Max De Aloe

interviste

Max De Aloe Storie mediterranee, finniche e altri racconti..

10/09/2017 di Vittorio Formenti

#Max De Aloe#Jazz Blues Black#Jazz

Sembra ieri di aver avuto la fortuna e l'onore di intervistare Max De Aloe, armonicista jazz tra i più in evidenza a livello internazionale; invece correva l'anno 2010 quando su Mescalina compariva l'articolo che seguiva il lavoro "Apnea", uno delle tante opere in cui Max proponeva il suo approccio culturale a tutto tondo che nella fattispecie si manifestava con il riferimento al romanziere giapponese Murakami Haruki. Passano sette anni, da poco é uscito lo splendido "Valo" presentato in testata, ci si ritrova per un altro giro di conversazioni e il più grande piacere é aver ritrovato un artista integro, coerente e deciso nella continuità del suo lavoro. Cambiano gli spunti, le collaborazioni, le formazioni ma la motivazione é sempre quella: essere portatore di cultura e di libertà costruendo con le regole di Euterpe.
Mescalina : prima di entrare nel merito del nuovo lavoro una curiosità; tu sei molto noto per il tuo essere armonicista ma non disdegni di suonare anche la fisarmonica. I due strumenti sono tecnicamente molto lontani tra di loro; dove nasce questo tuo interesse?

 

Max: in effetti le similitudini tra i due strumenti sono pressoché assenti. L'unico aspetto che li accomuna é l'uso dell'ancia, una lamella che l'aria fa vibrare ottenendo il suono voluto. Ma le affinità finiscono qui e la risposta sostanziale alla tua domanda é che semplicemente la cosa mi piace. Culturalmente siamo monogami ma musicalmente riesco ad essere fedifrago traendo gusto dal fare "altro". In realtà va ricordato che da ragazzino iniziai con lo studio del piano e qualche anno fa mi tornò l'interesse a lavorare con uno strumento che non fosse semplicemente melodico, come l'armonica, ma presentasse anche aspetti armonici. Aggiungiamo il fatto che il suono della fisarmonica o del bandoneon mi piace molto e abbiamo il quadro completo.

 

Mescalina: nel tuo nuovo disco ti sei esercitato anche con la viola da gamba

 

Max: certo, é da un po' di tempo che lo faccio e in Valo ho inserito cinque frammenti in cui suono da solo usando anche questo strumento. L'idea dei frammenti é conseguenza della mia visione di un lavoro, che tendo a considerare più come un "concept" da sviluppare che come una lista di pezzi messi in sequenza. E' un effetto della mia educazione e anche della passione per il rock ascoltato negli anni '60 e '70 che faceva spesso ricorso a questo approccio.  Un disco per me é un po' come un film o un'opera di teatro,  un progetto organico da sviluppare dall'inizio alla fine. I frammenti che dicevo giocano un ruolo di entrata ed uscita da questo schema e credo sostengano comunque il risultato finale. Suonando da solo ovviamente ho fatto ricorso a sovraincisioni dato che utilizzo armonica, viola da gamba e tastierine elettroniche; naturalmente con la viola sono un principiante, la uso più che altro per creare suggestioni. Ciononostante con questo strumento ho creato il brano finale, "Venere"; é stato composto tempo fa ma é piaciuto molto a Jesper (Bodilsen - bassista del trio) che ne esegue l'intro e il tema.

 

Mescalina: visto che siamo entrati nell'argomento del tuo ultimo lavoro da un punto di vista generale pare che si basi su di un apparente ossimoro; lirismo mediterraneo e algidità finlandese sembrano, di primo acchito, due opposti. Dato per scontato che gli estremi si possono attrarre sarebbe interessante capire qual é stato il movente di tanta empatia; il disco infatti pare proprio essere una genesi delle terre del nord, figlio più dei tuoi compagni di avventura con i quali hai creato un vero e proprio sodalizio organico.

 

Max: questo perché quando concepisco un lavoro lo faccio un po' come un registra di un film. Penso al contenuto, a quello che voglio fare e trasmettere; di conseguenza cerco di individuare i soggetti utili al mio progetto che, come gli attori al cinema, diventano dei protagonisti. Sempre di più sono interessato al risultato finale più che alla mia parte e al mio ruolo strumentale. Posso comporre al pianoforte un pezzo in tonalità ostica all'armonica e tuttavia capita che non lo modifichi perché quello che conta é l'idea del brano; l'armonica per me non é mai stata né un punto di partenze né di arrivo ma solo un mezzo. In questo senso, tornando al punto che hai sollevato circa la musica nordica,  quello che mi ha sempre attratto é la capacità che manifesta nel creare atmosfere. Magari non ha grandi tradizioni in termini melodico armonici ma é efficacissima nel tratteggiare tessuti sonori unici. Il progetto di Valo é quindi una sintesi tra questi elementi e altri più caratteristici della liricità mediterranea; non é un'invenzione particolare, é solo il risultato di un mio percorso personale che tra l'altro non ha una certezza del risultato. So bene cosa mi riesce meglio ma é proprio questo che non intendo perseguire perché, conoscendone l'esito, non mi dà alcuno stimolo. Quello che cerco é una sceneggiatura in cui non sia tutto già chiaro e definito. Penso a una passaggio di Mastroianni che ricordava come, nel concepire un film il cui titolo non rammento, lui con Flaiano e Fellini si trovavano in spiaggia e non riuscivano a sortire alcunché. A un certo punto Fellini iniziò a fare dei semplici disegni, degli spunti da cui poi nacque la sceneggiatura. E' ovviamente solo un esempio e non un paragone, non posso certo collocarmi alla loro altezza, ma credo che questo renda bene il mio approccio al progetto musicale.

 

Mescalina: da qui l'importanza che nei tuoi lavori hai sempre dato al ruolo degli altri strumentisti

 

Max: certo. Proseguendo con il parallelo cinematografico io preferisco affidare agli attori un ruolo loro creativo, non amo essere come Hitchcock che dettava alla lettera cosa bisognava fare e dire! In Valo  questo si é concretizzato molto bene; Niklas (Winter - chitarrista) e Jesper (Bodilsen - bassista) hanno portato dei loro brani e soprattutto hanno contribuito, concerto dopo concerto, a far crescere il lavoro dando pareri che venivano discussi dopo le performance. Questo é stato un aspetto decisivo perché ha dato vita a un'opera nata con grandi professionisti che si sono anche sentiti coinvolti mettendo in gioco un entusiasmo da ragazzini.

 

Mescalina: non é il tuo primo contatto con la musica dei paesi freddi. Ricordiamo per esempio il tuo lavoro su Bjork anche se lì forse predominava una rielaborazione piuttosto che una creazione da zero.

 

Max: certamente si tratta di un lavoro diverso ma anche in questo caso Bjork era un pretesto attorno al quale abbiamo inserito molto del nostro. Io sono abbastanza convinto che a lei quel disco non sarebbe piaciuto. La cosa interessante di lei é che non ha mai "esplicitato" la sua musica e in questo senso risulta estremamente nordica. Questo mi porta a sottolineare che in realtà non é verissimo che i musicisti di quell'area non abbiano melodie; é più giusto dire che non le sviluppano  come facciamo noi. Pensa a un modello come Morricone, che sfrutta fino in fondo le sue idee proponendole e reiterandole in modo palmare; noi magari siamo più esuberanti mentre loro si trattengono di più ma non é detto che siano meno sinceri, spesso siamo noi che nel nostro essere "amiconi" cadiamo in ipocrisie che loro evitano riuscendo poi a costruire rapporti più solidi.

 

Mescalina: in questo senso sono più profondi?

 

Max: in parte sì, anche se non sempre. In Bjork questo fatto di non esplicitare si traduce in un rilievo che certi arrangiamenti hanno rispetto alle idee e alle melodie di base le quali in qualche modo restano in sottofondo. Tuttavia se ascolti e analizzi bene le composizioni riesci a scoprire questi elementi. Pensa a Hyperballad (brano da Post - 1995),credo sia un perfetto esempio di quanto intendo. Io invece ho sviluppato un approccio molto mediterraneo tendendo a rendere esplicito quanto ci ho ritrovato; ripeto, non so quanto a lei sarebbe piaciuto.

  

Mescalina: in Valo hai inserito brani di  Monteverdi e Purcell; come mai?

 

Max: prima di tutto perché a me la musica barocca piace moltissimo. La trovo molto più compatibile col jazz rispetto per esempio alla musica romantica, nonostante questa sia quasi due secoli più vicina a noi. I musicisti di quell'epoca erano in realtà anche improvvisatori; l'uso per esempio dell'ostinato e del basso continuo favoriva una logica molto vicina a quella del jazz. A questo aggiungo un elemento più episodico che é il recente amore per la viola da gamba, strumento che mi ha portato ad ascoltare di più questo tipo di musica che oggi forse conosco meglio. Infine mi divertiva l'idea di proporre questi artisti così fortemente melodici a dei musicisti nordici, mi interessava vedere cosa ne sortiva.  

 

Mescalina: a questo hai pure aggiunto lo stimolo del gregoriano

 

Max: certo, la rielaborazione di alcuni momenti della Grande Alboense é un altro passo in questo senso anche se, in questo caso, siamo più vicini alla loro tradizione dato che i momenti proposti vengono dalla storia musicale della città di Niklas. E' stato molto suggestivo.

 

Mescalina: comunque se Monteverdi appare chiaro in questa luce Purcell forse meno dato che non era un latino

 

Max:  ma la melodia che ha scritto per il lamento di Didone resta un momento altissimo, credo uno dei vertici della musica del tempo. Ha una forza incredibile generata da quelle cinque battute che si ripetono con un ostinato di basso che resta uno dei più celebri e rappresentativi di quel momento storico; volendo fare un parallelo assurdo lo paragonerei, come efficacia e riconoscibilità, a quello che per il rock é il riff di Smoke on the water. Inoltre c'é l'intensità narrativa dato che, in definitiva, Purcell racconta un suicidio. Il tutto crea una miscela che ho sempre sentito profondamente nelle mie corde.

 

Mescalina: citando il basso ostinato metti in evidenza un elemento ritmico chiaro affidato a strumenti definiti. Il tuo lavoro in realtà sembra distribuire questa dimensione in modo più paritetico ai vari strumenti, forse perché manca la batteria?

 

Max: in questi casi nel jazz  il ruolo passa al basso. Jesper poi, da quel grande strumentista che é, non si limita a questo ma sviluppa anche un grande lavoro armonico di base e accetta anche momenti solisti. Con Jesper le cose sono andate bene fin dal primo momento in cui ci conoscemmo a un festival. Da quel momento sono stati numerosi i momenti in cui abbiamo collaborato, anche se questo non si era mai tradotto in registrazioni. L'anno scorso poi lui mi ha chiamato per un lavoro didattico a Firenze che doveva concludersi con un concerto; in quell'occasione chiamò Niklas con il quale collaborava già da diversi anni. Paradossalmente quindi fu lui a creare le premesse per questo trio; infatti in quell'occasione, nonostante il carattere prettamente didattico, avvertii subito elementi di profondo interesse soprattutto per quella fusion che Niklas sapeva esprimere. Non feci passare del tempo e proposi loro l'idea che venne accolta subito con favore in uno spirito che, tutto sommato, era sostanzialmente collegiale e che emerge anche in questo nostro lavoro.

   

Mescalina: messa così parrebbe una situazione estemporanea e flessibile ma all'ascolto il lavoro lascia l'impressione che la scrittura e l'aspetto progettuale del "concept" predomini .

 

Max: no, non é così. Pare ci sia un rigore ma in realtà la libertà é assoluta; per esempio, le intro di chitarra sono tutte improvvisate e se ci ascolti dal vivo sentiresti ogni volta qualcosa di diverso. Anche la storia del lavoro lo dimostra; ci siamo mandati le parti per mail, abbiamo provato un pomeriggio, abbiamo eseguito tre concerti e poi registrato il lavoro.

 

Mescalina: quindi avete suonato dal vivo prima di produrre il disco...

 

Max:  Nel jazz accade di frequente. Nelle prove si stabiliscono alcune linee e si prendono delle decisioni ma raramente ci si dedica alla parte improvvisata. Questa viene sviluppata più fruttuosamente dal vivo;  il contatto col pubblico e l'ambiente ti danno riferimenti molto più utili. In definitiva la vera prova é l'esecuzione sul palco. E' un po' come se tu e io dovessimo trovarci per una pizza; abbiamo cose in comune, sappiamo anche di che parlare ma poi la cosa si sviluppa al momento. Prima il progetto non si può chiudere.

 

Mescalina: la base del progetto in che consiste?

 

Max: c'è un'idea di melodia e armonia. Poi si concorda la modalità di esecuzione, il mood, il sound, il ritmo; suonare una parte più dilatata, un'altra in modo più meditato. Poi si stabiliscono i ruoli nelle parti; se per esempio il contrabbasso apre e improvvisa su di un brano nel successivo questo ruolo lo si affida a un altro. La sostanza é che si devono stabilire dei codici di comportamento all'interno dei quali poi ci si muove liberamente. Il paragone con un momento sociale come una cena tra amici é pertinente. Ci si trova, si sa come ci si può comportare nel rispetto di ciascuno, si sa di cosa si può parlare o meno, l'ambiente ha la sua influenza...il jazz per me é questo, é una relazione che può funzionare o meno e il tutto dipende da moltissimi elementi.

 

Mescalina: dici jazz ma questo lavoro propone spunti verso la musica antica e, in alcuni momenti, si rilevano passaggi che ricordano i Pink Floyd e Lady Jane dei Rolling. Voluti o pillole inconsce?

 

Max: i riferimenti rock che citi non sono elementi voluti. Tuttavia occorre riconoscere che facciamo parte di  una generazione cresciuta con certi ascolti; non apparteniamo alla New York degli anni '30 o '40 ma a quella cultura occidentale degli anni '60 e '70 per cui certi elementi sono organici alla nostra sensibilità. Sono radici che poi ti hanno portato a miscelare il jazz, non certo come moda ma come evoluzione naturale. E' un fatto di storia personale. Conosco musicisti jazz italiani i cui genitori ascoltavano jazz, ovviamente di un periodo precedente; ebbene, la loro musica é molto più legata alla tradizione. Personalmente sono molto contento di aver avuto l'opportunità di conoscere e crescere con stimoli diversi; mi meraviglio molto quando magari "posto" su FB un brano dei Clash e qualcuno si stupisce rispondendo di non immaginare che avrei potuto avere interessi per questo genere di musica. 

 

Mescalina: beh, voluto o no voluto però c'é da riconoscere che conferisce una bella vivacità al lavoro

 

Max: la cosa mi fa molto piacere perché manifesta il seguire un nostro percorso. Quando si parla di jazz talvolta si pensa a una musica vecchia ma in realtà c'è una modalità di proposta del tutto affine ai nostri tempi. Se pensi anche a un certo uso dell'elettronica o di altri effetti timbrici ti rendi conto che siamo figli del nostro tempo; una cosa normalissima, sarebbe anzi strano il contrario. Tengo però a precisare che il tutto avviene all'interno di una cifra stilistica specifica. Io ci tengo molto a cambiare, a virare dal latino al tango, dal rock alla classica, ma sempre in un ambito che sia il mio e che in definitiva é un certo modo di fare jazz.

 

Mescalina: quindi non siamo davanti a un cambiamento ma a una diversa sfaccettatura del tuo mondo

 

Max:  certo. E' molto bello che attraverso un approccio di tipo musicale si possano realizzare incontri nuovi come per esempio la lettura di poesie di autori nordici o, meglio, finlandesi. Cosa può scrivere oggi un quarantenne di quelle zone? Ti si apre un mondo. La cosa però non diventa un fatto imitativo. Per esempio il lavoro con Bill Carrothers ispirato a romanzi dello scrittore giapponese Murakami Haruki (disco Apnea - 2009 - nda) nacque da suggestioni poi tradotte in modo personale. Taluni mi dissero di non trovare alcuna comunanza tra la musica proposta da noi e gli scritti di quell'autore; io trovai la cosa perfettamente  normale perché il tragitto in definitiva era nostro personale, non si trattava di una colonna sonora di quella letteratura ma piuttosto di un fumo creativo che portò a uno sviluppo completamente indipendente.  

 

Mescalina: sono stati numerosi i lavori in cui hai proposto spunti da arte di altri. Oltre al tuo lavoro su Bijork e al disco con Carrothers che hai citato viene alla mente il bellissimo Borderline(2014)  tratto dall'arte visiva di pittori socialmente "folli"....

 

Max: traggo molti stimoli da quello che succede attorno. Certe suggestioni ti aiutano a tirar fuori qualcosa di tuo che altrimenti non si manifesterebbe. Certo questo costa fatica; sarebbe molto più facile realizzare un disco di standard. Una buona playlist con Libertango  di Piazzolla o Cheek to cheek di Berlin richiederebbe solo buoni musicisti in studio e attrarrebbe molto di più però, a quel punto,  mi sentirei come un semplice impiegato.....

 

Mescalina: e qui arriviamo al solito argomento. Così facendo e pensando come riesci a vendere i tuoi lavori? Ricorri ai concerti ai quali partecipano chi ti conosce?

 

Max: ti racconto un episodio accadutomi a Hong Kong che mi ha fatto molto piacere. Poco tempo fa sono stato in tournée da quelle parti con Marcella Carboni (arpista eccellente, da conoscere- nda); prima della partenza mi ha contattato una persona del posto, un organizzatore di eventi jazz che pare avesse tutti i miei lavori usciti in distribuzione e che addirittura alla cerimonia del suo matrimonio mise Partiamo all'Alba,  un mio brano; mi ha invitato a un suonare in un evento del 2018.... Questo ti dimostra che tu fai un brano e poi le cose si diffondono, non hai contezza di nulla ma poi qualcosa succede. Anche in Italia trovo sempre qualcuno che si fa vivo con una copia di un disco magari da autografare; c'é un pubblico ipersommerso, non visibile ma esistente. E qui viene il bello; dato che a noi per vivere basta poco (parliamo di redditi assimilabili a lavori impiegatizi del tutto ordinari) ci si riesce a mantenere con concerti, qualche disco e la didattica con però il privilegio di stare al mondo facendo in assoluta libertà qualcosa che ci piace. Se penso a gente dello show business che arriva a 50 anni e, per mantenere lo steso livello di reddito, continua a comporre brani per quindicenni e va in palestra per sembrare sempre giovane io mi sento fortunato; il jazz fa girare pochi soldi e questo ci dà una libertà immensa. 

 

Mescalina: nessuna costrizione allora?

 

Max: beh, stiamo anche noi al mondo. Se un mese hai la rata dell'automobile da pagare magari vai a suonare a una convention aziendale e lì sai che devi suonare la Ragazza di Ipanema. Però il mio ricordo va a Wayne Shorter quando lo ascoltai tempo fa al Teatro degli Arcimboldi col suo quartetto. Sì avvertiva la libertà totale di una musica che capiremo tra vent'anni e nemmeno riusciremo ad eseguirla. Si vedeva un artista a casa sua, componendo la sua musica che poi in quel momento mi arrivava completamente. Fu n grande insegnamento vedere un musicista che avrebbe potuto girare tutte le sere guadagnando un mucchio di soldi ma che decideva in realtà di presentarsi con la sua arte.

 

Mescalina: parlando di vertici artistici non ti piacerebbe incidere per un'etichetta come l'ECM? Tutto sommato non sarebbe così incoerente....

 

Max: ovvio che sì, é una delle etichette più importanti e mi sento molto vicino da un punto di vista estetico. C'é da dire però che ormai loro non scoprono più nessuno; proporre l'ennesimo lavoro di Bollani o di Fresu non aggiunge nulla di nuovo. Detto questo é ovvio che sarei felice di lavorare con una delle label più importanti del mondo.  

 

Mescalina: uno sforzo...quali dei tuoi lavori consiglieresti a chi non ti conosce per accostarsi alla tua arte?

 

Max: qui faccio molta fatica perché é come decidere a quale dei tuoi bambini vuoi più bene! Però, dovendo scegliere, penserei al lavoro su Biork, a Borderline e forse a Valo. Questi sono i più recenti ma ci aggiungerei anche Racconti Controvento, realizzato con Gianni Coscia nel 2001 e molto legato anche a elementi tipici della musica italiana con dimensioni folk.

 

Mescalina: volendo concludere facciamo riferimento alla tua dimensione didattica. E' integrata al tuo essere artista o é qualcosa di indipendente e separato?

 

Max: appartengono entrambe a una stessa realtà. per me suonare, fare dischi e insegnare sono facce di una stessa realtà. Noi abbiamo lavorato molto sui metodi e la pubblicazione che ho realizzato al riguardo ha avuto molti apprezzamenti anche all'estero, forse perché lo strumento di cui mi occupo principalmente é molto noto a livello folklorico ma poco a livello didattico. In realtà l'armonica va studiata così come il flauto, il sax o il clarinetto; ci si deve divertire, certamente,  ma le cose vanno fatte in un certo modo. Il mio approccio all'insegnamento é lo stesso di quello che ho nella composizione e nell'esecuzione. Mi ha toccato molto una confidenza fattami da uno studente, un ragazzo che frequenta ingegneria e che mi ha detto di aver cambiato la sua sensibilità nei confronti delle cose della vita dopo aver iniziato a studiare musica. Questo é il più bel complimento che si possa ricevere. Infatti quando insegni non trasmetti solo informazioni tecniche ma cerchi, o almeno così tento di fare io, di condividere una visione, una concezione culturale, un approccio.   

 

Mescalina: quindi insegnare é una parte del tuo essere artista?

 

Max: assolutamente sì. Anche se io fossi un musicista con buoni guadagni non abbandonerei mai l'insegnamento. La docenza mi interessa molto e mi arricchisce continuamente.  Ultimamente ho la fortuna di suonare molto ma ciononostante non abbandono  gli allievi; loro stanno seguendo un percorso e io non posso latitare. Questo va molto al di là del rapporto economico ed é proprio per questo che mi aspetto di più; io vengo pagato la metà di un carrozziere e un quinto di uno psicologo....tu studente mi devi restituire qualcosa in più e fortunatamente questo accade. E' importante constatare che c'é chi viene da Bari o da Genova per fare una lezione con te, questo va molto al di là di un rapporto puramente economico e ti dà una grande soddisfazione.

 

Bello constatare questo senso di staffetta verso altri. Gli studenti possono stare tranquilli di aver scelto un docente di tutta levatura e, analogamente, chi deciderà di accostarsi all'arte di Max de Aloe avrà modo di constatare questo senso di dedizione all'altro. Se non sapete da dove iniziare partite pure dall'ultimo Valo ma, come si suol dire, ogni strada va bene dato che porterà sempre a Roma!

  Foto di: Michele Bordoni