suo compito di “sostegno” per le ossature vere e proprie delle song, insieme al basso di Dino, giustamente presente in ogni meandro del disco, così da rendere l’impatto musicale non troppo floscio ma sempre pieno e corposo alle basse frequenze, purtroppo spesso ingiustamente sottovalutate… Di solito sono propenso a lodare i cantanti che cantano in lingua italiana, in quanto si riesce a capire immediatamente quello che vogliono dire e quindi trasmettere durante le song, mentre in questo caso mi sento un po’ spiazzato dai testi così metaforicamente astratti e pieni di stranezze in ogni riga, tanto da risultare non interpretabili a mio avviso. Davvero una prova intimista e personale quella del singer Ryno, da lasciarsi trasportare insomma… Ottimi soprattutto alcuni pezzi come “Alla gola”, stranissimo ma molto studiato nelle atmosfere così astratte e ritmicamente lavorate, anche di synth in questo caso. Alla prossima, per ora buona prova! Voto: 7,5/10