Nick Becattini

interviste

Nick Becattini Blues per tutta la vita. Intervista a Nick Becattini

24/04/2021 di Nicola Olivieri

#Nick Becattini#Jazz Blues Black#Blues Nick Becattini Giancarlo Trenti

Il suo disco, Lifetime Blues, e ' stato tra i migliori del 2020 e il suo autore, Nick Becattini, e ' un bluesman di prima grandezza. Limitarsi al solo ascolto del disco, per quanto piacevole ed appagante, sarebbe stato come gustare una fetta di torta mangiandone solo la farcitura. No, la torta voglio assaporarla in tutta la sua pienezza di gusti e di sapori. Per questo motivo ho contattato Nick chiedendogli di rispondere ad alcune domande, sapendo anche che le sue risposte sarebbero state molto interessanti.
Trovo che il tuo disco sia tra i migliori pubblicati nel 2020, a riprova del fatto che la buona musica esiste, basta solo cercarla. Raccontaci di Lifetime Blues, come nasce il disco, la band che ti accompagna…

Ciao Nicola, innanzitutto ti ringrazio di cuore per la tua affermazione, ne sono lusingato, e per l’opportunità che mi dai con questa intervista! Lifetime Blues come dice il titolo stesso, è un album che viene da lontano, me lo dovevo! In realtà ce lo dovevamo da anni con questa band molto affiatata, compreso i graditissimi ospiti. Specialmente con Enrico Cecconi, il fantastico batterista col quale collaboro da moltissimi anni, a mio parere il miglior batterista Blues italiano e non solo, con Keki Andrei, hammondista e pianista straordinario, ma soprattutto grande amico, che ringrazio perché è stato promotore e produttore insieme a me del CD, e con l’acquisto recente ma graditissimo del vecchio orso Big Daddy Anacleto Orlandi, un vero bassista. Eravamo già pronti prima del primo lockdown, battuti sul tempo dal Covid. Ma quando ci siamo rivisti lo scorso giugno la voglia di suonare e registrare è letteralmente esplosa in noi. Era ancora tutto chiuso e per recuperare l’adrenalina necessaria abbiamo fatto alcune date “zero”, promozionali, cosa che ha dato i suoi frutti appena entrati in studio.



Finalmente uno studio top della gamma, l’HOG di Gianni Bini a Viareggio, che ha fatto la vera differenza. In due giorni abbiamo registrato tutte le tracce live in studio, anche l’armonica di Mimmo Mollica e la voce delle coriste Dona Pellegrini ed Elisa Ghilardi. Qualche sovra-incisione, fra cui la voce ovviamente e il gioco era fatto!!!!

In Lifetime Blues ci sono tante esperienze musicali e di vita. Sono talmente tanti anni che suono Blues nelle sue varie dimensioni che mi è sembrato naturale pescare dalle sue sfaccettature regionali, da Chicago a New Orleans, da Memphis alla East Coast, attraverso ritmi e melodie che ho esplorato con piacere. E poi con il tributo ai tre King, i giganti della chitarra Blues, Albert, B.B. e Freddy, ci siamo sbizzarriti in un crescendo di cambi di ritmo, tonalità ed atmosfere fino alla super cavalcata dello shuffle finale.

Raccontaci di te, inizialmente come ti sei avvicinato alla musica, attraverso quali esperienze e poi come sei arrivato al blues? Cosa o chi ti ha fatto conoscere questa musica?

Miseria si va nel passato remoto! (Ahahah). Da ragazzo mi sono innamorato della chitarra, mi piaceva che attraverso la musica si potesse socializzare in modo genuino ed esplorare sensazioni di coscienza allargata, se ti lasciavi veramente andare. Anche da principiante quale ero. Poi il Pistoia Blues 1980!!! Muddy Waters, B.B. King, Fats Domino… Che botta… subito formate tre band di blues: acustico, Chicago sound, rock blues. Complice un mio compagno di classe, collezionista di dischi, che mi passava le cassettine con la “grande” musica: Blues, Rock, Soul, Country… Fino all’incontro con Giancarlo Crea, mio caro amico e mentore della Model T Boogie.

 
(Nick Becattini Ph Courtesy NickBecattiniband.it) 


Hai una storia artistica molto ricca, fatta di tante collaborazioni importanti, in che modo o in cosa ti hanno arricchito, queste collaborazioni?

Mi hanno senz’altro aiutato ad allargare i confini musicali ed umani. Per me è sempre stato un piacere conoscere e jammare con più musicisti possibile, fin da giovanissimo e devo dire sono stato fortunato da questo punto di vista. In ogni collaborazione scambi qualcosa di bello e di nuovo, modi di portare il tempo, armonie, melodie, feeling… E’ un piacere ed una bellezza. Poi sul C.V. scrivi i nomi più conosciuti ovviamente, se uno volesse vedere una lista va sul sito nickbecattiniband.it, ma condividere il palco è e sarà sempre una ricchezza con chiunque lo fai.

Hai vissuto per alcuni anni a Chicago, poi sei tornato in Italia, ma so che ci sei ritornato in quella città. Si direbbe che esista un legame particolare con lei. Immagino che quella permanenza abbia in qualche modo influenzato il tuo blues?

Certamente, Chicago la città del Blues. Nel 1987 con la Model T siamo stati “spediti” come band che rappresentava il Blues italiano al Chicago Blues Fest, in una sorta di gemellaggio. Poi dopo un’altra visita “turistica” mi ci sono trasferito nei primi anni Novanta. Sono stato fortunato: dopo neanche un mese avevo l’ingaggio fisso con Son Seals. Una scena musicale ricchissima, per tutti i generi musicali devo dire, ma specialmente per il Blues. Suonavo 3/5 sere la settimana con Son Seals e Buddy Scott, ma quando ero libero avevo l’opportunità di assistere a innumerevoli e memorabili concerti… Buddy Guy, Junior Wells, Albert Collins, Albert King, Son Seals, Buddy Scott, Eric Clapton, Dr. John, Dion Payton, Sugar Blue, Melvin Taylor… uh, una lista infinita di grandi musicisti. Certo un’abitudine quella di assistere ai concerti che ho mantenuto prima e dopo Chicago, anche se qui in Italia le occasioni scarseggiano.

 
Con tutti i nomi che hai fatto direi che era a dir poco emozionante stare da quelle parti. C’è qualche episodio che hai vissuto, qualcuno che hai conosciuto e che ritieni sia stato importante per te e la tua musica, durante la permanenza nella Windy City?

Beh, innanzitutto a Chicago ho conosciuto la mia prima moglie. Poi come non menzionare chi mi ha accolto a braccia aperte: Gino e Bernie Battaglia del Blue Chicago, Tony Mangiullo e Mama Rosa del Rosa’s. Poi i miei amici musicisti Frank Kvinge, norvegese, Edoardo Garcia, spagnolo, Shun Kikuta e il mio maestro Motoaki Makino, giapponesi… Son Seals e la sua Chicago Fire Band, Buddy Scott, Melvin Taylor, Ray Allison, Peaches Staten… la lista dei nomi non avrebbe fine, veramente e neanche quella degli episodi. Vorrei solo raccontare di quella volta che Buddy Guy fece la sua apparizione al BG Legends per il compleanno di Koko Taylor… Una serata mesta! Aveva appena suonato il grande Lonnie Brooks, ciononostante sembrava d’essere al circolino sfigato dietro l’angolo. Ad un certo punto sale Buddy sul palco. Racconta di quando Willie Dixon lo chiamò in cantina a fare la prima prova con questa giovane ragazza Koko e di come apprezzò subito la sua voce particolare. Poi disse “Scusate vado a prendere la chitarra…” Appena risalito (Buddy Miles era alla batteria) iniziarono uno shuffle. Buddy fa una nota, dico una, e… magia… tutti e dico tutti me compreso, siamo schizzati in piedi super eccitati, la serata era ribaltata, trasformata, tutto in discesa da lì in poi, che emozione. Quando si dice l’intenzione! Questo sì, fra tanti altri episodi, mi ha insegnato tanto. Come quando al Chicago Blues Festival si stava esibendo Albert Collins. The Things That I Used To Do, era uno di quelle esecuzioni TIME-STOPPING, ero talmente assorto nell’ascolto che avevo la bocca spalancata… dopo un po’ mi accorgo e mi guardo intorno un po’ imbarazzato… vedo tutti, dico tutti si parla di 80mila persone, a bocca aperta!!! Che storia, da allora qualche volta mi è successo di far provare emozioni simili suonando, almeno così mi dicono!!!

Anche in Italia e in particolare al Pistoia Blues Festival hai avuto collaborazione di un certo peso. Quali sono quelle che ricordi con più piacere?


 Al Pistoia Blues ho avuto l’occasione di presentare quasi tutti i miei progetti solisti, ma se parliamo di collaborazioni al numero uno c’è il mitico Albert King nel 1989, di cui si trova un video amatoriale su YouTube. Poi Son Seals, Model T Boogie, Keith Dunn, Peaches Staten, Ty Leblanc, Andrea Braido, Riccardo Onori… Devo ringraziare sentitamente Giovanni Tafuro e l’Ass. Bluesin, con i quali ho buoni rapporti da tantissimi anni, mi hanno accolto e creato occasioni moltissime volte.

A questo punto, anche se la domanda è ovvia, devo chiedertelo: in cosa si differenza l’ambiente e la scena blues di Chicago (o di altre zone degli USA dove sei stato) da quella italiana, che io oggi vedo ricca di fermenti.

 Domandona. Anche perché ormai manco da Chicago da un bel po’ di tempo. Certamente il Blues è musica popolare americana, quindi appartiene al popolo americano e negli States lo vivono come tale: ne sono molto partecipi, il pubblico conosce i musicisti, anche personalmente spesso, quindi ama ed apprezza i suoi beniamini. Le storie sono legate alla vita quotidiana e allo slang, con uno scambio “naturalmente” verbale nei concerti fra musicisti e pubblico. In Italia, ovviamente, viviamo un po’ di riflesso, noi musicisti siamo più spesso appassionati al genere che musicisti “popolari” che cantano con parole quotidiane la loro vita. Ma la passione fa tantissimo. La musica viene vissuta con un entusiasmo viscerale e talvolta esclusivo, sia da parte dei musicisti che dei fan del genere, e questo è senz’altro molto apprezzabile e apprezzato come ho verificato nelle mie tantissime collaborazioni con musicisti afro-americani.

Ci fai qualche nome di musicisti che in questo momento ti piacciono particolarmente, in Italia o nel Mondo?

Luca Giordano, Michele Papadia, Gennaro Porcelli, Maurizio Pugno, Stefano Bollani, Maurizio Geri, Gary Clake Jr., Derek Trucks Band, Ty Leblanc… sarebbe un’altra lista infinita.

Tra quelli solisti, quelli con la Model T. Boogie Band e le numerose partecipazioni il tuo nome compare in tantissimi dischi. Dal 1987 ad oggi è cambiata la tua musica? Come? Cosa hai lasciato per strada e cosa ti porti dietro ancora oggi.

Beh certamente credo di essere cambiato molto personalmente, sarebbe grave l’opposto. Mi sento maturato e cresciuto come persona e come musicista. Ho lasciato per strada una certa ambizione, che da giovani è giusta e necessaria, insieme a competitività ed ego. Almeno spero (giù risate). Mi sono portato dietro l’amore per la musica e le opportunità di crescita personale che può aprire. Le esperienze, la conoscenza sempre più approfondita del genere e della musica in generale. La voglia e l’intenzione di creare il feeling ed il groove giusto con la band e di portare l’ascoltatore a cambiare giornata ascoltando un mio brano inciso o live. Perlomeno ci si prova. Lasciarsi un po’ alle spalle questo grigia cappa funesta di terrore indotto. Questo: cerco umilmente di portare un po’ di luce, che ce n’è tanto bisogno.

Torniamo a parlare di Lifetime Blues. La maggior parte dei brani sono firmati da te, altri invece sono tue interpretazioni e quelle contenute in questo disco, per me, sono eccellenti. Come scegli i brani altrui da interpretare? E soprattutto quando scegli un brano di un grande personaggio, come Otis Redding o Willi Dixon, non ti senti un po’ intimorito?

Di nuovo ti ringrazio per quanto dici, mi fa molto piacere. Come scelgo i brani? A feeling!!! Tutti i brani miei o altrui sono, si può dire, autobiografici, cantano e suonano di sentimenti vissuti in prima persona. Ho una lunga vita alle spalle piena di esperienze, che mi piace cantare e trasmettere. Vissuta nel Bene e a volte nel male. Se non caschi non capisci il valore di rialzarti! Questo per me è il Blues. 

Se Dixon, del quale per inciso sono stato al funerale, racconta in modo straordinario come girava la notte in cerca di amori rubati, ben venga, racconta fatti che appartengono anche a me. 

Intimorito? Se il brano è alla mia portata no. Nessuno può suonare e cantare tutto. Scelgo accuratamente il repertorio. Ti racconto un piccolo aneddoto. Una volta a Chicago, ero ad una festa afterhours in un basement, si beveva e si suonava… accanto a me sedeva Sugar Blue, abbiamo parlato a lungo. Al momento di andare, all’alba, mi dice: “Nick, come visit my family and me tomorrow”. Ero imbarazzato, e lui mi dice ”Se non vieni sei uno str…o che si crede superiore.” Ops… ovviamente per me era l’opposto, ma ho capito la lezione!!! Siamo esseri umani, tutti uguali, se cominci con gli scalini, chi sta su chi sta giù, diventiamo tutti diversi e distanti… ma non è così!

Inoltre Son Seals mi diceva sempre “Non puoi dire ad un uomo che feeling suonare!”.

Il 2020 e questi primi mesi del 2021 sono stati difficili, soprattutto per la categoria dei musicisti. Come hai riempito i vuoti lasciati da una sosta forzata tanto lunga. 

Beh, mi sono dato da fare!!! Sempre positivo!!!! Col primo lockdown ho scritto e registrato nel mio home-studio, fra l’altro la prima versione del brano Lifetime Blues, titletrack dell’album della quale da poco è uscito il video, è nata in casa, prima di essere portata in studio. Poi mi sono dedicato alla distribuzione del CD on line ed alla produzione di video clip e promo del CD. Nel frattempo, mi sono dedicato alla mia vita spirituale, alla dedizione per la famiglia, ad un corso di antica medicina cinese tenuto da un personaggio straordinario il Prof. Franco Nocchi.

 Chiudiamo con un po’ di ottimismo e andiamo a cercare la luce in fondo al tunnel. Immaginiamo che presto si tornerà a suonare dal vivo. Ti stai già organizzando? Hai già qualche possibile data o luogo dove poterti ascoltare dal vivo? 

Dunque, questo Cd ci ha portato bene, è piaciuto moltissimo, ce l’hanno scritto in tantissimi e questo ci ha aperto le porte alla collaborazione con la più grande Agenzia di Blues italiana, la Slang Music di Giancarlo Trenti. Per ora siamo ancora sul chi va là, ma io resto positivo e mi aspetto una bella tournée estiva nei maggiori Blues Festival italiani.

Grazie per il tempo che hai dedicato a questa intervista e ai lettori di Mescalina.

Grazie a te Nicola, un caro saluto ai lettori.