Phomea

interviste

Phomea Risposte in "stile Phomea": quando l'artista e l'uomo si sovrappongono

11/06/2019 di Barbara Bottoli

#Phomea#Emergenti#Alternative

Intervistare un artista e scoprire che il cantautore corrisponde all’uomo è sempre una bella scoperta, aumenta la credibilità di un lavoro che già aveva sorpreso, liberando emozioni fin dalle prime note e dal primo accenno di voce. Phomea aveva sorpreso subito col suo Annie, scoprendo un pezzo di pelle e rendendoci vulnerabili, ma al contempo umani, e le parole utilizzate nel rispondere alle domande si sovrappongono alla perfezione con ciò che questo album ci ha regalato. Phomea non si nasconde, anzi mantiene un aspetto sensibile, molto ironico, umile, pur certo delle proprie potenzialità, svelando parecchio dei suoi progetti futuri e, come lui, siamo già in attesa del nuovo EP e del video di Mi manca un gesto, anche se il grande desiderio che ci accomuna al cantautore toscano è sentirlo live in giro per l’Italia. Quando un artista descrive in modo così personale il proprio processo creativo si comprende come le tracce che ci hanno smosso così tanto siano state vissute e desiderate, nascendo da un bisogno interiore di condivisione e, anche, liberazione. Annie resta uno dei lavori che appena inizia riesce a catapultare in un altro mondo, un mondo costituito da sensazioni vitali, capace di unire fragilità e la grande forza dell’amore, intensamente infinita; non c’è nulla che possa paragonare questo album ad altri lavori. per questo, ringraziando Phomea per tutto, restiamo in attesa delle novità fedeli al suo stile personale.
Mescalina: Ciao sono chiare le motivazioni di questo tuo lavoro solista, ma, immagino, sia stato di difficile realizzazione. Non credo sia semplice mettersi così a nudo, e farlo così bene, ci parli della realizzazione? Personalmente ti immagino in completa solitudine alla ricerca della perfezione, ma contemporaneamente anche della impulsività emotiva, come sei riuscito a farle convivere?

Phomea: Ciao! Effettivamente è stato un lavoro molto impegnativo, a livello di tempo, di fisico e di testa. Sì, immagini bene! Le giornate di preproduzione e registrazione si svolgevano più o meno così: partivo da casa con chitarra, borsa della conad contenente effetti e cavi, computer e scheda audio... Arrivato in sala prove montavo i microfoni alla batteria e sistemavo la strumentazione. A quel punto eravamo soli, io, le canzoni e, in un certo senso, mia madre, per sessioni di circa 4 ore. Le canzoni nascono tutte da una base cantautorale quindi, una volta registrata la traccia guida chitarra e voce, iniziavo a suonarci sopra gli altri strumenti. Quella era la parte sicuramente più intima, e tutto veniva fuori molto naturalmente. Probabilmente dovremmo anche capire cosa intendiamo per perfezione, sicuramente quella “tecnica” non è mai stata una priorità e forse non era nemmeno pensabile raggiungerla con la strumentazione a disposizione. Ho fatto prove su prove per trovare la disposizione migliore per i microfoni, i giusti suoni e le giuste modalità di registrazione, alla fine però quando iniziavo a suonare scompariva tutto, c’erano altre cose ben più importanti del suono e dell’esecuzione perfetta! Quello che cercavo veramente era di riuscire a trasmettere, almeno in parte, le emozioni che provavo e che le canzoni mi suscitavano.

 

 

Mescalina: Appena partono le prime note e si sente la tua voce ci si emoziona, si sente una stretta interna che toglie il respiro, come è stato per te sentire l’album una volta terminato? Se non sono indiscreta, cosa avrebbe detto Annie di queste tracce?

Phomea: L’ho sentito talmente tante volte, tra provini, prove di mix, master e varie che alla fine riuscivo solo a trovare cose che non mi convincevano, criticavo qualsiasi cosa. Probabilmente era semplicemente tornato lo stesso blocco che mi ha fatto rimandare di qualche anno l’inizio dei lavori sull’album, fondamentalmente avevo solo paura di mettere la parola fine a questo percorso, la paura di non riuscire a renderlo un’opera perfetta (parlavamo della ricerca della perfezione prima, no?), o comunque all’altezza delle mie aspettative. Il primo ascolto dopo la parola “fine” invece è stato un bel tuffo nel passato, nel presente e nel futuro. Cosa avrebbe detto Annie? Difficile dirlo, forse avrebbe riassunto tutto in un semplicissimo abbraccio. 

 

Mescalina: Un album ben lontano dagli standard italiani, hai creato il genere Phomea, ma qual è il tuo background musicale?

Phomea: Intanto devo dire che “hai creato il genere Phomea” è probabilmente una delle cose più belle che avrei potuto sentirmi dire, grazie! Con questa frase mi hai praticamente anche condannato ad una esistenza di terribili sofferenze, perché sappiamo bene quanto pesi, oggi, non essere propriamente in linea con i generi di riferimento sulle sorti di una band, no? Devo dire che nella mia vita mi sono ritrovato ad ascoltare e suonare un po' di tutto: dal metal, al rock classico, indie rock, cantautorato italiano, rap (in questo periodo, tra l’altro, sto ascoltando con piacere i Pharcyde) etc. Ho iniziato a suonare in una band a 15 anni circa, suonavo la batteria e facevamo Placebo, Oasis, Verdena e qualche pezzo nostro. Sono passato anche per il punk e l’emo, sempre alla batteria e nel mentre “sperimentavo” con il mio progetto Phomea. I due progetti più importanti che ho avuto (Sparflatz, 1 concept album e S.U.S 2 album e 1 ep) avevano però una cosa in comune tra loro e con Phomea: non si riconoscevano strettamente in un genere, ma cercavano una libertà di espressione propria.

 

Mescalina: Hai scelto di inserire due canzoni in lingua inglese, la prima e l’ultima, come mai? Perché non un album interamente in italiano?

Phomea: Me lo sono chiesto anch’io, davvero! In realtà in fase di preproduzione l’idea iniziale era di fare un album 6+6, 6 pezzi in italiano e 6 pezzi in inglese. I pezzi c’erano, infatti dopo i provini sono rimaste escluse dal disco molte canzoni che avrebbero sicuramente meritato un posticino lì dentro. La scelta delle canzoni da includere nel disco è avvenuta in fase di provinaggio. Alcune erano inamovibili, altre se la giocavano con altri pezzi. Ho semplicemente lasciato che andasse come doveva andare, alcuni pezzi faticavano ad uscire “naturalmente”, avevo come l’impressione di forzare la mano e volerli fare solo perché mi piacevano, altri invece sembravano già fatti e pronti per essere registrati. Perché non un album interamente in italiano? In generale perché così come non mi pongo troppi limiti in fatto di generi, non lo faccio nemmeno sulla lingua. Nel caso specifico, invece, Annie e Don’t look back erano tra i pezzi inamovibili per questo album.

 

Mescalina: In Ho paura di te sembra ci sia uno sdoppiamento, sembra un dialogo tra te e te, come se esistesse un Phomea che cerca la dolcezza e l’altro che cerca la solitudine, uno che vuole provare e uno che vuole restare fermo, immobile. Il bello della musica è che si può interpretare a seconda di chi ascolta, ma il Carnefice, per te, chi è?

Phomea: Esatto, è proprio quello il bello della musica, ed è meraviglioso quando vedi persone che effettivamente si lasciano andare anche solo per 2 minuti e si immergono totalmente in quello che stanno ascoltando. Mi piace questa tua interpretazione di Ho paura di te, sai? In realtà questo dialogo lo ritroviamo in molti pezzi di Phomea, sempre con due punti di vista contrapposti, quello verso l’esterno e quello più personale, che lasciano spazio ad interpretazioni diverse. Ognuno è carnefice di se stesso. Il carnefice è quella parte di te che ti blocca, che asseconda le tue paure e che ti porta a non credere più possibile avere un gesto sincero (sì, ok, questa l’ho ripresa da una canzone che non è carnefice).

 

Mescalina: Annie è il tuo primo album ufficiale da solista cosa c’è nel tuo futuro? I live semi-acustici saranno in giro per l’Italia o più concentrati territorialmente? 

Phomea: Allora, nell’immediato futuro ci sarà probabilmente un E.P. con delle versioni più simili al live di alcuni pezzi del disco e qualche canzone inedita, anche per presentare quello che sarà poi il prossimo lavoro. Non vorrei aspettare troppo tempo per far uscire il secondo lavoro, in realtà sto già scalpitando! Il discorso live è abbastanza delicato. Come ben sai, questo disco è uscito per MelaverdeRecords, una piccola etichetta indipendente di Pistoia. Non abbiamo un vero e proprio booking che ci segue e quindi, pur impegnandosi al massimo, è molto difficile riuscire a chiudere parecchie date da soli. Al momento in cui scrivo ho comunque in programma 3 festival, il 16 giugno sarà al Cotonfioc a Genova, il 7 luglio al Pistoia Blues e il 28 luglio a Serravalle Rock, ma spero di riuscire a mettere in fila qualche altra data di presentazione. Fosse per me suonerei ovunque e tutti i giorni! (messaggio velato per l’intrepido lettore giunto fino a questo punto!)

 

Mescalina: Ti sei occupato di tutto, comprese le immagini del libretto, riuscendo a sovrapporre l’immagine di cantautore e di uomo, quindi perché la scelta di uno pseudonimo?

Phomea: Ecco, questa è una domanda difficile. Se devo essere sincero non c’è una vera ragione, almeno non adesso. Mi sono abituato a chiamare i miei lavori da musicista con il nome Phomea ormai tanti anni fa, ci sono affezionato, è assolutamente normale per me. In generale l’utilizzo di uno pseudonimo magari è anche un modo per liberarsi, per non sentirsi comunque e per forza legato alla propria vita quotidiana, al proprio vissuto. Io credo invece che ogni cantautore, band o progetto musicale dovrebbe raccontare il mondo visto dai suoi occhi. Lo pseudonimo è semplicemente un modo per chiamare per nome quella visione del mondo.

 

Mescalina: Non c’è un video ufficiale, ma su youtube si trovano i live e le tracce, prevedi l’uscita di un video? E come lo immagini?

Phomea: Sì assolutamente, c’è un video in lavorazione che uscirà a breve, e sarà mia premura farvi sapere quando! Diciamo che me lo immagino girato ad Amsterdam, per il pezzo Mi manca un gesto, molto dilatato, con dei disegni sovrapposti al video... Oops, ho detto troppo... Naturalmente anch’esso DIY e autoprodotto! 

Vorrei ringraziare chi ancora si prende la briga di ascoltare realmente i lavori che riceve, senza dare troppa importanza al nome, chi si impegna nel proprio mestiere, chi sa scrivere, chi ancora riesce ad immaginare altri mondi.