Stefano Sollima

Drammatico

Stefano Sollima Suburra


2015 » RECENSIONE | Drammatico | Azione
Con Pierfrancesco Favino, Elio Germano, Claudio Amendola

23/10/2015 di Alessandro Leone
Sollima non è uno qualunque. E’ uno dei pochi registi in Italia che si è fatto strada in televisione, approdando nel cinema come uno dei più attesi dell’anno. Sarà perché ci ha costretto a fronteggiare la dura realtà dei fatti, senza curarsi dell’eventuale tasso di violenza che possa venirne fuori e creando un perfetto connubio con le tendenze che attanagliano l’Italia da decenni e un’abilità espositiva che fa di De Cataldo il suo principale influenzatore. Da entrambe le parti, senza giri di parole, si evolve l’immagine di una mafia che è in grado di rinnovarsi di anno in anno. In Romanzo Criminale e Gomorra l’arricchimento deriva dalla gestione dei racket di droga, dai checkpoint, da quel tipico rispetto mafioso basato sull’imprescindibile principio dell’ “occhio per occhio, dente per dente”, mentre in Suburra la mafia 2.0 entra definitivamente tra gli alti ranghi del potere spirituale e temporale.
Ecco perché nei primi due abbiamo le immagini di un’Italia nascosta, quella delle periferie, in cui nessuno ha il coraggio di fermarsi, lasciando che gli eventi si susseguano quando tutti immaginano cosa vi accade. In Suburra invece, si giunge ad un accordo sottobanco, sotto i nostri stessi occhi, ma pur avendone il sentore non riusciamo ad accorgercene. Il nostro paese evolve decadendo, la bellezza che nutre quell’immagine stereotipata resta intatta ma i cittadini no, o meglio, tra di loro si aggirano quei mafiosi che hanno già imparato come si fa a lasciare la periferia per invadere il centro stesso delle attività di una intera comunità, di un’intera nazione. Per cui è sbagliato sviluppare una critica sulla base di un ridondante guazzabuglio di riferimenti alle due serie che hanno reso Sollima famoso, tutt’altro: Suburra è naturale prosecuzione del sistema mafioso che dalla Magliana arriva ad investire il Campidoglio. Niente di più attuale stando a vedere i recenti fatti di Mafia Capitale. E ciò è dimostrato anche dalla presenza di un insolitamente grande Amendola, il Samurai della Magliana che agisce come uno scarto dei vecchi tempi e da cui la nuova generazione di criminali deve solo imparare (e tacere).
Giustamente, il sottile filo conduttore che lega la filmografia di Sollima, è rappresentato da quello stile noir evidenziato maggiormente dai colori della Roma notturna e dalla pioggia che l’investe il giorno dell’apocalisse. Il problema in questo caso è che neanche Noè può salvare l’umanità e se il governo crolla, se tutto viene a galla, il capo religioso e pastore del popolo si dimette lasciando i suoi discepoli senza guida spirituale. Tutta l’opera di Sollima segue una struttura crescente, con un Climax che sfocia nella risoluzione violenta e sistematica dei fatti, in pratica con una carneficina, lasciando sempre l’idea che dopo la tempesta venga la quiete. Tuttavia, di nuovo, se la Banda della Magliana si sfalda, un nuovo sistema mafioso sorge, e se questo viene ulteriormente scoperto: “Vorrà dire che si troverà un altro politico da corrompere, magari dall’altra parte”. Per cui la quiete è solo apparente e preannuncia una nuova tempesta imminente.
E’ facile riconoscersi come cittadino che vive il sentore dello sporco annidato intorno a lui attraverso gli eventi narrati nel film. A cominciare dai rapporti sessuali che il parlamentare Malgradi (uno straordinario Favino, forse attualmente il miglior attore italiano) intrattiene con una escort ed una minorenne (facile il riferimento a Berlusconi), per passare ai collegamenti tra lui ed il Samurai, a richiesta di una legge specifica per edificare e quindi appalti truccati, tangenti, nepotismo, clientelismo. Quante volte avrete sentito citare uno solo di questi termini! Quante volte avrete sentito un politico smentire un’imminente e certissimo tracollo del potere così come fa Favino uscendo da Montecitorio! L’unica differenza è che, quando l’arcano è svelato, risulta uno di quei politici che una volta all’interno di un sistema non può più uscirne fuori e ne risulta inghiottito. Cosicché, passare tra la folla imbestialita alla ricerca di una buona parola dal presidente per una rielezione diventa un suicidio politico e Malgradi si converte nel primo dei politici a rinunciare alle smentite e di conseguenza alla dignità di una figura diplomatica. Il suo grido, quell’ “io devo essere rieletto” diventa emblema della necessità di continuare a far parte del sistema perché chi entra con le migliori intenzioni, ne esce fuori corrotto (sempre).
Succede lo stesso ad Elio Germano, altra straordinaria interpretazione di un imprenditore e gestore di un racket di prostitute, legato anch’esso alla politica per via indiretta. Anche lui si ritrova coinvolto in questo sistema, diventando un inetto disposto a vendersi pur di aver salva la pelle. Ma, a differenza del parlamentare, non è così esposto da risultare definitivamente compromesso. Il senso di rivalsa gli permette di ribellarsi al problema, semplicemente eliminandolo e lasciando che le conseguenze facciano il loro corso.
Resta comunque la possibilità di ricostituire un nuovo corso, sperando che almeno questo sia buono. Prima che lo scandalo esca allo scoperto Malgradi ha ancora il tempo di dire, in risposta al mandato d’arresto della procura: “Io me ne sbatto, sono un parlamentare!” Ma l’immunità non impedisce al sangue di continuare a scorrere, alle persone di protestare e sempre ci sarà una pioggia torrenziale che purificherà la nostra terra per permettere un nuovo inizio.


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