Peter Gabriel

live report

Peter Gabriel Milano / Mediolanum Forum

21/05/2023 di Laura Bianchi

Concerto del 21/05/2023

#Peter Gabriel #Rock Internazionale#Songwriting

L'Arcangelo è tornato, e plana sull'Italia, durante giorni tormentati, dolorosi.

Arriva all'Arena di Verona, e il giorno dopo a Milano, al Forum, imponendo alla troupe di tecnici un tour de force impressionante (tanto che glielo riconosce, a fine spettacolo, chiedendo al pubblico un lungo applauso). 

Plana su un'Italia flagellata dal maltempo, in lutto, disorientata, che chiede agli artisti risposte e reazioni che, forse, sarebbe più opportuno esigere dai nostri governanti. E plana con la leggerezza pensosa e geniale che lo ha contraddistinto per tutta la lunghissima vita artistica (se pensiamo che, coi Genesis, ha inciso il primo album a diciannove anni, e se n'è andato dal gruppo venticinquenne, c'è di che riflettere su certi trentacinquenni che si sentono adolescenti...).

Peter Gabriel scende fra noi, dopo un'assenza durata nove anni, e, come il suo coetaneo Springsteen, che questa sera scalda i cuori a Roma, non parla esplicitamente del dolore che affligge il pubblico italiano, ma cerca di medicare ferite con una carezza fatta di musica eccellente, superbamente suonata, presentata con cura avvolgente, con uno spettacolo totale, in un crescendo che soffre la divisione in due set, tanto è coeso il discorso che propone.

L'omino in tuta arancione, che scherza sulla propria forma fisica e sugli anni che passano (nel corpo, ma non nella voce), che legge un testo in italiano, "tradotto" sullo schermo in modo assurdamente buffo dall'intelligenza artificiale, impostata non per trascrivere dall'italiano, ma per tradurre dall'inglese (forse, un modo per farci riflettere sulla nostra cieca fiducia nei sistemi algoritmici?...), lascia il posto all'intellettuale, all'esploratore di suoni, all'antropologo. Questi raduna i suoi musicisti attorno al fuoco acceso da un meteorite, nel suo caso, provvidenziale, che illumina di splendore le nostre miserie da ormai cinquant'anni, e inizia il suo discorso, dalla preistoria del mondo, in cui i nostri antenati comunicavano con ritmo e musica, esprimendo emozioni, paure, speranze, con lo sguardo rivolto alla luna.

E la luna è presente anche qui, nel grande schermo tondo, su cui, in attesa dell'inizio del concerto, un altro omino in tuta arancione dipingeva i minuti che passavano, cancellandoli uno dopo l'altro, simbolo e monito insieme. La luna che ci guarda, e che noi guardiamo, vergine e indifferente, mentre tentiamo di dare un senso, fra il dentro e il fuori.

E proprio i/o (input / output) si intitolano il tour, e la canzone con cui lo spettacolo decolla: sua altra peculiarità è infatti essere esplicitamente costruito dal suo ideatore escludendo l'effetto juke box, per proporre molti brani nuovissimi, alcuni dei quali già condivisi online a ogni luna piena, e obbligando il pubblico a fare il pubblico: ascoltare, interiorizzare sensazioni e pensieri, in un silenzio teatrale, anomalo per la categoria "concerto rock", in cui alcuni si ostinano a chiamare il giro del mondo e del tempo musicale, che dà vita al mondo di Gabriel.

Se l'esperimento costa fatica ai presenzialisti da hit, la grandissima parte degli spettatori aderisce in pieno al progetto, assorbendo quanto più può delle immagini, che dialogano con le voci, che animano i suoni, che guidano le luci, che rischiarano il volto ispirato, cordiale, arc_angelico di un Gabriel felice di esistere, qui, ora, con noi. Parte integrante del tutto, i musicisti di sempre, Manu Katchè (batteria), David Rhodes (chitarra, voce), Tony Levin (basso, e complice), a cui si affiancano Don McLean (tastiere, voce), Richard Evans (chitarra, flauto, voce), Ayanna Witter-Johnson (violoncello, tastiere, voce), Marina Moore (violino, viola, voce), Josh Shpak (tromba, corno, tastiere, voce) - e si noti di quante voci si compone il background sonoro delle canzoni.

Il secondo set spiega le ali del significato complessivo del concerto: i decenni di ricerca e impegno sociale di Gabriel si materializzano in suoni che provengono da tutto il mondo, interpretati dalla band con assoluta dedizione; anche i nuovi arrivati appassionano il pubblico, come nel caso di Ayanna Witter-Johnson, anche voce intensa ed espressiva, che duetta con l'artista in una Don't give up dolce ed energica, non facendo per nulla rimpiangere l'assenza di Kate Bush dell'originale.



Un set compatto, coinvolgente, nel quale il suo artefice si muove con una leggerezza naturale, accennando passi di danza coi suoi compagni, alternando il canto all'inconfondibile tocco pianistico, correndo verso le ali del pubblico, dirigendone il canto in alcuni brani (memorabile il "My heart going boom boom boom" che esplode in Solsbury Hill), facendolo tacere rapito in altri, come in What Lies Ahead o ancora prima in Love Can Heal.




Perché, certo, l'amore può guarire, anche in tempi difficili come questi. E, con l'omaggio all'attivista sudafricano anti apartheid, ucciso dalla polizia a soli ventun anni, Stephen Bantu Biko, urlato a pugno alzato da tutto il pubblico in piedi, l'Arcangelo vola via, lasciandoci orfani di sé, ma molto più ricchi. Perché, se l'amore può guarire, anche la musica non scherza.

SETLIST
Set 1

Washing of the Water (acustica)

Growing Up

Panopticom

Four Kinds of Horses

i/o

Digging in the Dirt

Playing for Time

Olive Tree

This is Home

Sledgehammer
 

Set 2

Darkness

Love Can Heal

Road to Joy

Don’t Give Up

The Court

Red Rain

And Still

What Lies Ahead

Big Time

Live and Let Live

Solsbury Hill

Bis:

In Your Eyes

Bis 2:

Biko