Bud Spencer Blues Explosion

interviste

Bud Spencer Blues Explosion Blue(s) passion

08/09/2011 di Ambrosia J. S. Imbornone

#Bud Spencer Blues Explosion#Italiana#Alternative Blues Hardcore

Un blues convulso e contaminato da suoni sporchi e ipnotici, dotato di una carica oscura e febbrile che non ha bisogno di lustrini, divismi o altra scenografia, ma si sostiene da sé e brilla cupa e splendida in una delle più eclettiche e fascinose nuove realtà musicali italiane di cui possiamo andare fieri anche all’estero: stiamo parlando dei Bud Spencer Blues Explosion, che, reduci da una fitta attività live, alambicco di esperienze in cui trovare lo stimolo per nuove e più ricche formule di blues rock corrosivo e seducente, stanno per pubblicare il loro secondo album. Si intitolerà Do It e vedrà la luce il 4 novembre, ma il duo romano, composto da Cesare Petulicchio (batteria, cori) e Adriano Viterbini (voce, chitarra, basso, piano, synths) ci fornisce in anteprima interessanti indizi per scoprirne l’identità musicale, mentre ci racconta in un’intervista a tre voci gli insegnamenti di un già notevolmente lungo percorso on the road. In Italia e all’estero, con alcune date negli States…In attesa di ascoltarli live stasera ad Osnago (LC) alla Festa Democratica (Polo Fieristico, ingresso gratuito, in apertura ci saranno i Verbal), ecco cosa i BSBE hanno da dirci.
Mescalina:  Partiamo da una domanda classica: come mai avete inserito nel nome, oltre al riferimento ai Jon Spencer Blues Explosion, anche quello a Bud Spencer? E’ una modifica e un gioco di parole ironico?
***Cesare Petulicchio: Beh, certo, assolutamente. Stilisticamente e musicalmente un po’ Jon Spencer ci ha ispirato il nostro sound per certe cose, perché anche lui in realtà modificava un blues delle origini come cerchiamo di fare noi. Poi la storia del nome è nata un po’ per gioco, non c’è nessun tipo di messaggio profondo!

***Mescalina: Il vostro è un blues molto oscuro e seducente, dai suoni ipnotici, con una grande carica che non ha bisogno di fronzoli: quali sono gli ascolti blues che vi hanno maggiormente influenzato e come avete aggiornato la loro lezione?
***Cesare Petulicchio: Io ho ascoltato fondamentalmente un blues più inerente all’hard rock, più anni ’70; poi però Adriano mi ha fatto sentire molto blues del Delta, quello di Mississippi e delle origini, che molto spesso era suonato solo da chitarra e batteria, quindi da gruppi di due elementi (Robert Johnson, ecc.) Poi nei nostri ascolti ci sono tanti anni ’90, tanto grunge, perché comunque siamo cresciuti in quegli anni. Quello che facciamo fonde proprio questi ascolti, magari anche Hendrix, quello che faceva lui come improvvisazione nei live: l’elemento ipnotico, più psichedelico deriva dagli anni ’70. Poi quando facciamo qualcosa, non ci proponiamo di fare qualcosa di simile a qualche altro artista, non pensiamo a precisi riferimenti: suoniamo e vediamo che cosa esce. Ovviamente emerge però sempre il tuo background di ascolti…

***Mescalina: Per quanto riguarda proprio questa fusione di ispirazioni tratte da una parte dagli anni ’70, dall’altra dagli anni ’90, in cosa in particolare pensi vi abbia influenzato l’ascolto del grunge? Avete dichiarato di aver preso da questo movimento “l’attitudine”: in che senso? E in generale quanto hanno inciso sulla vostra musica gli anni ’90?
***Cesare Petulicchio: Beh, musicalmente forse ci ha influenzato in alcune aperture, in certi ritornelli, anche nei bpm, nel tempo vero e proprio quindi di alcuni pezzi. Poi ha inciso su di noi anche nell’attitudine: negli anni ’80 c’era il mito delle rockstar, dei gruppi glam-rock, dei gruppi hard-rock à la Kiss o Guns [N’ Roses], c’erano le rock-band e poi il pubblico ai loro piedi. Invece negli anni ’90 con l’underground americano (c’erano già i Melvins, poi arrivarono i Nirvana…) tutto era più livellato, gruppo e pubblico riuscivano a creare qualcosa che era un tutt’uno ed è un po’ questo che ci piace fare: con le improvvisazioni, ecc. i concerti sono sempre diversi a seconda del pubblico che ti trovi davanti, creano un vero rapporto diretto con gli spettatori ed è questo forse che maggiormente ci accomuna a quel tipo di approccio alla musica. Non pensiamo a vestirci in un certo modo sul palco, ma esattamente ci vestiamo come quando usciamo!(sorride) Pensiamo alla musica e al concerto vero e proprio insomma, non al contorno, non a dire sempre le stesse cose sul palco (ridiamo)…

***Mescalina: ...come ad es. le presentazioni delle canzoni, sempre uguali di concerto in concerto (ridiamo)…
***Cesare Petulicchio: No, quelle no, (sorride) siamo troppo concentrati nel suonare!

***Mescalina: Invece cosa amate non solo delle sonorità, ma del modo di concepire la musica degli anni ’60-’70?
***Cesare Petulicchio: Beh, negli anni ’60 c’era libertà totale: prima non c’era quasi niente dal punto di vista del pop. C’era il rock n’ roll e il blues in America…Poi sono arrivati i Beatles e altri e la musica è completamente cambiata: non c’erano limiti alla creatività. Non era come ora: oggi anche se vuoi fare un disco pop, comunque devi seguire certi standard. Prima non c’era un punto di riferimento, ma la libertà era fantastica. Gli stessi Beatles, anche se dopo un po’ di tempo, poi fecero il White Album, che comunque dopo Sgt. Pepper’s, è un disco pop, ma con dei suoni assurdi, psichedelici…Questo era libertà e ci piace: non mi paragono ai mostri sacri, ma noi, stando con un’etichetta indipendente, abbiamo la libertà di fare quello che ci passa per la testa. Facciamo esattamente quello che vogliamo. E di questo siamo contenti: se noi facciamo ciò che vogliamo e a voi piace, ci chiamano a fare concerti, ecc., poi la soddisfazione è anche maggiore, no? Perché non te l’aspetti!Se pensi “ho fatto un disco che in radio può andare” e va bene, è il minimo. Invece non funziona più così, per fortuna…ed è per questo che alla fine l’underground italiano, il mercato alternativo comunque è sempre più in crescita: forse la gente si è rotta di sentire sempre le stesse cose e ha bisogno di persone che fanno musica non dico bella o brutta, ma che viene dal cuore. E’ come se parli con una persona e lo fai attraverso frasi fatte o essendo te stessa: ci si accorge della differenza!

***Mescalina: A proposito dell’identità musicale che avete costruito in questi anni, da alcuni mesi avete pubblicato un Ep di cover live, Fuoco lento e in generale avevate registrato anche in passato delle cover: pensate che servano a temprare lo stile di un gruppo, se portano la sua impronta così nettamente come in questo caso?
***Cesare Petulicchio: Sicuramente: quando nasce una band, nasce come cover-band. Facendo pezzi il più vari possibile, crei un tuo stile. Per quanto riguarda noi, che siamo già nati come band, dopo tanti anni in cui suonavamo con altra gente, l’interpretazione delle cover è stata diversa. Ci siamo basati un po’ su come è la tradizione blues attuale: Eric Clapton, B. B. King comunque reinterpretano vecchi classici blues e noi in realtà reinterpretiamo quelli che per noi sono classici. Hey Boy Hey Girl dei Chemical Brothers, anche se è elettronica, per noi è un classico dei nostri tempi, degli anni ’90, però lo reinterpretiamo a modo nostro. Per quanto riguardo l’Ep live, tutte queste cover sono nate sempre durante i soundcheck dei nostri concerti; stiamo finendo il nostro secondo disco di inediti e volevamo fosse solo di inediti, ma ci dispiaceva non inserire queste cover, che comunque ci piace suonare. Allora abbiamo deciso di fare un live con queste cover, fatto con questo tipo di concezione.

***Mescalina: Tra le tue esperienze come musicista, una volta che ti sei trasferito a Roma dalla Puglia, ce ne sono state e ce ne sono alcune soprattutto nel campo del cantautorato (con Enrico Pezza, Valentina Lupi, ecc.). Come pensi ti abbiano influenzato queste esperienze nei BSBE? E al di là dell’attenzione ai testi, c’è qualcosa musicalmente da imparare dal cantautorato che può essere trasportato anche nel rock, in esperienze diverse?
***Cesare Petulicchio: Beh, tutte le esperienze servono!Anche quelle in realtà negative dopo anni ti accorgi che ti sono servite: è come quando compri un disco e non ti piace. Poi magari lo ascolti dopo tre anni e ci trovi una cosettina che ti fa dire “ah, figa ‘sta cosa!”. Io e Adriano abbiamo avuto sempre la fortuna di collaborare con gente che a noi piaceva: lo facevamo per lavoro, ma a volte abbiamo anche detto di no, siamo abbastanza coerenti con il nostro modo di suonare. Io personalmente non riuscirei mai a suonare cose che non mi piace in quel momento suonare. E’ capitato quindi per lavoro di suonare con altri, ma abbiamo scelto gente con cui ci piaceva farlo, abbiamo composto noi in prima persona dei pezzi, quindi era sempre far parte di una band, oltre che suonare. Sono state e sono esperienze positive; poi capita più con cantautori, perché in Italia, soprattutto a Roma, c’è una grande tradizione cantautorale e quindi è più facile trovarsi a lavorare con cantautori.

***Mescalina: Tu, Adriano, invece sei stato session man con Raf, Marina Rei, The Niro, Otto Ohm…Immagino siano stati tour di un altro genere, ma interessanti per produzione e cura dei suoni nel tour, ecc., che possono aver costituito un’esperienza di crescita. Come pensi di aver convogliato queste esperienze nei BSBE?
***Adriano Viterbini: Sì, di sicuro poter collaborare con artisti come quelli che hai appena citato mi ha dato innanzitutto l’opportunità di allargare gli orizzonti musicali e di poter portare nei BSBE anche un po’ un aspetto poliedrico. Ecco perché nei nostri album e nei live senti molte differenze tra un brano e l’altro, senti influenze completamente differenti, e così via. Abbiamo tante influenze musicali e ho avuto la fortuna di averle approfondite, di essermi potuto addentrare completamente in altri generi musicali, tanto che, quando andiamo a registrare con i Bud, forte dell’esperienza, riesco magari a utilizzare formule di arrangiamento che mai avrei inventato avendo suonato solo rock o blues (sorride).

***Mescalina: Per quanto riguarda il blues, tu hai anche un altro duo, i Black Friday, che rappresentano però un’altra declinazione del genere, più acustica e “vintage”. Come riassumeresti queste differenze tra l’approccio al genere dei BSBE e quello di quest’altra band?
***Adriano Viterbini: I BSBE fanno un blues più all’insegna del groove, un po’ più sporco, ritmato, più influenzato dagli anni ’70 e dagli anni ’90, dal rock soprattutto, come diceva Cesare. La musica dei Bud vuole cercare di essere una parte dell’evoluzione del blues dagli anni ’70 agli anni ’90, quando ci sono state le varie contaminazioni, comprese quelle già ricordate di Jon Spencer. Con i Black Friday abbiamo fatto invece un disco che voleva essere un tributo a tutti quei musicisti della scena Delta blues dei primi del Novecento, che sono stati fondamentali e hanno gettato le basi del rock e blues che c’è stato successivamente, ma di cui si sono perse le tracce negli anni dopo la loro scomparsa. E’ stato un tributo al blues semplice ed acustico. Le differenze sono che i BSBE vogliono fare un blues più muscolare, ritmico e anche un po’ più moderno, contemporaneo, mentre i Black Friday sono un tributo al blues minimale degli inizi del Novecento.

***Mescalina: Il vostro nuovo album, Do It, uscirà il 4 novembre ed è stato presentato come un disco dal suono coinvolgente e compatto, un ritratto dell’effetto dei vostri live. Quanto e in cosa pensate che abbiano influito sulla vostra crescita musicale e su questo secondo disco i concerti, la vostra esperienza live in tour particolarmente intensa e lunga?
***Adriano Viterbini: Hanno influito tantissimo, sotto il punto di vista ad esempio dei suoni di ogni singolo strumento, sul suono della chitarra, della batteria, della voce: ora abbiamo forse più coscienza di quello che vogliamo ascoltare quando registriamo qualcosa. L’approccio a questo disco è stato quindi più meticoloso, meno casuale del primo, che è stato un po’ un metterci in gioco, divertendoci, facendo qualcosa che lì per lì ci potesse dare un’emozione. In questo caso abbiamo cercato invece di ottenere un risultato che avevamo in mente, un suono che nei vari live avevamo ottimizzato. Io sono molto felice di questo disco, perché mantiene un’identità dei BSBE che non è solamente volta ad essere un gruppo che fa tanti assoli di chitarra o tanto casino dal vivo, ma che ha anche un punto di vista di forma-canzone specifico, polarizzato. In questo disco la parola blues è diventata un po’ più grande rispetto all’altro, perché ci sono molto più pentatoniche, molti più riferimenti a delle cose soul e…a noi piace tantissimo, non vediamo l’ora che esca!

***Mescalina: Ci saranno quindi delle differenze di sonorità tra i due dischi? Tu appunto accennavi ora a una presenza del soul…Ci sarà un arricchimento in qualche modo del sound?
***Adriano Viterbini: Sì, sì, io trovo che sia un disco molto ricco di spezie che ci piacciono. Abbiamo anche avuto la fortuna di collaborare con un dj che amiamo moltissimo, che si chiama DJ Mike, con cui abbiamo lavorato ad un pezzo. E’ un disco che ci rispecchia tantissimo, è quello che avremmo voluto ascoltare dal palco. Se immagino un disco dei BSBE, è quello che abbiamo fatto (sorridiamo)! Sì, sì, veramente!E poi mi piace pensare che, finito questo disco, possiamo subito cominciare a pensare ad un’altra manciata di canzoni da poter registrare, non vedo l’ora. Sai, c’è un po’ l’idea di evolverci ogni volta, di fare una cosa differente, cercando di farla al meglio possibile. Questo è un disco in cui abbiamo messo tanto cuore, tanto impegno, che non vuole essere un disco pretenzioso: è un disco veramente onesto, secondo me. Sono proprio contento: rappresenta quello che vogliamo essere noi!

***Mescalina: Avete già cominciato a rodare i nuovi brani dal vivo, anticipandoli al pubblico nei concerti?
***Adriano Viterbini: Ogni tanto, durante i concerti di questo tour, abbiamo provato qualcosa, ma non  abbiamo mai messo in scaletta i brani in maniera fissa, perché vogliamo suonarli nel tour che comincerà a novembre e poi soprattutto abbiamo bisogno di fare un po’ di prove per rodarle per bene e trovare delle soluzioni che dal vivo siano efficaci in maniera degna…

***Mescalina: E comunque qual è stata l’impressione che avete avuto sia voi nel sentire la prima volta questi brani dal vivo, sia nell’osservare l’accoglienza e la risposta del pubblico?
***Adriano Viterbini: Beh, sono piaciuti!(sorride) Sono contento perché sono piaciuti! Soprattutto una volta…Quando abbiamo suonato e registrato il disco dal vivo al Circolo degli Artisti, già in quella scaletta mettemmo un pezzo che sarà nel disco nuovo e mi ricordo che piacque molto: è un brano particolare che ha cambiato nome più volte, per cui non so dirti ancora che nome avrà (ridiamo), ma piacque tanto!

***Mescalina: A proposito dei vostri concerti…quali sono i ricordi più particolari e caratteristici che conservate delle date negli Stati Uniti?
***Adriano Viterbini: Beh, io forse provavo un po’ di soggezione a suonare in America: avevo un po’ l’impressione di essere nella “casa” di chi la musica che piace a me l’ha inventata…impressione che era proprio la verità!Devo dire però onestamente che poi quando suoni, tutte le diversità si appianano, perché quando suoni, nessuno sa di che nazionalità sei, quanti anni hai, ecc. Il bello della musica è proprio questo: ad occhi chiusi poi siamo tutti uguali. Dovrebbe essere così nella vita in generale, ma nella musica nello specifico, quando noi abbiamo suonato in America, questa cosa è stata una dolce sorpresa: suonare lì e confrontarci con musicisti americani è stato molto bello. In particolare per esempio quando siamo stati nel Mississippi, proprio nella patria del blues, ho avuto l’opportunità di suonare con alcuni tra i musicisti che tra l’altro io stimo di più. Ad esempio c’è questo musicista che si chiama Jimbo Mathus che è un bluesman che ho trovato in una situazione molto importante lì e con il quale ho suonato delle cose: c’è stato uno scambio alla pari, sostanzialmente non perché io sia questo grande musicista, ma perché c’era voglia di comunicare, di suonare e io l’ho fatto a mio agio e questa cosa mi è piaciuta molto.

***Mescalina: Un’ultimissima domanda: c’è una città al di fuori dell’Italia in cui non siete ancora stati e in cui vi piacerebbe suonare? Così, su due piedi, che nome ti viene in mente?
***Adriano Viterbini: Mi piacerebbe molto suonare, solo per un’estrema curiosità, a Los Angeles, perché è una città degli Stati Uniti in cui ancora non sono stato per piacere, al di là della musica, e dove so che ci sarebbe tanto da imparare: lì c’è tutto!Può sembrare una risposta un po’ banale, ma è la prima che mi è venuta in mente!

***Mescalina: Grazie mille e in bocca al lupo in anticipo per il vostro nuovo album!
***Adriano Viterbini: Grazie infinite!Grazie a te!

Si ringrazia l’ufficio stampa Parole e Dintorni.