Chiari Music Festival

live report

Chiari Music Festival Chiari / Istituto S. Bernardino

24/06/2024 di Giovanni Sottosanti

Concerto del 24/06/2024

#Chiari Music Festival#Rock Internazionale#Songwriting

Chilometri di pioggia, vento e rallentamenti, poche ore di sonno e tanta stanchezza, ma il senso di tutto è sempre in fondo al viaggio, quando trovi il motivo per andare avanti e progettare subito il prossimo giro. Il cielo di Chiari disegna spiragli di luce in mezzo a minacciosi nuvoloni neri, Maurizio Mazzotti e i suoi prodi hanno apparecchiato la tavola con l'orgoglio e l'indomita passione di sempre, pronti a lanciare il cuore oltre l'ostacolo del lunedì, del maltempo e dell'Italia calcistica.

Lee Fardon emerge dalle curve di una vita troppo spesso segnata da ombre e traversie varie, l'andatura non è spedita, il volto segnato dagli anni, ma la voce è sempre lì, calda e profonda, a ricordarci i meravigliosi giorni di Stories Of Adventure e The God Given Right. Un Beautiful Loser made in UK con Van Morrison, Bob Dylan, Lou Reed e Springsteen nel sangue e nelle corde vocali. Come per tante storie simili, mancò la spinta giusta per spiccare il grande salto, il nostro eroe rimase sempre lì, racchiuso in quella nicchia dove vivono gli eroi di culto.

Stasera la sua chitarra acustica è doppiata dall'elettrica di Tony Wilson e Together In Heat apre subito il cassetto dei ricordi, riavvolge il nastro fino al 1982 e mette nel piatto The God Given Right. Dallo stesso disco gira If I Can't Have You, mentre Talk To Me, Summer '76 e Maria And Writer arrivano dal più recente London Clay (2014). Il pubblico non è numeroso, ma decisamente attento e partecipe, desideroso di riabbracciare il piccolo grande rocker. Da Too Close To The Fire del 1992 pesca Saturday Night, mentre Against The Years chiude il set come un augurio, contro gli anni che passano inesorabili e il tempo che ci scappa da sotto i piedi. Bentornato, Lee!

Cambio palco e il roots rock garage folk di Edward Abbiati & The Rattling Chains riempiono i cuori e le orecchie dei sempre più numerosi presenti. La band pavese si muove con sicurezza e consumato mestiere, Ed guida da vero leader e i suoi ragazzi lo seguono a occhi chiusi. Maurizio "Gnola" Glielmo, Francesco Bonfiglio, Enrico Fossati, Daniele Zanenga e Fausto Oldani sono un corpo unico tra chitarre, basso, batteria e fiati. Dall'iniziale Three Chords, passando per Nothing Left To Say, Just About Now, fino a I Get Hurt, dedicata al grande Paolo Carù, non si leva il piede dall'acceleratore. I ragazzi tirano il fiato con Coast Of Barcelona, colorata e fiatistica. Oh Baby Please celebra l'amicizia di vita e musica con Chris Cacavas e viene dedicata a Marcello Matranga. Stairs To The Stars e One Step At A Time riprendono il cammino, fino alle conclusive To The Light e Love Etc. Ne vorresti ancora, come per tutte lo cose belle.

Gegè Telesforo e la sua band si districano abilmente tra jazz, free jazz e improvvisazioni, tecnicamente ineccepibili, ma, per quanto mi riguarda, cuore e anima abitano da un'altra parte.

Quando Robert Jon & The Wreck guadagnano il palco del Chiari Music Festival, il caldo pomeridiano ha da tempo lasciato spazio a un'aria fresca e frizzante, carica di umori del Sud della California. I cinque ragazzi hanno ormai alle spalle una carriera pluridecennale, una discografia altrettanto numerosa e un seguito di pubblico non indifferente. Cappelloni, barbe e capelli lunghi, hanno raccolto con semplicità e piena consapevolezza la lezione dei grandi padri, dagli Allman, ai Lynyrd Skynyrd, fino alla Marshall Tucker, senza disdegnare incursioni nel Southern soul di matrice Muscle Shoals. Hanno un disco nuovo da presentare, Red Moon Rising, e la doppietta iniziale con Hold On e Trouble arriva proprio dall'ultimo lavoro. Il suono è più roccioso e meno levigato, le chitarre ruggiscono, Robert Jon e Henry James Schneekluth scaldano da subito le corde delle chitarre, mentre Warren Murrel e Andrew Espantman percuotono rispettivamente basso e batteria e Jake Abernathie alle tastiere stende il suo tappeto sonoro. Ride Into The Light esce dal precedente lavoro, Help Yourself torna a pescare dall'ultimo, mentre Blame It On The Whiskey è un loro classico live, direttamente dal secondo lavoro Glory Bound di dieci anni fa.

Polvere, stivali, spazi aperti, saloon e whiskey a volontà. Non inventano niente di nuovo, ma lo fanno con la freschezza e la convinzione di chi ci crede, perché le radici sono importanti, come i colori, i suoni e i paesaggi che hai respirato da sempre. Non si tira quasi mai il fiato tra Rescue Train, High Time, Dragging Me Down e Ballad Of A Broken Hearted Man, in una perfetta simbiosi tra brani vecchi e nuovi. Brividi sottopelle per una struggente Oh Miss Carolina che apriva Last Light On The Highway, il disco del 2020 che personalmente mi ha acceso la luce e il cuore su Robert Jon e il suo scalcinato combo.

Un pezzo nostalgico e trascinante, versione da applausi, prima dell'unico bis, una interminabile, elettrica, vibrante e incendiaria Cold Night, anche questo un classico del loro repertorio live. I ragazzi volano alto, in un territorio in cui Can't You See della Marshall Tucker abbraccia Free Bird dei Lynyrd. Le chitarre bruciano assoli infiniti, le voci si alzano e la mani toccano il cielo, non finisce mai, non finisce più, chi c'era lo sa.
Alla fine ne vorresti ancora, un'ora e mezza di show è volata in un attimo, ma magari averne più spesso.
Chiari Blues Festival più forte di tutto.

 

GRAZIE A CARLO CARUGO PER LE FOTO