The Fullertones

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The Fullertones Intervista a Lou Leonardi

14/03/2021 di Nicola Olivieri

#The Fullertones#Jazz Blues Black#Blues

Pochi mesi fa il suggerimento del mio amico Edward Abbiati di ascoltare Stay Electric dei The Fullertones un gruppo toscano che lui conosce bene. Mi promette che avrei ricevuto presto il disco, e una settimana dopo lo avevo tra le mani....
Quando mi capitano situazioni del genere entro inconsciamente in una condizione mentale a metà strada tra un’euforica curiosità e l’ansia d’attesa. Quest’ultima ha sempre la meglio e cerco subito Stay Electric sulle piattaforme streaming per ascoltarlo immediatamente.

La sorpresa è stata grande quando le prime note hanno cominciato a riempire l’ambiente con un rock-blues di matrice texano, ricco, pieno di energia, e molto equilibrato. Finito il disco avevo già chiesto ad Edward Abbiati di fare da gancio per realizzare questa intervista.

A parlare dei Fullertones è Luo Leonardi, chitarrista del gruppo e autore dei nove brani che compongono questo ottimo disco d’esordio.

Chi sono i Fullertones, chi sono i componenti e come nasce il gruppo. Raccontaci di voi

Siamo un gruppo di amici sparsi in giro per il "granducato della toscana" che ha imparato a conoscersi meglio proprio grazie alla nascita di questa band. Con alcuni eravamo già amici da tempo, con altri abbiamo costruito un legame proprio grazie a questa esperienza. Non avevamo mai suonato insieme ma già dalla prima session c'è stato un feeling evidente tra di noi. La band è composta da Francesco Bellia, voce e chitarra, Matteo D'Alessandro alla batteria, Lorenzo Alderighi al basso e il sottoscritto (Lou Leonardi) all'altra chitarra.

C’è stato un EP, ma Stay Electric è da considerarsi la vostra vera opera prima con tutti brani originali. Questo dimostra coraggio e sicurezza, ma soprattutto che avete cose da dire. Descrivici il disco, come nasce.



L'EP è stato registrato prima ancora di fare un vero live in realtà. Ci serviva un biglietto da visita per poter iniziare a proporre la band in giro nei locali. Da quella registrazione al momento in cui abbiamo iniziato a girare per locali, a salire sul palco del Torrita Blues e ritrovarci a registrare Stay Electric il passo è stato breve. La scommessa fatta, fin dall'inizio, sul genere musicale che volevamo suonare non era così scontata. Già dal primo live però è stato sorprendente vedere il legame ed il coinvolgimento che si è creato con il pubblico che ci seguiva. La nascita di Stay Electric è un po' frutto di questo rapporto. Le persone ci seguivano, ci sostenevano, alcuni critici musicali hanno iniziato a scrivere di noi e da tutti emergeva una certa curiosità nel volerci sentire suonare qualcosa di nostro. Abbiamo deciso di metterci in gioco.

I brani dell’album hanno una bella energia, e ascoltandoli, come suggerisce il titolo, ti “carichi” di conseguenza. Mi sembra che il “Texas Blues” sia quello al quale vi ispirate.

Decisamente. L'idea della band è nata durante un concerto di Doyle Bramhall II al Torrita Blues Festival. Eravamo io e Francesco Bellia. Era una inconsueta gelida serata di giugno. Un concerto incredibile, uno dei nostri artisti preferiti e noi due, congelati, incollati sotto al palco. Ho guardato Francesco e ho detto "credo sia arrivato il momento di metter su una band insieme e il prossimo anno voglio essere su questo palco." Non era immaginabile... ma è stato proprio così perché l'anno dopo abbiamo vinto le selezioni di Torrita Blues ed abbiamo avuto l'onore di aprire il concerto degli Animals. Stevie Ray Vaughan, Jimmie Vaughan, Doyle Bramhall II, Gary Clark, Sean Costello sono alcuni dei nostri musicisti preferiti quindi immagino sia per quello che si respira aria di Texan nel nostro sound. 




Due chitarre, voce, basso e batteria e un suono pieno e ricco. Il rock e il blues sono decisamente le componenti del vostro sound. Ma non saprei dire quale delle due è quella più significativa. Secondo te quale è?

Non sono mai stato un appassionato delle "classificazioni". Siamo stati in difficoltà anche nello scegliere la classificazione musicale sulle varie piattaforme di streaming. Spesso tra blues, rock e rock’n’roll la linea di separazione è sottilissima e, fondamentalmente, anche molto soggettiva. Qualcuno ci ha definito come "Austin Sound". In realtà abbiamo tutti un background musicale molto diverso quindi è naturale che il risultato finale sia un mix di sonorità piuttosto contaminate. Non saprei dire se pende più verso il blues o verso il rock. È un approccio molto istintivo. Quello che è certo è che, qualsiasi cosa sia, ci piace condirlo con un bel po' watt e di elettricità.

Trovo la vostra proposta moderna ed attuale pur rientrando nei canoni di un rock-blues piuttosto classico. Non sono d’accordo nell’utilizzo della parola “vintage” utilizzato da qualcuno per definire il vostro sound. Cosa ne pensi?

Di vintage iniziamo ad esserci noi, quello è un dato di fatto! Onestamente credo che riuscire a creare questa piccola "diatriba" è un buon segno. In fondo le nostre radici musicali vengono da lontano ma allo stesso tempo non amiamo vincolarle necessariamente alle sonorità del passato. Suoniamo strumenti vintage, usiamo amplificatori valvolari ma portiamo tutto nel presente. Forse quello che emerge di "vintage" è tutto quello che scorre nelle nostre vene a livello musicale. Dall'altra parte l'attualità è la nostra voglia di raccontarlo qui e adesso, con la nostra voce e non con quella dei musicisti che ci hanno formato.

Il suono è molto ben definito: voce e chitarre hanno il compito di costruire melodie e armonie, alla potente sezione ritmica il compito di sostenerle. ma come nasce una vostra canzone, chi scrive, chi contribuisce alla composizione, chi arrangia?

I brani nascono in un modo molto artigianale. Spesso partono da un riff che mi gira in testa, lo registro sul telefono e su quel riff costruisco tutta la struttura musicale del brano... poi mando delle idee deliranti a Francesco per la melodia del cantato e lui, quasi miracolosamente, riesce a decifrarle e a dargli un senso. Il testo in genere arriva sempre in un secondo momento. A quel punto, con Francesco mettiamo giù una registrazione che definire "fatta in casa" è piùÌ€ che un complimento e poi ci chiudiamo in sala prove con la band. È in quel momento che sentiamo prender vita al brano. Il contributo della sezione ritmica e delle loro idee, del loro groove è il filo conduttore che da un senso a tutto il lavoro fatto a monte.

Cosa raccontano le vostre canzoni?

I testi sono una sorta di diario della nostra vita. Dai momenti piùÌ€ difficili ai momenti piùÌ€ divertenti. Parlano di storie, spesso viste dall'esterno. Quasi tutti i testi sono frutto della mia penna e mentre li scrivevo ho voluto raccontare anche storie non strettamente personali. Volevo che Francesco potesse sentire questi brani suoi quando li avrebbe cantati. Way Down, per esempio, è la storia di una perdita importante con cui ha dovuto farei i conti. I Believe è una caricatura della dinamica tra band, gestori dei locali e ascoltatori distratti. Ma dentro c'è anche altro. Stay Electric è un brano scritto a quattro mani con Matteo, il batterista della band. Storie di momenti duri da superare, relazioni umane con cui abbiamo dovuto fare i conti. Storie, vita, sorrisi e lacrime. Gli ingredienti sono quelli del blues delle radici ma mescolati in modo un po' più confuso e forse meno ironico.

Va da sé che con tutta la vostra “energia elettrica”, il palco è la connotazione naturale. Dopo un anno disastroso, senza concerti, con una economia messa in ginocchio, riuscite ad immaginare come sarà il futuro della musica? Riusciremo a riprendere le abitudini di prima?

Abbiamo registrato tutta l'ossatura di questo album esattamente il fine settimana prima che venisse comunicato il lockdown del 2020. Eravamo in studio registrazione e tutto avremmo potuto immaginare tranne quello che è successo di lì in avanti. Non è stato il momento migliore per far uscire un album ovviamente ma per qualche aspetto ci ha aiutato a prenderci forzatamente dei tempi di riflessione che ci hanno consentito di aggiungere piccoli dettagli che forse in altre condizioni non avremmo registrato. I lati positivi però finiscono qua. Questa situazione surreale ci ha limitato sotto molti aspetti. Abbiamo dovuto rinunciare a diverse collaborazioni importanti che erano previste per il disco, abbiamo perso quasi tutte le date estive, ne abbiamo fatte solo quattro e non è stato l'ideale per poter presentare il nostro disco. Una band come la nostra vive di live, di emozioni, dello scambio di emozioni con il pubblico e non abbiamo avuto la voglia di affidarci ai concerti streaming. Non è la nostra dimensione. Il futuro non si intravede onestamente, ma ce lo vogliamo immaginare di nuovo sui palchi che ci hanno dato tanto fino ad oggi e questo non solo per noi, ma anche con la speranza che tutti quei locali che ci hanno dato fiducia in questi anni riescano a superare questo difficile momento. Molti di loro stanno tenendo duro molto più di quello che sarebbe immaginabile. Stanno buttando il cuore oltre l'ostacolo e credo che la passione per quello che fanno sia l'unica cosa che li sta tenendo ancora a galla.

State già organizzando qualcosa per tornare a suonare live?

Abbiamo qualche data in attesa di conferma per l'estate ma considerate le montagne russe sulle quali stiamo viaggiando è un po' ottimistico parlarne. Fosse per noi saremmo giàÌ€ su un palco. Molti organizzatori questa estate hanno organizzato degli eventi con le giuste precauzioni e rinunciando a fare "i numeri" e devo dire che sono state serate bellissime e organizzate in modo impeccabile. Dispiace che queste persone, per colpa di altri che invece hanno messo in piedi eventi completamente fuori controllo, abbiano dovuto rinunciare alla loro meritatà possibilità di ripartire.

Forse è presto per pensare al prossimo disco, ma io la domanda la faccio sempre…

La domanda non è mai fuori luogo, concordo in pieno e ti confido che, vista la situazione, non mancano di certo gli argomenti e le idee per iniziare a lavorare ad un altro disco. Abbiamo già in cottura tre brani nuovi, altre idee frullano in testa... ma ora la priorità vera e propria è potersi finalmente ritrovare in sala prove per scaldare un po' le valvole dei nostri amplificatori e poi sederci di nuovo attorno ad un tavolo insieme per una bella cena in compagnia. Poi penseremo allo studio registrazione con la speranza di uscirne con una prospettiva migliore dell'ultima volta. La voglia di tornare non manca e ci teniamo a ringraziare tutte le persone che ci hanno supportato e continuano a supportarci acquistando il nostro disco, lo condividono su tutti i canali social, lo ascoltano in streaming e chi, come voi, sta dando voce e visibilità al nostro lavoro. Tutto per questo per noi vale veramente tanto. Grazie di cuore.

Foto courtesy The Fullertones website (Simone Bargelli)