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interviste

PON¥ Canzoni mostri che dicono tutto di te

30/03/2023 di Ambrosia J. S. Imbornone

#PON¥ #Emergenti#Alternative

Abbiamo rivolto alcune domande a PON¥ sul suo primo album, un disco sadcore lo-fi, in cui guarda a nomi come Daniel Johnston, Sparklehorse e Will Oldham. Si tratta di un lavoro di suoni minimali e riverberi, registrato su un vecchio iPhone, con canzoni in cui sentirsi protetti, proprio perche' messi a nudo.
Oggi vi parliamo del lavoro di un nuovo artista da tenere d’occhio.

Canzoni mostri è il primo album di PON¥, pubblicato dalla storica etichetta indipendente La Valigetta. La copertina del disco è quasi un memento mori, che non deve però far pensare a un album gotico: possiamo ritenere piuttosto che l'immagine raffiguri l'entrare in contatto diretto con i propri demoni e mostri, che di giorno si nascondono, così come l'artista afferma di nascondersi nei brani e nei loro silenzi. "Questo è un disco fatto di poche parole, molti riverberi e pochissimi strumenti, e forse la cosa più importante al suo interno sono i silenzi. In quei silenzi, tra quelle canzoni, mi piace pensare di potermici nascondere. Come i mostri quando fa giorno", recita infatti il comunicato stampa sull'album. Questo è infatti un lavoro in cui i vuoti sono altrettanto importanti quanto i pieni, un disco con otto tracce di un cantautorato minimale sadcore lo-fi, uno slowcore materiato di suoni minimali e riverberi; il disco d'altronde è stato persino registrato interamente su un vecchio iPhone: si tratta di un esperimento e di una sfida, per trasformare i limiti tecnici e il minimo in "massimo indispensabile".

La musica nelle canzoni appare placida e struggente, talora vagamente sognante, o perlescente come riflessi di luce sulle onde del mare, tra arpeggi dolceamari come un quadretto a colori pastello o in un chiaroscuro casalingo, tra uno sfondo impalpabile e distante di piccoli suoni sintetici e inserti ben calcolati e discreti, talora quasi laicamente sacrali, di harmonium, farfisa e mellotron. Il piano pure risuona come una voce lontana e accorata, commovente e rarefatta. In generale, l’autore propone sonorità essenziali, intime e tristi che sembrano guardare a nomi come Daniel Johnston, ma dimostra anche uno stile in qualche modo già riconoscibile, fatto di suoni misurati, pallidi ed eterei, tristi ed evanescenti.

Negli otto brani vibra una malinconia lieve, dolce e vischiosa; essa nutre i silenzi come le parole e ammanta anche i momenti vissuti in due, che in qualche modo, delicati o quasi ferini e affamati di vita che siano, appaiono anche tristi e insufficienti a colmare i vuoti comuni e condivisi per qualche attimo. Il sesso rappresenta così pure il tentativo vano di cercare un senso alle cose, ma non soddisfa e "resta solo quel che è stato usato, / nel cestino” (È successo qualcosa), mentre la stanza diventa silenziosa; si cerca la "felicità tra le pieghe delle mani”, per poi “scoprire che non c'entra con l'amore”.

Gli ambienti interni sembrano la traduzione in immagini del caos che si ha dentro, dell’ansia in cui si annega, della serenità che risulta una meta irraggiungibile; allora forse è meglio uscire, “magari cambia / che ne so”, recitano due versi di Treni, che parte con un desiderio impossibile o che non si sa come soddisfare: “Vogliamo i treni che abbiamo perso / e stare meglio di così”. La canzone ci consegna uno stato d’animo chiarito ulteriormente e significativamente espresso come l’impressione di aver “letto male le istruzioni”: “siamo da soli / volevamo essere unici”.

L’album ci fa entrare in punta di piedi in un quotidiano malinconico, con una delicatezza musicale lo-fi che ti spinge quasi a trattenere il respiro, per non fare rumore nelle intime stanze del cuore e del lavoro.

Abbiamo rivolto alcune domande all'artista sul suo disco d'esordio. 

Mescalina: Hai dichiarato che "In quei silenzi, tra quelle canzoni, mi piace pensare di potermici nascondere. Come i mostri quando fa giorno". In Safari canti invece: "Ma questa libertà di non essere niente / me la vorrei godere”, mentre in Branchie canti ancora: “non siamo poi così speciali”. Nei suoni, come nel vissuto quotidiano rappresentato, con poche aspettative e tante ansie, non ti sembra che si racchiuda un po’ un mondo minimo, un orizzonte intimo e chiaroscurale?

PON¥: Sì, è quello che sono. Ansia e tutto il resto, e di questo so parlare e parlo. Sperando dica qualcosa anche a chi ascolta.

Mescalina: In questo disco i vuoti e i silenzi sono quasi più importanti dei pieni: è come se i suoni restassero spesso lontani, evanescenti e prossimi quasi a sparire. Sei d’accordo? E questo può essere appunto in linea con quel desiderio di nascondersi nelle pieghe dei brani e con le scintille di Riverberi, “che bruciano senza scaldare / e che somigliano un po' a me / che salgono per scomparire / che qui non voglio più tornare”?

PON¥: Sì, sono d’accordo, anche se non direi che io mi nasconda nei miei brani. O meglio, lo faccio nella stessa misura nella quale le mie canzoni dicono tutto, davvero tutto, di me. Forse è più come se demandassi a loro di rappresentarmi, spiegarmi, descrivermi. Probabilmente mi sento più protetto se messo a nudo.

Mescalina: Com’è nata l’idea di registrare il disco su un vecchio iPhone? Hai fatto di necessità virtù in un esperimento che ha anche i tratti di una sfida, per trovare e valorizzare l'indispensabile?

PON¥: È stata assolutamente una scelta dettata dalla volontà di ottenere un suono e una dimensione che mi rappresentassero al 100%, senza interventi né ingerenze esterne. Tutto ciò che è tecnicamente sbagliato in queste canzoni non solo è parte integrante delle stesse, ma anzi ne è pietra fondante. Ed è una cosa che rivendico. Io sono questa roba qui: niente altro e in nessun altro modo.

Mescalina: Quali mostri secondo te si porta dentro la tua generazione?

PON¥: Non ne ho davvero idea, mi bastano i miei.

Mescalina: Di te sappiamo ancora poco: come e quando hai iniziato a scrivere canzoni? Hai altre esperienze musicali alle spalle, per esempio in band?

PON¥: Scrivo da quando sono ragazzino, con alterne fortune. Ho avuto altri progetti, soprattutto una band per una decina d’anni, sempre con alterne fortune. E non ci tengo a far sapere molto altro di me, più che altro non credo interessi.

Mescalina: Quali sono gli artisti che ti hanno ispirato maggiormente, i punti di riferimento del tuo sadcore lo-fi, dai suoni appunto così essenziali, delicati e intimi?

PON¥: Come scrittura direi su tutti Elliott Smith, come attitudine Daniel Johnston, Sparklehorse e il Frusciante solista. Poi Will Oldham e altri. Per come uso e tratto a volte le voci – in Riverberi per esempio – persino i Sigur Rós.

Mescalina: Il tuo disco in tre aggettivi. 

PON¥: Spettrale, rassegnato, lontano.



Crediti

Scritto, composto e prodotto da PON¥
PON¥: voci, piano, samples, basso, basso in reverse, percussioni, campioni synth, chitarre in Branchie
Gianluca Villa: chitarre
Maria Valentina Chirico: harmonium, farfisa, mellotron, synth in È successo qualcosa
Label: La Valigetta 

Bio

Sadcore per voce e chitarra, PON¥ scrive canzoni affogate nei riverberi. Il 10 marzo 2023 è stato pubblicato il suo primo disco, che si intitola Canzoni mostri, fuori per La Valigetta, storica label italiana e fucina musicale indipendente.

https://www.instagram.com/iosonopony/

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